Tutto Quello Che Voglio Per Natale È Un Film A New York
Commedie romantiche, favole per bambini, perizie psichiatriche e altre pellicole cinematografiche per sopravvivere sino alla Befana e oltre.
Non trovo i guanti, e non è nemmeno la prima volta. A volte ne perdo uno, a volte li perdo tutti e due. Altre volte non ricordo dove li ho cacciati. Quale giacca? Nell’armadio? Sulla libreria? Forse la borsa? Si, ma quale? Il borsello o la tracolla grande? E vado avanti così per un bel po’. Adesso continuo a girare a vuoto, vorrei piangere. Ma i ragazzi non piangono, si sa. Quando fai un errore, quando dai qualcosa per scontata, e la perdi, poi non c’è modo per riavvolgere il nastro. Ma non credo che i Cure cantassero di guanti.
Venti minuti, tra profumi, gioielli, cappotti, scarpe, valigie, tappeti, materassi, macchine per il caffè e pure pentole a pressione. Ma non riesco a trovare quei dannati guanti. Evito solo il piano interrato, perché ho stampata davanti agli occhi l’immagine della luce che arrivava dalle finestre quando i guanti erano ancora al loro posto. Ringrazio d’aver quasi nessuno attorno a me. È lunedì mattina, le dieci passate da poco e anche dicembre è appena agli inizi. Oggi nessuno sano di mente, in questa città, metterebbe piedi qui dentro. Tanto meno ci verrebbe nel fine settimana. Ma io… Io ho deciso che dovevo venire da Bloomingdale’s. Tanto per allungare la lista dei rimorsi.
Bloomingdale’s è un grande, un grande magazzino. A New York i grandi magazzini sono come certi musei: testimonianza plastica di un passato che in pratica non esiste più. Vabbè, burp. L’ho fatto apposta. Questa è la classica polpettina retorica, infarcita di luoghi comuni ed esagerazioni. In realtà, sono ancora tanti quelli che fanno i loro acquisti ai grandi magazzini. Ce ne sono ovunque, qui a New York, in ogni borough, anche se non tutti hanno la fama o l’eleganza di quelli di Midtown a Manhattan. Io, poi, ho poco da fare lo snob. A dirla tutta, potrei essere l’utente tipo di un grande magazzino. Leviamo pure il condizionale.
Non so mai cosa vorrei o cosa dovrei comprare. Ho nostalgia di quando potevo senza imbarazzo supplicare Carlo di aiutarmi a comprare i vestiti; ma se oggi pure lui vivesse quaggiù, e non si sdoppiasse tra Torino e Milano, io dovrei fare i debiti. Quando ho finalmente una vaga idea di cosa cerco, non so però dove cercarlo. Quando so dove andare a parare, mi sembra d’essere l’unico a sbagliare le coordinate. Comprare in rete, nel mio caso, complica ancora di più questo contorto processo decisionale. Un palazzo che copre un intero isolato, invece, e saturo di tutto quello che potresti trovare ad una fiera campionaria, dovrebbe essere il mio paradiso. Camicie, dopobarba, burro e televisori, il tutto senza la benché minima fatica. Peccato che io non riesca mai a rinunciare a complicarmi l’esistenza. E l’unico ricordo che ho della Fiera Campionaria di Milano, visitata una sola volta, almeno quarant’anni fa, è l’insalata di riso mangiata al ristorante self-service.
Soprattutto sotto Natale, quando vado presto a corto d’idee sui regali, la disperazione dovrebbe indurmi alla tentazione del grande magazzino. Eppure, neanche in questo caso riesco a vincere l’idiosincrasia. I grandi magazzini di Midtown, da Macy’s a Saks, sono garanzia di caos e folle di visitatori che arrivano da fuori città. Comprano ben poco, occupano ogni angolo libero per scattare fotografie tra Gucci e Nespresso, mentre tu sei lì nel panico e maledici di non aver iniziato a pensare ai regali già ad agosto. Questa realtà era verissima almeno sino a due anni fa, prima che si materializzasse il Covid. Adesso, tutti quanti supplichiamo i turisti di tornare in massa a New York. Per restituirci quella città che sembra essere sopravvissuta solo in film più o meno vecchi.
