Cultura,  Luoghi

Beh, New York è New York

Quanti siamo? Dove andiamo? Verrano pure gli altri? Anche qui a New York, settembre è il mese in cui inizia davvero il nuovo anno. Ma tra le novità del censimento, e l’attesa per un nuovo Sindaco, la cara e vecchia città, con tutte le sue magagne, è sempre lei. Nell’attesa di veder tornare tanti turisti per strada e tanti impiegati negli uffici.


È seduta a terra, sul marciapiede all’angolo opposto, davanti ad un cantiere per un nuovo grattacielo su Flatbush Avenue. Sta in qualche modo provando a stirare le sue gambe. Al suo fianco mi sembra che ci siano delle borse di plastica. Non riesco a vedere bene, perché ci sono altre persone che mi precedono mentre sto attraversando pure io l’incrocio. Avvicinandomi, intuisco che si tratta di una signora non più giovane. Tre uomini che sono davanti a me si fermano e l’aiutano a rialzarsi. Fanno fatica, perché la signora ha un corpo pesante. Mi fermo anch’io, insieme ad altri due ragazzi. La signora riesce a rimettersi in piedi, dice che adesso sta bene e ringrazia per l’aiuto. Prende le borse con gli acquisti e, piano piano, ognuno riprende la sua strada. Non è vero che New York è sempre indifferente, apatica, egoista, rude e volgare. Non sempre. Qualche volta, nemmeno i newyorchesi riescono a farsi gli affari loro.

Mentre mi allontano in direzione Downtown Brooklyn, ripenso ad una lunga telefonata di qualche giorno fa con un amico lontano, in Belgio. Il mio “belga” ha ragione: “beh, New York è New York”.

New York, Midtown Manhattan, 8th Avenue and W 46th Street
Beh, New York è una scritta sul muro

Anche se non vivessi quaggiù, mi fiderei comunque, del mio “belga”. Perché è un torinese che ha vissuto tanti anni a Roma, e poi è andato a lavorare a Bruxelles. Noi torinesi, costantemente ipercritici e lamentosi, siamo una piccola comunità, molto orgogliosa della nostra cittadina, soprattutto quando ci lasciamo alle spalle la sua cinta daziaria. Io speravo che il “belga” potesse venire a finire la sua carriera proprio in qualche ufficio qui a New York, anche se non avremmo potuto fare sempre notte fonda come vent’anni fa. Ma per il momento non c’è verso. Vuol dire che andrò a trovarlo io in Belgio, prima di volare a Torino per una delle mie prossime calate periodiche in Italia, come manco Annibale.

AVREMO SEMPRE BRUXELLES

Bruxelles e New York sono legate indissolubilmente nella mia memoria. Era il novembre 1992 quando sono arrivato per la prima volta a New York, proprio via Bruxelles. La partenza da Torino era stata complicata, perché all’aeroporto di Caselle c’era nebbia fittissima. Ci avevano così imbarcato su un paio d’autobus e trasferiti a Milano Linate. Da lì, in ritardo sulla tabella di marcia, abbiamo poi proseguito con un volo per Bruxelles. Durante il viaggio, io e l’amico Davide abbiamo fatto presente alle hostess (si chiamavano ancora così, e non c’erano praticamente uomini) che avremmo rischiato di perdere la coincidenza per New York. Arrivati a Bruxelles, abbiamo scoperto che al gate della TWA (si, esisteva ancora) erano stati allertati del nostro ritardo e ci avrebbero accolto a braccia aperte, in sostituzione del nostro originario volo previsto con SAS. Gli altoparlanti del terminal storpiavano i nostri cognomi a tutto volume, sollecitandoci a raggiungere alla svelta l’imbarco. Il controllo dei passaporti era stato lungo. Continuavano a chiedermi perché durante l’estate fossi stato in Marocco. Una volta decollati da Bruxelles, dopo appena mezz’ora, siamo stati deviati dalla nostra rotta e ci hanno costretto ad atterrare a Londra, in un aeroporto che non ricordo. A bordo le hostess avevano trovato un pacco sospetto, che non apparteneva ad alcuno dei passeggeri. Ma questa è un’altra storia.

New York, TWA Hotel, JFK Airport
Beh, New York è un albergo dove una volta c’era un terminal

A Bruxelles, ovviamente, siamo poi tornati per il rientro in Italia, a fine di quello stesso viaggio. Un’intera giornata a disposizione per visitare la città. Pochissimi soldi in contanti. Ma abbiamo usato gli spiccioli residui per comprare una copia de “la Repubblica”. Nelle edicole della capitale belga i rari quotidiani italiani (ancora si trovavano le copie cartacee, si) riportavano la notizia esplosiva del giorno: avviso di garanzia per Bettino Craxi. Si, c’erano ancora i socialisti, quelli veri. C’era Tangentopoli, e ci siamo tutti illusi che saremmo diventati una nazione migliore perché sapevamo lanciare monetine senza preoccuparci troppo della mira. Poveri fessi, non sapevamo d’essere irrecuperabili.

L’amico “belga” è venuto in America più e più volte, per lavoro e per vacanza. Ama Chicago, è stato a Washington. E poi, e poi è stato anche nella mia città. Perché… “beh, New York è New York”.

LA QUALUNQUE, TRANNE MAMMA NEW YORK

New York, Midtown Manhattan 8th Avenue and 46th Street
Beh, New York è un divano che attraversa sulle strisce pedonali

Ancora prima di trasferirmi quaggiù, c’erano amici e conoscenti che mi mettevano in guardia su New York. “Si, vabbè”, dicevano. “Ma vuoi mettere Chicago, e Boston, e Washington? E Miami? No, davvero. Non vogliamo parlare di Miami? Ma poi, dico, tua moglie è di Miami, dico io… e voi non ve ne andate in Florida??”. E io, zitto. “Vieni a San Francisco”, mi hanno detto laggiù: “è una piccola New York e si vive meglio”. “No, vieni a Seattle”, mi hanno replicato lassù: è una piccola New York e si vive meglio”. A quel punto, ho capito. Preso armi e bagagli, ho lasciato alle spalle Miami, dove avevo messo base temporanea per tre mesi, e con tutta la famiglia sono venuto a Brooklyn. Il vero “buco del culo del Mondo”, che Bologna… tsé, levati.

Nella mia inutile opera missionaria, volta a diffondere il verbo della vera New York, e non di quella plastificata versione cinematografica venduta da Hollywood, insieme alle serie televisive ambientate a New York ma girate nel sobborgo più famoso di Los Angeles, mi ritrovo periodicamente a constatare un’ovvietà: questa città si ama o si odia. Niente di strano. Vale così per tutto quello che si spinge oltre i confini della mediocrità, intesa alla maniera di Torquato Tasso, cioè la virtù di non essere agli estremi. Lascio l’approfondimento sul concetto di noia, che la mediocrità potrebbe comunque produrre, alle sagge poesie di Franco Califano, buonanima. L’America si ama o si odia, la Juventus si ama o si odia, e cosi via. FVCG, by the way,

New York, Financial District, Church Street and Liberty Street
Beh, New York è un raggio di luce

Gli americani, mediamente (perché sempre nel mezzo, si va a finire), hanno un rapporto che non si può proprio definire d’amore e odio per New York. Non possono davvero odiarla, perché moltissimi dei loro progenitori sono arrivati prima su queste coste, e solo successivamente si sono allargati nel resto del Paese. New York era, letteralmente, il punto di ingresso in America per milioni di immigrati, perché la stragrande maggioranza arrivava dall’Europa. A Ellis Island, il centro per l’accoglienza e lo smistamento degli immigrati ha aperto nel 1892. Da quell’anno al 1954 sono stati oltre 12 milioni gli immigrati ad entrare in America attraverso le sue porte. Nel solo 1907 sono stati un milione e trecentomila a passare da Ellis Island per cercare miglior fortuna.

Nella Storia americana, come noto, a questi numeri si devono sempre affiancare anche quelli degli schiavi arrivati in catene dall’Africa. Dal 1525 al 1808, anno in cui fu impedita dal Congresso l’importazione di schiavi, sono stati poco meno di 400.000 gli africani a raggiungere direttamente i porti degli Stati del sud. Agli inizi del 1860, soprattutto attraverso quello che viene chiamato “incremento naturale”, negli Stati Uniti si contavano 4 milioni e 400mila neri, di cui 3 milioni e 900mila erano schiavi. Le donne in schiavitù dalla Virginia all’Alabama avevano una fertilità almeno doppia rispetto alle schiave nei Caraibi e in Sudamerica.

New York, Manhattan Bridge
Beh, New York è gente che va e viene

Per il censimento del 1860, gli Stati Uniti avevano una popolazione di oltre 31 milioni di abitanti. Nel 1890 erano quasi 63 milioni e nel 1950 oltre 151 milioni. Secondo la storia ufficiale, almeno il 40% degli odierni americani può rintracciare le proprie origini tra i milioni di immigrati che sono transitati ad Ellis Island. Insomma, odiare New York è come odiare il proprio passato. Ma amarla? È tutta un’altra questione. Se la città rappresenta le lontane radici della diversità culturale ed etnica americana, lo stesso non si può dire dello stile di vita newyorchese e della sua urbanizzazione.

NEW YORK, L’ECCEZIONE E LA REGOLA

Praticamente quasi tutte le grandi aree metropolitane americane hanno un denso nucleo centrale e poi una vastissima rete di quartieri e città collegate da grandi strade. È così per Los Angeles, Houston, Miami, Atlanta e tante altre. Questo modello di città allargata a dismisura, e dove l’automobile garantisce quasi tutte le possibili connessioni, è stato reso possibile dalla generosa geografia americana. Tradotto: in America esistono spazi e dimensioni impensabile per l’Europa. In quasi tutte le grandi città americane gli uffici non sono più concentrati in un unico e denso nucleo urbano. Sono invece distribuiti sul territorio, incrementando cosi le opportunità di impiego e la crescita dei campus universitari a supporto delle imprese. Il quartiere generale americano della Toyota , con oltre 4000 dipendenti, si trova a trenta chilometri dal centro di Dallas, in un’area metropolitana dove vivono oltre 7 milioni e 600mila persone.

New York, Central Park
Beh, New York è per quelli che non si sentono piccoli

New York è la vera, grande eccezione rispetto al modello urbanistico americano. La sua è stata una scelta obbligata, dettata dalla geografia. L’area dove sfocia l’Hudson è un immenso porto naturale, gli olandesi lo hanno capito al volo. Ma è una specie di strambo arcipelago. La città si è dovuta sviluppare facendosi spazio su tre isole. Manhattan, lunga e stretta, è la più piccola delle tre. Long Island, sulla cui punta ovest si trovano Queens e Brooklyn, è decisamente lunga ma non particolarmente larga. Staten Island, ancora di recente, era più famosa perché ospitava l’immensa discarica cittadina a Fresh Kills. La concentrazione delle attività economiche in distretti è avvenuta per forza di cose, e allo stesso modo si spiega lo sviluppo del trasporto ferroviario per i passeggeri, che dalla periferia va verso il centro, a Manhattan. Quella di New York è una vasta area metropolitana, la più popolosa degli Stati Uniti. È però arrivata ad un punto di saturazione, e non ha spazi per espandersi. Questo fa andare alle stelle i costi di qualunque lotto di terreno, rende carissimo costruire abitazioni e ancora più caro comprarle. Per questo gli americani della classe media, cioè la stragrande maggioranza, non provano particolare amore per New York, e nessuno penserebbe mai di trasferirsi quaggiù per mettere su famiglia e costruire un futuro economicamente sostenibile. Chi si trova già dentro i confini di questa caotica metropoli , a volte ha poche alternative a disposizione ed è costretto a rimanere. Ma tanti altri, periodicamente, fanno le valigie per trasferirsi in città dove la qualità e il costo della vita sono migliori, lasciando New York agli immigrati. Pure il flusso di quest’ultimi non è più quello di un tempo. E anche per molti di loro New York diventa solo una tappa di passaggio, più o meno lunga, quando non la saltano del tutto.

EHI, GLOBALISTI DI SINISTRA E NAZIONALISTI DI DESTRA: POTETE ODIARE O AMARE NEW YORK, MA POTETE ALMENO FARLO CON COGNIZIONE DI CAUSA, EH?

Se i sentimenti contrastanti degli americani per New York sono chiari, e hanno una logica che affonda nella Storia e nella Geografia di questa giovane e immensa Nazione, quelli degli europei in generale, e degli italiani in particolare, sono coerenti solo in apparenza. L’anti-americanismo, anche senza andare troppo a scavare, si comprende: l’America bastarda, fatti di figli che hanno abbandonato l’Europa, e magari hanno avuto un successo impensabile nelle loro madrepatrie, può suscitare invidia malcelata, nonostante gli europei si sforzino di credere che gli americani muoiano davvero come mosche perché non potrebbero permettersi spese sanitarie stratosferiche. Ma l’amore e l’odio per New York si fondano sulle ragioni meno logiche che si possano immaginare. Sono frutto di ignoranza, di scarsa comprensione della realtà minima di questa città.

New York, Brooklyn, Sunset Park, Third Avenue
Beh, New York è un quadro senza titolo

Prendendo a prestito Giorgio Gaber, divido schematicamente noi italiani in “quelli di destra” e “quelli di sinistra”. Semplificando, e facendo finta che non esistano ampie eccezioni a questa presunta regola: “quelli di destra” sono attratti da New York, ne subiscono la fascinazione, mentre “quelli di sinistra” non provano un particolare interesse, ma la possono in qualche modo tollerare perché sarebbe diversa dal resto dell’America. A questi ultimi, in genere, chiedo: di grazia, in cosa sarebbe diversa? A quel punto si capisce che gli italiani medi hanno la stessa conoscenza degli Stati Uniti che un Americano medio potrebbe avere dell’Italia. No, noi italiani non viviamo tutti a Venezia, magari spostandoci in gondola, e non trascorriamo i nostri pomeriggi a passeggio per Piazza Navona, tanto meno se a Roma ci abitiamo. New York, come già detto in precedenza, con la sua estrema concentrazione abitativa e di funzioni urbane, non è molto rappresentativa delle città americane, nemmeno delle tante e popolose metropoli sparse un po’ ovunque da est a ovest e passando per il Kansas. È invece decisamente più rappresentativa del grande miscuglio di culture ed etnie che è l’America. Certo, il grado di diversità e multiculturalismo non è lo stesso tra città e campagne, può variare da Stato a Stato, da città a città, e da contea a contea. Ma la Storia americana, i cognomi delle sue famiglie, il cibo, e poi la comune lingua inglese, spesso semplificata rispetto a quella parlata dai britannici, raccontano la continua evoluzione di questo esperimento oggettivamente folle: tenere insieme gente dalle usanze e dalle culture più disparate.