Tanti newyorchesi hanno sempre maledetto la loro città sotto le feste di Natale. Prima della pandemia le strade attorno al Rockefeller Center, con la sua pista di pattinaggio e l’immenso albero addobbato, diventavano impraticabili, era quasi impossibile camminare. Alcune vie venivano chiuse al traffico, esasperando ancora di più chi era costretto a muoversi in auto. Tenersi lontani da Midtown era un imperativo che andava oltre la sempre sdegnata Times Square, per estendersi dai mercatini di Bryant Park ai magazzini Macy’s su Herald Square. Ma quando perdiamo quello che abbiamo disprezzato a lungo, diventiamo di colpo nostalgici, il rimpianto ci acceca quasi quanto il pianto. Anche un grande magazzino, coi suoi clienti isterici a pochi giorni dal Natale, ci manca al pari di un amore perduto in qualche tempo lontanissimo.
I guanti che sto cercando da Bloomingdale’s sono quelli della scena iniziale di “Serendipity”, commedia romantica girata tra New York e San Francisco. Meglio: sto cercando il bancone sul quale erano esposti i guanti che si contendevano i due protagonisti, Sara (Kate Beckinsale) e Jonathan (John Cusack). Ricordo l’atmosfera natalizia di quella scena, una commessa che scendeva con le scale mobili da un piano superiore, ricordo la luce che arrivava dalle finestre. La mia è un’idea stupida, ovvio. Tutto è cambiato nei vent’anni da quando è uscito nelle sale “Serendipity”, pure Bloomingdale’s. E magari, come in tanti film, l’ambiente di quelle riprese è stato creato appositamente dal nulla. Ma io mi sono messo in testa di voler ripercorrere alcuni luoghi resi celebri da film ambientati a New York sotto le feste di Natale.
Per mia fortuna, nonostante New York sia una città inflazionata anche al cinema, sono però pochi i film in tema natalizio o che contengano scene di vita newyorchese a Natale. Almeno questo mi semplifica la vita. Posso limitarmi a scegliere solo qualche film e voi, attraverso queste storie, vi fate in qualche modo trasportare qui a New York. Perché, tra variante Delta e variante Omicron, i turisti italiani in città sono ancora in numero ridotto nonostante la riapertura dei confini dopo i mesi peggiori della pandemia. Potete vederla anche in un altro modo: se non venite voi a New York, è lei che fa il viaggio in direzione opposta, e per Natale viene a farvi visita nel vostro salotto buono. O davanti al camino, se avete questo privilegio.
Con un po’ di sforzo, e qualche eufemismo, sono sicuro che troverete un modo per vedere questi film senza finire in galera. Alcuni passano sistematicamente in TV sotto le feste. Altri sono periodicamente disponibili sulle varie piattaforme di streaming, anche gratuite. Tra i film suggeriti, alcuni io li ho visti solo in lingua originale, nei miei anni di vita qui in America. La scelta dei titoli non è dettata dalla loro particolare originalità narrativa o qualità cinematografica, ma semplicemente dal legame con New York e dal fatto che ci sia almeno qualche riferimento al Natale. Ho scelto solo film americani per semplicità, non per snobismo. Chi vuole, a questa lista, potrebbe aggiungere anche il “Natale a New York” di Neri Parenti, si, quello con Christian De Sica e Sabrina Ferilli. Oltre ai titoli italiani troverete l’indicazione dei titoli originali e dell’anno d’uscita dei film negli Stati Uniti.
Adesso, mettetevi comodi. Possibilmente, lasciate da parte i pregiudizi. A meno di non avere gravi problemi di salute, o essere sull’orlo di un tracollo finanziario, nella vita reale le festività sono un momento di svago e pausa dalle rogne quotidiane. Possiamo tirare il fiato, stare in contatto con le persone a cui vogliamo bene, anche quelle lontane. O possiamo anche solo esagerare a tavola e alzare il gomito. Insomma, c’è spazio pure per qualche film stupido o sdolcinato, senza martellarsi coi sensi di colpa o con la necessità di dimostrare all’Universo Mondo quanto siamo fighi e intelligenti.
Buona visione!
1) Quando l’amore è magia – Serendipity [SERENDIPITY (2001)]
Non è un film natalizio in tutto e per tutto, Serendipity. E l’ho già menzionato quando parlavamo d’amore e New York. Ma il primo quarto d’ora si sviluppa in un tardo pomeriggio a cinque giorni dal Natale. Tutto parte dal sopra citato Bloomingdale’s, dove Sara e Jonathan si incontrano casualmente mentre cercano dei guanti neri di cachemire da regalare ai loro rispettivi partner. È quello che in gergo hollywoodiano si chiama “meet cute”, il momento chiave di tutte le commedie romantiche che si rispettino. Il primo incontro non si scorda mai. E in questo caso spiega anche il titolo del film, “serendipità”: trovare casualmente una cosa non cercata mentre ne stavamo cercando un’altra. In genere, queste scoperte fatte per puro caso ci fanno gongolare e facciamo di tutto per non perderle. Ma anche nel film, come nella vita reale, tutto si complica per caso o perché amiamo complicarci l’esistenza (già detto).