Quando questo è chiaro, allora dovrebbe risultare altrettanto chiaro come gli italiani di destra e sinistra, nella loro rispettive visioni di New York, siano prigionieri di pregiudizi illogici, almeno a detta delle loro supposte o professate appartenenze ideologiche. Per gli xenofobi, o anche solo per coloro che preferiscono società culturalmente omogenee, l’America dovrebbe essere il fumo negli occhi, e New York l’esempio estremo del demonio. Per questi paladini dell’identità nazionale, una bandiera e un inno comuni non dovrebbero essere sufficienti a nascondere il magma diabolico che è la società americana. Per gli idealisti delle società libere e dei confini aperti, l’America tutta dovrebbe essere invece l’esperimento per cui tifare, e New York dovrebbe simboleggiare il paradiso comunitario già realizzato sulla Terra. Nella realtà degli schieramenti contrapposti, avviene tutto il contrario. Così quelli di destra amano una città fatta di immigrati, dove gli immigrati continuano ad arrivare senza sosta da duecento anni, e dove negli uffici pubblici ci sono cartelli scritti in una dozzina di lingue diverse. Quelli di sinistra, che si dichiarano cittadini del mondo, e sognano un pianeta globalizzato e senza visti d’ingresso, odiano la stessa città, o quantomeno la snobbano, per il semplice fatto d’essere “americana”, come se questa Nazione non fosse da sempre un miscuglio di genti diversissime tra loro.

New York, Brooklyn, Kensington, Church Avenue
Beh, New York è un marciapiede stretto

I progressisti italiani, come Bernie Sanders (il senatore comunista del bianchissimo Vermont), vedono invece in città come Copenaghen i modelli socialdemocratici da seguire. Grazie al cazzo, come dice la vostra Guida Inutile. E che ci vuole ad essere civili, e a convivere in pace, in un posto dove parlano tutti la stessa lingua e le stragrande maggioranza delle facce sono identiche? Qualche migliaio di pakistani, turchi, iracheni e somali non cambiano il tratto culturale omogeneo della città. L’Europa deve inventarsi i mediatori culturali, per far integrare i suoi immigrati. In America, volente o nolente, l’integrazione avviene in strada, senza che ci sia qualcuno pagato per mediare i conflitti. Anche quando l’integrazione è solo un simulacro, e rimane semplice sopportazione ai minimi livelli, quelli che precedono lo scontro. A New York ci facciamo il dito medio, ci mandiamo a cagare, e come tanti altri americani invitiamo chi ci sta sulle palle a tornare al suo Paese. Ma poi, in una città dove l’estremismo islamico ha ucciso migliaia di persone in due grattacieli, abbiamo donne musulmane che portano a scuola i figli col SUV. E qualcuna, con tanto di velo, riesce pure a guidare una macchina di Uber a Brooklyn… Tanto bella, Copenaghen.

Tornando al centro dell’Universo (o buco del… vabbè), non sono così sicuro che proprio Brooklyn sia il posto più alla moda che esista. In America, Austin e Portland, tanto per dire, cercano sempre di farsi largo tra le città più “cool”. Ma entrambe, per la loro ridotta dimensione, la loro Storia e la loro collocazione geografica, non racchiudono l’impressionante diversità culturale di Brooklyn. E allora non è difficile capire perché Brooklyn riesca ancora a fare tendenza globale. Qui c’è spazio reale per ogni espressione possibile e immaginabile della fantasia umana, senza troppe ossessioni da città capitale o da primi della classe. In questa immensa città dalle tante anime, rintracciabili in centinaia di quartieri, da quelli più eterogenei alle enclave etniche, passando per quelli maggiormente segregati, il suo borough più popoloso si sta piano piano riprendendo la scena che un secolo fa pensava d’aver perso per sempre, quando ha rinunciato alla sua indipendenza per unirsi alla città di New York.

New York, Brooklyn, Bush Terminal Park
Beh, New York è uno spuntino a metà pomeriggio

Nel 1890, due anni prima dell’apertura del centro immigrazione a Ellis Island, New York era una città con appena un milione e mezzo d’abitanti, che comprendeva anche gran parte dell’odierno Bronx. Dieci anni dopo, a seguito del consolidamento con Brooklyn, con la contea di Queens, con quella di Richmond (Staten Island) e con altre piccole città, avvenuto il primo gennaio 1898, New York si è svegliata di botto e si è ritrovata metropoli da oltre 3 milioni e 400mila abitanti, in grado di competere con Londra. La nuova “City of Greater New York”, com’era chiamata dai politici dell’epoca, nel tempo è poi diventata semplicemente New York City.

LA RESA DEI CONTI ALLA MANO

Una mattina di metà agosto 2021, qui a New York, ci siamo di nuovo svegliati più grossi. I risultati del censimento dello scorso anno dicono che nel passato decennio la città ha aggiunto oltre 629.000 abitanti alla sua popolazione. Una crescita di oltre 7 punti percentuali, per voi che leggete questa guida quando siete in vena di statistiche dall’America. Pensavamo che la pandemia, con l’esodo di molte famiglie benestanti, avesse reso New York più snella. Invece ci siamo sbagliati. Non solo, piano piano, alcuni ricchi stanno tornando all’ovile urbano, dopo aver sperimentato la gioia bucolica del lavoro in remoto da qualche sperduta fattoria di campagna. Ancor più rilevante è il fatto che anche le previsioni più ottimistiche, quelle precedenti la pandemia, siano state superate.

New York, Downtown Brooklyn, Jay Street and Willoughby Street
Beh, New York è il ritorno da scuola

Le proiezioni demografiche più ottimistiche, elaborate nel lontanissimo 2013, quando nessuno pensava ad un virus che un giorno avrebbe stravolto anche le nostre esistenze, dicevano che nel 2020 New York avrebbe avuto 8 milioni e mezzo di abitanti. Nel 2019 le stime aggiornate vedevano invece una città di 8.336.000 abitanti, con una popolazione in lento declino e con un calo di oltre centomila persone in tre anni. Il censimento ha mandato all’aria ogni proiezione. Al primo aprile del 2020 (e non è un pesce) la città ha contato ufficialmente 8.804.190 newyorchesi, smentendo così ogni previsione. Forse che quaggiù abbiamo problemi col pallottoliere? No, non a questi livelli. I movimenti migratori, ben prima e poi durante la pandemia, ci sono stati un po’ ovunque, qui in America. E anche a New York hanno interessato migliaia di famiglie che si sono spostate nei confini di questa vasta area metropolitana da 20 milioni di abitanti. Per avere almeno una vaga idea di quanto sia grande e popolosa questa parte dell’America, basta immaginare la Lombardia e poi riempirla con il doppio dei suoi attuali abitanti. Cos’è, allora, che qui a New York rende tanto arduo individuare le persone da contare? Tre elementi: l’inesistenza di un documento simile alle carte d’identità rilasciate in Europa; la comprensibile paura degli immigrati illegali, che preferiscono rimanere ignoti; e l’assenza di migliaia di nuove costruzioni nei registri catastali.

New York, Brooklyn Bridge Park, Jane’s Carousel
Beh, New York è una passeggiata

Una città il cui reale numero degli abitanti è sottostimato, crea problemi ai suoi amministratori, perché fa perdere fondi federali. Questa l’unica ragione per cui tutti i politici newyorchesi temevano il risultato del censimento 2020, e adesso hanno tirato un sospiro di sollievo. Ma davvero New York ha vissuto una crescita vertiginosa della sua popolazione nel decennio appena concluso? Alla stato attuale, non sembra molto probabile. L’ipotesi più realistica è che dopo anni di contraddittorie stime al rialzo e al ribasso, costruite su informazioni e banche dati errate, la città sia finalmente riuscita a contare la sua popolazione effettiva mettendo mano a registri immobiliari antiquati. Se invece fossimo di fronte ad una tendenza reale e consolidata di crescita demografica, allora New York raggiungerebbe i nove milioni di abitanti ben prima del 2040 ipotizzato dagli ottimisti della precedente amministrazione di Michael Bloomberg. Mettiamoci comodi e aspettiamo i prossimi dieci anni…

BILL BYE DE BLASIO

Nel frattempo, dopo due insignificanti mandati, l’attuale Amministrazione di Bill de Blasio sta preparando le valigie. Il prossimo 2 novembre, infatti, New York sceglierà il suo nuovo Sindaco. In realtà, lo ha già scelto quasi tre mesi fa. A giugno di quest’anno ci sono state le elezioni primarie e gli elettori democratici hanno nominato il loro candidato, Eric Adams. Poiché a New York il 70% degli iscritti ai registri elettorali dichiara di votare per i Democratici, chi vince le primarie del Partito Democratico ha in mano le chiavi per insediarsi a City Hall. Con buona pace del candidato dei Repubblicani, Curtis Sliwa (fondatore degli storici Guardian Angels, di cui parleremo un’altra volta), il quasi certo prossimo sindaco di New York, Eric Adams, sta muovendosi da settimane per garantire il necessario consenso politico alla sua amministrazione. Le elezioni di novembre saranno solo una formalità, salvo per i candidati ai 51 seggi del consiglio comunale.

New York, Brooklyn, Shirley Chisolm State Park
Beh, New York è un parco dove c’era una discarica

A maggio, se la memoria non mi inganna, è stata l’ultima volta che ho incrociato il Sindaco De Blasio poco distante dal mio quartiere. Prima di diventare l’inquilino di Gracie Mansion, la residenza dove in genere vivono i sindaci newyorchesi, era anche la zona del suo quartiere. La nostalgia deve essere stata un peso insopportabile, per questo pover’uomo. Durante gli otto anni del suo mandato, quasi ogni giorno De Blasio si faceva scortare in macchina da Manhattan a Brooklyn per andare nella sua abituale palestra, presso la YMCA di Park Slope. Si, il Sindaco più di sinistra e progressista che New York abbia mai avuto da decenni a questa parte faceva almeno 25 chilometri quotidianamente, con due o tre auto, perché non poteva cambiare abitudini. Ciò non gli ha impedito, per otto anni, di fare la predica ai newyorchesi, sulle catastrofi imminenti che ci porteranno i cambiamenti climatici e sulla necessità di utilizzare i mezzi pubblici. La quasi totalità dei media cittadini, progressisti e di sinistra pure loro, non gli ha mai fatto le pulci più di tanto per questa cosa.

Certo, è ipocrisia bella e buona. Ma chi siamo noi, meschinelli, per biasimare le umane debolezze di un povero Sindaco? Più che altro, è la noia generata da certi politici che manda le palle a raschiare l’asfalto. Sostanzialmente, il politico di destra ti dice che sei libero di fare quel che ti pare, e che se non ci riesci, o se la cosa si ritorce contro di te, sono tutti cazzi tuoi e te li devi smazzare da solo. Insomma, prendere o lasciare. Un po’ brutale, magari non tiene in conto se nel passato ci sono state discriminazioni che hanno creato diseguaglianze o se la situazione di partenza era già sbilanciata a sfavore di qualcuno. Ma almeno definisce le regole del gioco, lasciando ai più ottimisti la speranza di farcela. Il politico di sinistra, invece, è come quei padri che non lasciano mai la presa sui figli, quei padri che sanno sempre quale sia il vero bene, quelli che fanno la morale e dicono che ci penseranno loro a levare i figli dai guai. Poi, sistematicamente, fanno tutto il contrario di quello che hanno promesso. De Blasio è il perfetto politico di sinistra. Ma magari c’ha i figli contenti, vai a sapere.

New York, Midtown Manhattan, 42nd Street, Grand Central Terminal
Beh, New York è rilassante

Quando ho incrociato il Sindaco De Blasio su 6th Avenue, a South Slope, stava camminando senza giacca. Nella sua camicia azzurra, sembrava ancora più alto. Soprattutto, sembrava molto più magro, e aveva un’aria dimessa. Non proprio il Fassino newyorchese, ma mica tanto lontano. Gli sono passato a fianco e quasi ho sfiorato il suo gomito, perché ovviamente non eravamo gli unici due a camminare in quel tratto di marciapiede a Brooklyn. Ricordo che indossava un cappello da baseball e che il suo volto era coperto da una mascherina colorata. Sono certo che avesse fatto il suo vaccino almeno già da un paio di mesi, come quasi tutti gli amministratori e i politici di rango. Scommetto che fosse pure ben consapevole, a prescindere dalle linee guida federali, dell’inutilità d’indossare una maschera all’aperto. Ho immaginato, però, che quella mascherina lo aiutasse a passare in qualche modo inosservato, ad avere un minimo di privacy. Anche le sue tre guardie del corpo quasi non si notavano, perché stavano a distanza e credo che avessero pure abbandonato per un giorno i loro tradizionali abiti scuri. Ovviamente, non è stato difficile riconoscerlo, anche se tra la visiera del suo berretto e la mascherina riuscivo a malapena a intravederne solo gli occhi. Ho comunque tirato dritto per la mia strada, facendomi gli affari miei, da buon newyorchese. E non l’ho invidiato. No, non invidio il mio Sindaco. Grandi speranze avevano accompagnato lo sua elezione, ma De Blasio rimarrà nella memoria di tanti newyorchesi come un pessimo primo cittadino. Fossi in lui, pregherei per l’oblio.