Ovviamente le commedie romantiche non ammettono vie di mezzo, compromessi, malinconici finali agrodolci. La finzione hollywoodiana non arriva alle vette di dissimulazione di cui è capace solo la vita reale. Mentre voi fatte buon viso a cattivo gioco, “con una moglie e tre bambini, tutte le domeniche ai giardini”, i nostri eroici amanti cinematografici sanno come farsi largo tra le difficoltà, a forza di culo e determinazione. Come avviene nelle pubblicità delle automobili, l’avvertenza è d’obbligo: non provate a ripetere quello che vedete sullo schermo, ché voi non siete cascatori di professione, e sfracellarsi per amore non è proprio… il caso.
I primi quindici minuti del film sono una perfetta cartolina newyorchese sotto Natale. La decorazioni dei grandi magazzini, la neve, il Waldorf Astoria, la pista di pattinaggio a Central Park. C’è solo qualche piccolo inconveniente, con questa cartolina. A Natale, qui a New York, la neve è cosa rara (non siamo a Chicago). Anche per questa ragione i produttori del film non si fecero problemi a girare le scene natalizie in piena estate, nel 2000. La pellicola uscì nelle sale americane nell’ottobre 2001 e l’anteprima internazionale fu al Festival di Toronto, il 13 Settembre 2001, due giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle. In post-produzione fu deciso di rimuovere elettronicamente le due torri da una delle scene panoramiche.
2) Harry ti presento Sally [WHEN HARRY MET SALLY (1989)]
Anche in questo caso non parliamo di un film prettamente natalizio, anzi. Questa, poi, è da sempre considerata una delle commedie romantiche più divertenti, con momenti davvero esilaranti. Merito dei due attori protagonisti, Meg Ryan e Bill Crystal, e delle loro spalle, Carrie Fisher e Bruno Kirby. Però nella vita reale di tantissimi newyorchesi ci sono momenti che si ripetono ogni anno e segnano l’avvio della stagione natalizia. Tipo l’acquisto dell’albero di Natale, come fanno anche Harry e Sally.
Un po’ ovunque in città si trovano in vendita pini a partire dal Giorno del Ringraziamento, a fine novembre. Anche in molti negozi temporanei che vengono allestiti con baracche lungo i marciapiedi. Comprare l’albero in uno di questi posti è newyorchese per definizione, esattamente quanto il bagel o i topi di fogna in metropolitana. E non è mai economico. Quando capisci che in quattro anni di pini avresti invece potuto comprarti un biglietto per l’Europa, decidi di passare all’albero di plastica. Usando un’essenza di pino per dare un tocco di sano realismo olfattivo.
Tornando al film, l’acquisto dell’albero di Natale è una scena muta ma è un momento cruciale del racconto. Arriva dopo la scena memorabile del finto orgasmo di Sally nel deli più famoso di New York, Katz’s. Sulle note di Ray Charles, e della sua “Winter Wonderland”, la città è sotto la neve, con tanto di ragazzini in slitta a Central Park. Subito dopo arriva la festa di San Silvestro, quando Harry e Sally, ballando guancia a guancia, intuiscono che sta nascendo qualcosa tra loro.
Ancora mi fa impressione pensare che quando ho visto per la prima volta questo film, e cioè nell’anno della sua uscita nelle sale, io avevo 20 anni. E non avevo ancora mai messo piede a New York.
3) Elf – Un elfo di nome Buddy [ELF (2003)]
Che succede quando Babbo Natale fa casino con il sacco dei regali mentre si trova in un orfanotrofio? La storia dell’elfo umano Buddy, che dal Polo Nord arriva a New York per cercare il suo vero papà, è Natale all’ennesima potenza. Possono ridere i bambini e pure gli adulti. Tanta New York facilmente riconoscibile, a partire dall’Empire State Building e dall’albero al Rockefeller Center. Per non parlare di Central Park, dove Buddy sfoggia una forza sovrumana nella battaglia a palle di neve e dove atterra pure la slitta di Babbo Natale in difficoltà. L’appartamento del vero padre di Buddy si trova lungo Central Park West, nello stesso palazzo reso celebre dai Ghostbusters. Il grande magazzino Gimbels, invece, è stato ricreato elettronicamente, prendendo come sfondo un palazzo su 5th Avenue all’angolo con 30th Street. Quando il film è stato girato, Gimbels non esisteva più già da anni. E comunque la sua sede era in Herald Square, non lontano da Macy’s, il suo storico concorrente.