“…E UN ANNO SE NE VA”… MA ARRIVA L’ALTRO

Si, l’estate sta finendo anche a New York. Ma qui in America non è che smaniamo più di tanto perché rimanga più a lungo. Quaggiù il luogo della mente deputato per l’inizio della nuova stagione è il giorno successivo al Labor Day. Equivalente del Primo Maggio europeo, ma senza particolare sensibilità politica o in tema di diritti dei lavoratori, il Labor Day è una festività federale che cade sempre il primo lunedì di settembre. A New York è considerato la vera fine dell’estate, perché in genere, a metà di quella stessa settimana, inizia il nuovo anno scolastico. In tanti altri Stati gli studenti tornano sui banchi di scuola già da metà agosto. Il Covid-19, sempre lui, ha complicato il quadro nazionale. Alcuni distretti scolastici (che in questo Paese godono di reale autonomia) hanno deciso di adottare anche per il nuovo anno la didattica a distanza, prevedendo date di inizio differenziate a seconda delle scelte effettuate dalle singole famiglie. New York ha deciso di puntare invece tutte le sue carte su un grande classico del passato: l’aula vera e propria, con tanto di presenza fisica di studenti e insegnanti.

New York, Brooklyn
Beh, New York è da bere

In questo 2021, il giorno del Labor Day non ha segnato solo la fine sostanziale dell’estate, ma anche l’inizio del nuovo anno per milioni di ebrei. La sera del 6 settembre è stata l’avvio dei due giorni in cui si celebra la prima delle più importanti festività ebraiche, Rosh Hashanah. Siamo nell’anno 5782, che è decisamente un numero più attraente del banale 2021.

Pur senza ricorrenze religiose o festive o scolastiche, settembre da sempre è per tantissimi il primo mese di un nuovo anno. Quando ancora vivevo a Torino, aspettavo con ansia l’inizio di settembre, perché avrebbe portato Settembre Musica. Non che fossi particolarmente più snob della media delle persone che frequentavo, o che fossi un amatore della musica classica o un esperto di quella contemporanea. Era prima di tutto il desiderio di dare sfogo all’energia accumulata durante l’ozio estivo, e poi di celebrare con gioia la partenza di una nuova stagione, piena di speranze e aspettative. In tutta onestà, non è che i requiem proposti in qualche chiesa del centro a metà pomeriggio fossero tutta ‘sta ventata d’allegria. Ma a volte c’erano anche solo ragioni più prosaiche che mi portavano a Settembre Musica. Un anno, nella stessa settimana, ho visto ben due concerti dell’ensemble newyorchese “Bang On Can All-Stars”, perché mi piaceva la violoncellista. Brava, tanto brava, proprio brava. Ma quanto era proprio brava… (era bella, si è capito?).

New York, World Trade Center, Greenwich Street
Beh, New York è sempre Fashion Week

Anche qui a New York, non è diverso, e settembre è il mese della rinascita. Lo si capisce già da fine agosto, a dire il vero, quando iniziano le due settimane degli US Open di tennis. Poi settembre è il mese della più importante Fashion Week dell’anno, anche se ormai le settimane della moda, almeno a queste latitudini, hanno fatto un po’ il loro tempo e gli stilisti cercano modi nuovi per arrivare al cuore dei compratori e della stampa. E settembre è il mese di uno dei principali incubi per i newyorchesi al volante: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il più inutile degli eventi planetari rafforza, se ve ne fosse bisogno, il ruolo diplomatico della città. Ma soprattutto, per una settimana interminabile, si traduce in una lista di strade chiuse e traffico deviato, soprattutto nella zona del Palazzo di Vetro.

Questo settembre 2021, almeno qui a New York, sembra però avere qualcosa di speciale e unico rispetto al passato. Sembra, solo perché abbiamo la memoria corta, come quella dei canonici dieci secondi del pesce rosso, l’animale più felice al mondo a detta di coach Ted Lasso. L’impressione è che questo settembre sia accompagnato da una sorta di entusiasmo liberatorio. A differenza dello scorso anno, infatti, tutti i principali eventi sono di nuovo aperti al pubblico. Ad una condizione, però: essere vaccinati contro il Covid. Gli US Open hanno riaperto al massimo della capienza disponibile. Le sfilate della moda non sono state più virtuali. Hanno riaperto pure i teatri Broadway, senza limitazioni al numero degli spettatori.

BALLE, REUTERS E GIALLE

New York, Midtown Manhattan, United Nations Way
Beh, New York è un Palazzo di Vetro alle spalle

Anche l’Assemblea delle Nazioni Unite si è preparata ad accogliere nuovamente Capi di Stato e Primi Ministri. Almeno, quelli che vorranno venire a New York, e con delegazioni ridotte. Per loro non ci sarà bisogno di dimostrare d’essere vaccinati. Secondo una delle principali fonti di informazione globale, cioè l’agenzia di stampa Reuters, le Nazioni Unite adotteranno un cosiddetto “honor system”, basato in pratica sull’onesta dei partecipanti: chiunque entrerà nell’aula dell’Assemblea Generale dichiarerà sostanzialmente d’essere vaccinato, ma non dovrà provarlo. Sempre secondo il resoconto della Reuters, questo sistema fallirà non appena il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro metterà piede sul podio per il suo discorso. Bolsonaro, infatti, non ha mai fatto mistero dei suoi dubbi sui vaccini, e ancora di recente ha dichiarato di non aver bisogno di vaccinarsi, perché avrebbe acquisito l’immunità naturale contraendo la malattia.

C’è solo un piccolo problema, con questa ricostruzione della Reuters: è completamente campata in aria. A fine agosto, come ogni anno, le Nazioni Unite hanno reso pubbliche le disposizioni in merito agli aspetti organizzativi dell’Assemblea Generale. Chiunque può leggerle, a condizione di conoscere l’inglese, il francese, lo spagnolo, il russo, l’arabo o il cinese. E cosa dicono, queste disposizioni di carattere pratico? Le persone ammesse all’interno del complesso delle Nazioni Unite, per partecipare all’Assemblea Generale e ai colloqui di alto livello, devono attestare che nei 14 giorni precedenti non abbiano ricevuto una diagnosi di Covid, non abbiano avuto sintomi e non siano state a stretto contatto con qualcuno che avesse sintomi o una diagnosi di Covid. Sempre secondo quanto emanato dalle Nazioni Unite, i viaggiatori internazionali devono attenersi alle disposizioni locali. Perché se il Palazzo di Vetro è territorio internazionale, l’aeroporto di JFK è invece territorio americano. E i regolamenti americani attuali in tema di Covid prevedono che anche i diplomatici devono solo produrre prova di un test negativo per entrare negli Stati Uniti. Quello per l’ingresso nell’aula dell’Assemblea Generale è, ovviamente, un sistema basato sull’onesta di chi attesta la propria salute. Ma non c’è alcun riferimento alla vaccinazione. Perché allora la Reuters, ripresa da decine di quotidiani e media americani, se n’è uscita con questa informazione grossolanamente fasulla?

Beh, New York è schizofrenica quando c’è di mezzo il Brasile

Semplice: perché è la propaganda che tiene a galla anche il corrotto sistema politico americano. E per vincere le elezioni bisogno convincere a tutti i costi la propria base più fanatica, tenendola su di giri durante una campagna elettorale che non finisce mai. Tutti i media, quaggiù, partecipano a mani basse a questa competizione senza vere regole, anche quelli che si autoproclamano indipendenti e oggettivi, come la Reuters, la Associated Press o la radio e televisione pubblica. Nonostante più di metà della popolazione complessiva americana sia vaccinata, la campagna di sensibilizzazione per una vaccinazione generalizzata non sta dando i risultati sperati dall’Amministrazione Biden. E scaricare le colpe sugli Stati governati dai repubblicani, o dove gli ex elettori di Donald Trump sono ancora la maggioranza, potrebbe rivelarsi controproducente nel breve periodo che porterà alle Elezioni di Midterm 2022.