Non riesco a immaginare chi altro, meglio di Will Ferrell, con la sua vena di assurdità, avrebbe potuto interpretare la parte dell’elfo. È un attore non particolarmente noto al pubblico italiano, come tantissimi altri che sono venuti fuori dal “Saturday Night Live”, per la semplice ragione che la comicità è spesso legata a riferimenti culturali locali. Quello che fa ridere a certe latitudini, altrove potrebbe essere incomprensibile. La scena più newyorchese di tutte è quando Buddy, da poco in città, tutto entusiasta si congratula con i lavoratori del modestissimo diner al cui ingresso c’è scritto “World’s Best Cup of Coffee”. Gli avventori, che ci immaginiamo non abbiano molte alternative, lo guardano come arrivasse da un altro mondo (appunto). Ma lui, imperterrito: “Congratulazioni! Ci siete riusciti! Il miglior caffè del mondo, bravi!”.
4) Sballati per le feste [THE NIGHT BEFORE (2015)]
Quando il titolo italiano fa a pugni con tutto quanto e ti fa passare la voglia di guardare un film. Complimenti.
Allora, ‘Twas night before Christmas, era la notte prima di Natale. Così inizia “A Visit from St. Nicholas”, la famosa poesia di Clement Clark Moore. È la poesia che negli Stati Uniti lega una volta per tutte la leggenda di St. Nicholas/Santa Claus (Babbo Natale) alla celebrazione del Natale. Conosciuta semplicemente proprio come “La notte prima di Natale” o “Era la notte prima di Natale”. Il film, nel suo titolo originale, fa riferimento a tutto questo.
Uno dei tre amici protagonisti, Ethan (Joseph Gordon-Levitt) perde i genitori poco prima di Natale. Insieme decidono di iniziare una nuova tradizione, quella di trascorrere insieme la vigilia. Lo fanno per oltre un decennio, con eccessi d’ogni tipo. Fino a quando non crescono e arriva il momento dell’ultima volta. Vogliono chiudere alla grande, partecipando ad una festa segreta, il Nutcracker Ball, che hanno inseguito inutilmente durante tutti quegli anni. Si, ci sono droghe, come quelle che hanno sempre accompagnato la loro tradizione. Quelle che la moglie di Isaac (Seth Rogen) regala al marito per l’ultimo momento di follia natalizia con gli amici a pochi giorni dalla nascita del figlio che stanno aspettando. E la marijuana che il campione di football Chris (Anthony Mackie) deve acquistare per i compagni della sua squadra. Ma il film, pur con un Seth Rogen strafatto per gran parte della storia, ruota attorno all’amicizia, alla perdita, al diventare grandi, al superamento delle paure, anche di quelle che non fanno assumere responsabilità in amore.
Poche cartoline, a parte il solito immancabile albero al Rockefeller Center. Ma un paio di momenti newyorchesi su tutti. Quando i tre amici vanno a cena al ristorante cinese, una delle tradizioni più consolidate tra gli ebrei durante le feste di Natale. E poi quando vanno al karaoke bar, dove cantano un classico come “Christmas in Hollis” dei Run-DMC. Il “Christmas holly” è l’agrifoglio che si usa nelle decorazioni natalizie. Hollis è un quartiere di New York, nel Queens. Da qui il gioco di parole.
Film decisamente godibile, ma non so quanto lo sia nella versione doppiata in italiano (che io non conosco). Se lo trovate coi sottotitoli, è meglio.
5) The Family Man [THE FAMILY MAN (2000)]
Molto più provincia del New Jersey che New York City metropoli in questo ormai ultra-classico di Natale. Quando ancora vivevo in Italia ricordo che “The Family Man” era un appuntamento televisivo rassicurante sotto le feste immaginate da Mediaset.
Alla vigilia di Natale sei uno scapolo e ricchissimo uomo d’affari di Wall Street, con tanto d’attico lussuoso a Midtown. A Natale ti svegli, sei sposato, hai due figli, una casa in New Jersey, con tanto di giardino, e vendi pneumatici. Al tuo fianco c’è la stessa donna che 13 anni prima ti aveva supplicato di non partire per Londra, perché altrimenti la vostra storia d’amore non sarebbe sopravvissuta alla distanza. Tu l’avevi rassicurata, ma alla fine aveva avuto ragione lei. Che ci fa adesso la stessa donna nel tuo letto? Carina, è sempre molto carina, non c’è dubbio. Ma questo non era il tuo piano e ora sei nel panico. Devi tornare a Wall Street, dove ti attendono per chiudere una fusione da miliardi e miliardi di dollari, mica pizza e fichi. Tu sei Jack (Nicholas Cage), lei è Kate (Tea Leoni). Tu non la vuoi, questa vita, ma già che ci sei bloccato dentro inizi a pensare che forse potresti almeno farti una delle amiche di tua moglie. Invece finisce che rimani fedele e ‘sta cosa d’essere un padre di famiglia non ti dispiace più nemmeno tanto. Peccato che lo stesso incantesimo che ti ha fatto svegliare in New Jersey adesso ti rispedisce a Manhattan, ché si trattava solo di una magia temporanea. E tu sei di nuovo nel panico, ché forse quello è permanente. Dov’è Kate? Perché ti aveva cercato alla vigilia di Natale, dopo 13 anni di silenzio? E se scopri che se ne vuole andare a Parigi, riuscirai a convincerla che una villetta nel New Jersey è più romantica della Senna? Ma poi, perché mai te ne eri andato a Londra e non eri rimasto con lei?
Tra l’altro, il tuo ufficio a Wall Street non è nemmeno a Wall Street. Perché a Wall Street gli uffici fanno schifo, ché i palazzi sono attaccati gli uni agli altri, e le strade sono strette, e il sole arriva per poche ore al giorno, e dalle finestre la vista è insignificante. Allora la tua produzione hollywoodiana mette l’ufficio su Park Avenue, e questo ti rende più contento. Io, invece, continuo a non capire perché dovrei essere contento di vivere in un condominio su 5th Avenue che si affaccia davanti alla Cattedrale di St. Patrick. Ma ad Hollywood non lo sanno che sotto Natale ‘sta zona diventa un inferno??
6) Il Miracolo della 34ª Strada [MIRACLE ON 34th STREET (1947)]
Babbo Natale esiste, anche se in bianco e nero rende meno (però il nero sfila, si sa, e funziona pure coi vecchietti che fanno indigestione di biscotti una notte all’anno). Si, Babbo Natale esiste, e non lo sanno solo i bambini. È tutto provato davanti ad un tribunale di New York, in un processo a suo carico.
Film da vedere con le nonne, con gli amici avvocati che si occupano di cause del lavoro e con gli amici che si dilettano in mezzo alle perizie psichiatriche. La 34th Street del titolo è quella che fa angolo con 6th Avenue, il vasto isolato di Macy’s, il grande magazzino dove si sacrifica a lavorare pure il vero Babbo Natale quando non riescono a trovare delle controfigure meno ubriache. Perché la carenza di manodopera qualificata era un problema che affliggeva l’economia americana già nel secondo dopoguerra. Babbo Natale fa miracoli. Nel 1947, li faceva anche nel mercato immobiliare.
7) Mamma, ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York [Home Alone 2: Lost in New York (1992)]
Prima viene lasciato da solo a Chicago, poi finisce per errore a New York, mentre la sua sterminata famiglia, tra numerosi fratelli, cugini e zii, è altrove per le vacanze di Natale. Già da questi due episodi è chiaro che Kevin McCallister (Macaulay Culkin), nelle sue disavventure da bambino, ha solo un vero problema: papà e mamma. Gli servirebbe un buon avvocato, al povero Kevin, per ottenere di fronte a un giudice la decadenza della responsabilità genitoriale. Che so, un avvocato come il Vinny Gambini (Joe Pesci) di “Mio cugino Vincenzo” (“My Cousin Vinny”, nel titolo originale). Ma in questo film, ambientato nella nostra New York, Joe Pesci è di nuovo Harry, uno dei due ladri maldestri che avevano provato a svaligiare la casa dei McCallister a Chicago, nel primo film della serie. Insomma, un gran bel casino. Ma Kevin ha imparato a usare la carta di credito, quindi non ci sono problemi per dormire al Plaza e ordinare una limousine con pizza.