Anche in una città come New York, dove il Partito Democratico domina con percentuali bulgare, le vaccinazioni proseguono a rilento dopo un avvio che sembrava invece molto promettente. I dati cittadini e le mappe colorate disegnano un quadro molto più complesso delle facili semplificazioni che i Democratici vorrebbero usare per biasimare solo una parte della popolazione. Nei quartieri dove i bianchi benestanti progressisti e gli asiatici sono la maggioranza assoluta, più di tre quarti della popolazione è vaccinata. Nei quartieri centrali di Brooklyn, dove si concentrano gli afroamericani o le enclave ebraiche hassidiche, così come ad Harlem o nella Staten Island dove vivono i bianchi conservatori che hanno votato per Trump, le percentuali di vaccinati oscillano invece tra il 40% e il 50%, nella migliore delle ipotesi. La vasta popolazione latinoamericana, pur non essendo in cima alla classifica delle vaccinazioni, viaggia intorno alla media del 6o%, in linea con il dato nazionale. Insomma, il multiculturalismo newyorchese, la caratteristica che più riempie d’orgoglio chi abita in questa città, si estende anche alla ritrosia per i vaccini. Beh, New York è New York.

New York, Pfizer
Beh, New York è sempre in vena

ASPETTANDO IL SALVATORE DELLA CITTÀ

Seguendo il consiglio immortale degli Earth Wind & Fire, a dicembre ci ricorderemo di settembre, anche se non avremo ballato con la persona amata in una notte senza nuvole. E mica avremo memorie di una notte qualunque, ma di quella del 21 settembre. L’ultimo giorno dell’estate, prima dell’equinozio d’autunno. Peccato solo che, a detta di Maurice White, quando il testo di “September” fu scritto con la compositrice Allee Willis la scelta cadde su “21st night of September” solo per la musicalità delle parole, e non per significare il passaggio delle stagioni. Meglio così, in realtà, perché quella canzona è pura gioia, ascoltata anche a maggio o febbraio.

A dicembre New York avrà già eletto il suo nuovo Sindaco, che entrerà però in carica solo il primo gennaio del prossimo anno. Ci sono grandi aspettative sul candidato democratico Eric Adams, attuale presidente del Borough di Brooklyn. Tanto grandi che, prima delle elezioni primarie di giugno, almeno 80mila elettori tradizionalmente repubblicani e indipendenti si sono registrati come elettori democratici, per poter partecipare proprio alle primarie del Partito Democratico e votarlo. Adams ha un programma a dir poco ambizioso. Sa che deve chiudere il buco di bilancio e trovare da qualche parte gli oltre 5 miliardi di dollari che mancano dalle casse comunali. Vuole attrarre start-up e investimenti, colmando al tempo stesso i limiti della manodopera disponibile, attraverso un vasto piano di formazione e collocamento. Vuole ampliare l’offerta scolastica estiva e portare nelle scuole superiori la formazione al lavoro. Si impegna a creare una rete unificata di ospedali cittadini e vuole lanciare un piano d’educazione alimentare. Sa che deve offrire ai newyorchesi più opzioni abitative economiche. Ma, soprattutto, Adams è consapevole che nessuno di questi obiettivi sarà realistico, se prima di tutto non metterà mano alla criminalità che sta rendendo complicata la vita in molti quartieri, e sta arrivando in zone considerate sicure fino a pochi anni fa.

Beh, New York è un futuro Sindaco che ha fatto il poliziotto

“Se ignoriamo il problema a Brownsville, sfocerà a Broadway”, ha dichiarato Eric Adams ai giornalisti di giornali e tv locali la scorsa settimana. Il candidato dei Democratici si trovava a pranzo in un famoso ristorante cinese di lusso nella Upper East Side adiacente Midtown, ad un paio di isolati dal famoso cubo dell’Apple Store su Fifth Avenue e vicino alla Madison Avenue dei negozi di alta moda. La sera prima, in quel ristorante, due uomini avevano cercato di rubare l’orologio Rolex di uno degli avventori, e nel caos che era seguito ne avevano ferito un altro, con un colpo di pistola. Per i newyorchesi, quella battuta è chiarissima: Brownsville, a Brooklyn, è forse il quartiere più pericoloso di tutta New York, con gang di criminali che controllano interi isolati di case popolari, in un area dove tre quarti della popolazione è afroamericana; Broadway è la New York turistica che tutti conoscono, quella dei teatri e delle luci sempre accese di Times Square, il cosiddetto crocevia del Mondo. La battuta di Adams è importante, perché arriva da un uomo che difficilmente può essere accusato di pregiudizi razziali.

Eric Adams è un afroamericano nato a Brownsville. Prima di fare politica, è stato un poliziotto qui a New York, andando in pensione con il grado di capitano. Quando era nella NYPD si è battuto con altri colleghi per assicurare che i poliziotti fossero chiamati a rispondere delle loro azioni e condannati per i loro abusi. Ma al tempo stesso, grazie alla sua lunga esperienza in strada, sa esattamente dove si annida il problema criminalità, e sa che l’idea di togliere finanziamenti alla polizia (chiesto a viva voce dai progressisti socialisti come la deputata Ocasio Cortez) è pura idiozia. Quando i politici locali come De Blasio (con il supporto di Bernie Sanders) si facevano promotori dell’abolizione di controverse pratiche adottate dalla polizia nel contrasto alla criminalità, Eric Adams difendeva l’utilizzo diffuso del fermo e della perquisizione sulla base del semplice sospetto (“stop and frisk”). Perché sapeva bene che era il sistema più efficace per ridurre il numero di armi in circolazione, anche a costo di perpetrare pregiudizi a danni di migliaia di newyorchesi innocenti, e la cui colpa era solo quella di vivere in quartieri ad alta densità di reati.

New York, Grand Central Terminal
Beh, New York è una stazione ferroviaria che neanche Milano Centrale

Eric Adams non è tipo da farsi incastrare in slogan vuoti come “defund the police” e “black lives matter”, che hanno dominato le manifestazioni di piazza e la retorica dei media nell’estate del 2020. È consapevole che un’esigua minoranza di poliziotti corrotti o che, ancora peggio, abusano del loro potere nei confronti degli arrestati e dei sospetti criminali, non sono e non saranno mai il vero mal di testa di città come New York. Per questo ha vinto le primarie in quartieri dove la criminalità violenta, quella degli omicidi e delle sparatorie tra gang, è un problema sentito quotidianamente e dove gli abitanti chiedono maggior presenza della polizia in strada, non meno poliziotti.