Film per tutta la famiglia. Dopo i primi venti minuti arrivano anche le cartoline newyorchesi: Queensboro Bridge, Radio City Music Hall, Chinatown, Battery Park, le Torri Gemelle. Kevin fa tutto questo da solo, ovvio, ché mica c’ha bisogno di una Guida Inutile, lui.
Questo è il film che convince i bambini a voler venire a tutti i costi qui a New York. Magari sotto Natale, con l’errata convinzione che ci sarà la neve. Non sanno, gli sventurati, che New York non è a misura di bambino e nemmeno del portafoglio dei loro genitori. Lasceranno la loro modesta camera d’albergo, dove non avranno pasteggiato a gelato. L’unica cosa gelata saranno i loro piedi e le mani, dopo che papà e mamma li avranno fatti scarpinare per ore, perché siamo a New York e vuoi che non vediamo questo, quello, quest’altro, quell’altro e quell’altro ancora, eh! Se pensavano che Kevin avesse genitori degenerati, distrutti dalla fatica inizieranno ad invidiare la vita segregata di Pietrino Savastano.
8) S.O.S. fantasmi [Scrooged (1988)]
Chiudo con il film più bello, quello che rappresenta davvero lo spirito natalizio. New York è solo uno sfondo, come giusto che sia. Un palazzo su Park Avenue, una fermata della metropolitana nel Queens, il marciapiede opposto al Rockefeller Center e poco più. Però… il titolo italiano… dannazione! Ma come si fa? Solo perché il protagonista Bill Murray era diventato famoso in Italia con “Ghostbusters – Acchiappafantasmi”? L’unica scusante è che abbiamo un patrimonio culturale nazionale diverso da quello anglosassone ed americano. Così nella nostra tradizione natalizia non c’è spazio per Charles Dickens, e il suo “Christmas Carol” (Canto di Natale) con Ebenezer Scrooge, il banchiere avaro, dal prominente naso a punta e che odia il Natale (un filino… antisemita?).
Nella moderna versione di Scrooge abbiamo un Bill Murray nella parte di Francis Xavier Cross, il direttore esecutivo di una rete televisiva. Ha un carattere di merda, pensa solo al lavoro e ovviamente odia il Natale. Come l’originale, anche lui deve fare i conti con tre fantasmi: il fantasma del Natale passato, quello del Natale presente e quello del Natale futuro. Il suo vero fantasma, però, è in carne e ossa. Si chiama Claire, ed è l’amore perduto anni prima. Quando prova a contattarla, e riconquistarla, mostra il peggio di se e quegli stessi difetti che l’avevano allontanata da lui. Un incubo, con tanto di visioni quasi infernali prospettate dal fantasma del Natale futuro.
Il lieto fine arriva, non c’erano dubbi. Il moderno Scrooge-Francis ritrova il suo spirito umano proprio alla vigilia di Natale. È il momento del tradizionale miracolo. Francis davanti alle telecamere, in diretta televisiva, invita tutti quanti ad essere più gentili, a sorridere di più. Perché alla vigilia di Natale, dice Francis, almeno per qualche ora all’anno siamo le persone che speravamo sempre di poter essere. Insomma, è il miracolo della nostra redenzione. Lo sa anche Claire, che con quegli occhi è impossibile non innamorarsi di lei.
Anche qui, stessa avvertenza utilizzata per “Serendipity”, prendendo a spunto gli stuntmen che guidano come spericolati le auto nelle pubblicità. Certo, possiamo essere persone migliori, possiamo cambiare. Possiamo offrire un po’ del nostro aiuto a chi ne ha bisogno. Ha ragione, Francis. Il lieto fine può arrivare per tutti, a volte basta ammettere d’aver sbagliato e chiedere scusa. Ma… fate attenzione quando ci sono di mezzo questioni di cuore! Non provate a ripetere quello che vedete sullo schermo, nella speranza che prima o poi tutto si aggiusti magicamente o il destino inizi a girare dalla vostra parte. Ché voi non siete stuntmen professionisti dei sentimenti, e schiantarsi per amore non funziona (quasi) mai. Accontentavi di altri miracoli di Natale, quelli più prosaici e meno romantici.
Quanto a me, mi accontento davvero di poco. Anche solo del regalo di qualche semplice nota musicale, che porterò appresso nei mesi a venire. Non è una canzone natalizia, magari di quelle sentite nei film che vi ho proposto qui. Ma da giorni ho in testa un ritornello perfetto anche per l’atmosfera di festa e pace che si respira sotto Natale: “I could stay this way forever”…
Si, io potrei stare così per sempre.