IL RACCONTO DI DUE CITTÀ, LONTANE COME PIANETI

La Upper East Side delle elezioni comunali coincide in gran parte con i confini del Commissariato del 19° distretto. È un’area compresa tra l’East River e Central Park, che si estende dalla East 59th Street alla East 96th Street. È la zona della ricca Park Avenue dove si trova anche il Consolato italiano. Gallerie d’arte e grandi musei, come il Met e il Guggenheim. Palazzi prestigiosi, appartamenti da milioni di dollari. Boutique di ogni tipo lungo Madison Avenue, da Dolce & Gabbana a Valentino, passando per Ralph Lauren. Chi vuole fare acquisti di lusso viene qui, non va nella turistica Fifth Avenue (conosciuta da noi italiani come Quinta Strada). I newyorchesi davvero ricchi, quelli che contano, quelli che hanno il potere, vivono in questi isolati. Secondo le statistiche della polizia, da inizio gennaio agli inizi di luglio, in questo distretto ci sono stati solo tre sparatorie e un omicidio. Alle primarie del Partito Democratico, Eric Adams ha preso in media non più del 20% dei voti in quest’area. Kathryn Garcia, la candidata appoggiata dal New York Times, ha raccolto oltre il 40% dei voti.

New York, Brooklyn, Whole Foods, Katrhyn Garcia electoral campaign
Beh, New York è verde (almeno in campagna elettorale)

Garcia non era nemmeno la più a sinistra tra i Democratici aspiranti alla carica di Sindaco. Maya Wiley, che vive in una multimilionaria casa vittoriana nel quartiere Ditmas Park a Brooklyn, voleva tagliare di un miliardo di dollari il bilancio della NYPD e per tutta la durata della campagna elettorale ha mantenuto un atteggiamento ambiguo a proposito delle armi che i poliziotti possono portare con se durante i pattugliamenti. La stessa Wiley, che girava con lo slogan “defund the police”, non ha potuto negare che la sua famiglia paga un’agenzia di polizia privata per pattugliare l’isolato dove vive. Garcia, invece, per tutta la sua campagna elettorale, ha ripetuto come un mantra che la polizia di New York avrebbe dovuto abbandonare la “cultura da guerrieri” per adottare invece la “mentalità dei custodi”. Insomma, ipocrisia e aria fritta.

Le stesse dinamiche di voto si sono ripetute in tanti altri quartieri della città, creando probabilmente più di un mal di testa nella redazione del New York Times, che per mesi ha fatto finta di non capire che una larga fetta dell’elettorato democratico avrebbe scelto un candidato moderato, di centro, e non una delle tante copie sbiadite della deputata Alexandra Ocasio Cortez. Nella Upper West Side, la zona storicamente di sinistra qui a New York, Garcia ha battuto Adams con una media del 50% delle preferenze. Il 20° distretto di polizia, che copre l’area tra West 60th Street e West 86th Street, da gennaio a luglio ha registrato un solo incidente con esplosione di arma da fuoco e nessun omicidio. Più a sud, nel Greenwich Village e nel West Village coperti dal 6° distretto di polizia, Garcia ha preso più del 50% dei voti, e Wiley più del 20%, staccando nettamente Eric Adams. Reati violenti commessi nella zona nei primi sei mesi del 2021? Tre sparatorie e zero omicidi. Stesse percentuali di voto nella Brooklyn di Park Slope, l’area dove viveva De Blasio. E praticamente nessun problema serio di criminalità: un solo episodio con arma da fuoco e nessun omicidio. Quando parliamo di criminalità seria o violenta, dobbiamo sempre rapportarci alla realtà americana, dove ci sono città come Chicago che negli ultimi 12 mesi hanno registrato poco meno di 800 omicidi. Al confronto, New York City, anche nei suoi quartieri più disgraziati, è un paradiso. Se nelle Upper East Side delle città italiane, tipo i Parioli a Roma, ci fossero un omicidio e tre sparatorie in appena sei mesi, la città sarebbe in rivolta. Ma se è per quello, il Partito Democratico di Roma forse se le può sognare due compagne tanto a sinistra come Wiley e Garcia.

New York, MTA bus, Help Break the Cycle of Violence, iIlegal weapons
Beh, New York è una battuta che viaggia in autobus

Eric Adams ha perso nella Manhattan e nella Brooklyn dei bianchi e dei ricchi, perché nei loro quartieri gli episodi di violenza, tanto meno quella brutale, sono rari. Ma ha preso il 60% dei voti nel Southwest Bronx coperto dal 44° distretto di polizia (8 omicidi e 44 sparatorie, sempre da inizio gennaio 2021 a inizio luglio); oltre il 77% a East New York, Brooklyn (9 omicidi, 34 sparatorie); e oltre il 75% a Brownsville (8 omicidi, 35 sparatorie). I quartieri dove ha vinto Adams non sono le isole felici dove domina la sinistra da salotto o quella degli attivisti. In quelle bolle ideologiche, impermeabili a tutto quello che avviene fuori dai loro confini, gli abitanti non hanno timori per la loro sicurezza. Ma le cose potrebbero cambiare in fretta, e Adams lo sa bene. Il ristorante dove è avvenuta la sparatoria per il Rolex si trova a East 60th Street, proprio agli inizi di quella Upper East Side che gli ha preferito Kathryn Garcia con le sue strambe idee sulla polizia custode.

Negli stessi giorni successivi a quell’episodio che ha scosso il quartiere più ricco di New York, Eric Adams ha rilasciato una lunga intervista a Bloomberg TV. Si tratta di uno dei tanti media dell’immenso colosso dell’informazione finanziaria che è Bloomberg. Con i suoi terminali, Bloomberg arriva sostanzialmente in ogni azienda americana e ha il suo quartier generale qui a New York. Come il suo proprietario, il miliardario Michael Bloomberg, l’agenzia non nasconde le sue simpatie per la sinistra moderata, ma conosce bene le esigenze del mondo imprenditoriale. Quando Adams si è seduto davanti alle telecamere di Bloomberg TV, sapeva di dover lanciare un messaggio chiaro a chi investe milioni di dollari in questa città, e ne paga altrettanti in tasse.

New York, Midtown Manhattan, 7th Avenue and 53rd Street, Robert Indiana Hope Sculpture
Beh, New York è senza speranza ma non lo sa

Già lo scorso settembre il mondo degli affari newyorchesi aveva lanciato un grido d’allarme a Bill De Blasio. In 160, tra amministratori delegati e capi d’azienda, da Mastercard a Pfizer, avevano firmato una lettera aperta in cui chiedevano all’amministrazione cittadina di rispondere alle preoccupazioni dell’opinione pubblica newyorchese in tema di sicurezza pubblica e qualità della vita. A un anno di distanza, Eric Adams ha voluto rassicurare gli imprenditori, promettendo d’essere da subito un Sindaco che intende riportare ordine nelle strade della città. Law and order, non proprio parole d’ordine nell’attuale deriva populista del Partito Democratico americano. “La percezione è realtà”, ha detto Adams, riferendosi al senso di insicurezza di cui si sta facendo portavoce da mesi.

Dallo scorso anno Adams, in più di un’occasione, è intervenuto pubblicamente per segnalare il degrado di quartieri dove bambini, anche piccolissimi, vengono uccisi perché si trovano incolpevolmente al centro di uno scontro a fuoco tra gang rivali, o perché raggiunti da proiettili sparati durante banali litigi per un parcheggio. Nell’intervista a Bloomberg TV ha ricordato un recente episodio di violenza accaduto a Times Square, dove una bambina di tre anni è rimasta ferita da un colpo di pistola esploso durante un litigio tra venditori abusivi di cd. “Chi vuole fare il turista in una città dove crede di poter essere in pericolo?”, ha detto Adams al suo intervistatore. E la sua domanda non è affatto retorica. Perché nella percezione di tanti americani, città come New York non sono sicure, sono anzi da evitare. Quando quello stesso sentimento si fa largo tra gli imprenditori e gli investitori, cioè il nucleo centrale della base imponibile di ogni città americana, iniziano i dolori per chi deve governare e ha bisogno di risorse economiche.

New York, Hell’s Kitchen
Beh, New York è un’amica che ti porta un caffè freddo

In quanto afroamericano, poi, Eric Adams dovrà riflettere su due numeri usciti dal censimento. In tutta New York la popolazione nera è calata del 4%, e con una punta del 9% a Brooklyn. Nel borough più popoloso della città, e di cui Adams è ancora il Presidente, in dieci anni gli afroamericani sono passati da poco meno di 800mila a 730mila. Diverse le ragioni.

La “gentrificazione”, con l’arrivo di professionisti dagli stipendi elevati in quartieri una volta popolari, e la successiva crescita esponenziale dei valori immobiliari, hanno sicuramente giocato un ruolo nei movimenti demografici. Molti afroamericani hanno deciso di tornare al sud, andando ad ampliare la popolazione di città come Atlanta, il cui costo della vita è più abbordabile. Ma gli analisti e gli studiosi di urbanistica sanno che gli afroamericani, come avvenuto in passato in tante altre comunità che cercavano progressivamente di affrancarsi dalla povertà, stanno abbandonando le grandi metropoli americane, per trasferirsi nei “suburbs”. Gli obiettivi sono sempre gli stessi: scuole valide e città più sicure. A New York, per esempio, nell’area sud del Queens e di Brooklyn, esistono quartieri molto più simili ai tradizionali “suburbs” americani, con case indipendenti. Storicamente, in questi quartieri le famiglie medie afroamericane hanno trovato migliori condizioni di vita rispetto alle case popolari nate come transizione negli anni Sessanta e poi diventate ghetti stabili nella Lower East Side e ad Harlem, come a Brownsville e East New York. Ma la saturazione del territorio, e rigide regole in tema d’edificazione, impediscono un ulteriore sviluppo, facendo così impennare i prezzi delle poche abitazioni disponibili. Questo spinge molte famiglie a lasciare la città.

New York City, 34th Street
Beh, New York è giusto lì fuori

EPILOGO (OTTIMISTA)

Nessuno qui a New York dubita che Eric Adams sarà il prossimo Sindaco. Così come nessuno crede veramente che un giorno New York possa diventare una città organizzata, pulita e civile come Copenaghen, anche se costruiamo pure noi piste ciclabili nei posti più inutili. Secondo un recente rapporto elaborato dall’Intelligence Unit del settimanale inglese Economist, la capitale danese sarebbe la città più sicura al mondo. Gli analisti dell’Economist hanno creato 5 indici per dare un voto a sessanta città: sicurezza digitale, sicurezza personale, sicurezza ambientale, sicurezza in tema di salute e di infrastrutture. Nella classifica generale, Copenaghen è al primo posto con un indice complessivo pari 82.4 su 100, mentre con 77.8 New York è dodicesima. Tra le due italiane considerate nel rapporto, Milano è ventisettesima con 71.3 e Roma si piazza di poco sotto, al ventinovesimo posto, con un indice di 69.4 punti. Tanto per avere un’idea generale, Bruxelles è ventiseiesima con 73.6, Pechino ottiene 63.8, Istanbul 62.9, Mosca 62.5, New Delhi 56.1, Cairo 43.7. Nella classifica più specifica sulla sicurezza personale, Roma è ventitreesima con 69.4, Milano ventiquattresima con 68.7, New York ventisettesima con 66.9. A questo punto, pur con tutto doveroso il rispetto e timore reverenziale per gli analisti del più famoso settimanale economico al mondo, inizio ad avere qualche dubbio sulla bontà di questi indici e delle relative classifiche. Quando vedo che Chicago, la città che ha una media di almeno due omicidi al giorno, è al trentesimo posto di questa graduatoria sulla sicurezza personale, con un punteggio di 64.9, non ho più dubbi. E mi faccio una risata. L’aria fritta non è solo una prerogativa degli aspiranti Sindaco di New York.

New York, Radio City Music Hall, Rosh Hashanah 2021, Happy 5782, L’Shanah Tovah
Beh, New York è già anni avanti

No, New York non diventerà mai come Copenaghen, niente paura. Diciamo che ci accontentiamo di poco, quaggiù. Non vogliamo rinunciare alla nostra sacrosanta libertà, anche quando ha un costo salato. Ma non saremo mai pronti nemmeno per la perfetta anarchia. Vecchi newyorchesi lasceranno questa città spesso invivibile, e migreranno nella nuova frontiera che è il vasto sud di questa Nazione ancora più immensa. Magari un giorno non troppo lontano lo farà anche la Guida Inutile, mai dire mai. Nuovi newyorchesi arriveranno da un po’ ovunque. Legalmente o clandestinamente, dal resto dell’America o dal solito mezzo mondo. Come chi li ha preceduti, porteranno speranze nuove, energie fresche, abitudini strampalate. Molti faranno di tutto per non integrarsi e per rimanere ostaggi di quelle catene mentali che hanno provato a lasciare alle spalle; ma i loro figli diventeranno veri newyorchesi, parlando un inglese che sarà sempre più lontano da quello parlato al di la dell’Atlantico.

New York passerà altri momenti tragici. Affronterà altre sfide che sembreranno in grado di darle un definitivo colpo di grazia. In questo settembre 2021, la città ha appena celebrato il ventennale di una di quelle sfide che non l’hanno affatto piegata, anzi. Le Torri Gemelle non ci sono più, ma New York è sempre qui. Perché New York è strong, è tough.

Beh, New York è memoria

L’ultimo giorno dell’estate 2021, qui a New York ha coinciso con il primo giorno dell’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite. A Midtown il traffico era caotico come sempre. E anche i marciapiedi erano affollati, nonostante molti newyorchesi non siano ancora rientrati negli uffici. I turisti americani si vedono, tornano anche in posti che erano stati dimenticati quasi del tutto, come Grand Central Terminal. Quelli europei, vaccinati, potranno finalmente tornare in città da novembre. Io aspetto quelli italiani, e sono contento.

Ho lasciato Torino da tanto tempo, ormai, saranno nove anni a fine ottobre. Ma sono sempre ostaggio della mia vecchia abitudine d’andare a comprarmi qualcosa da Eataly. Farinetti dovrebbe regalarmi come minimo un buono sconto per la fedeltà cieca. Pane, tarallini, aranciata e mortadella, la prossima volta tornerò con la scusa dello speck e della toma piemontese.

Con la mia borsa della spesa raggiungo la fermata della metro F, su 23rd Street e 6th Avenue. Sul pianerottolo che interrompe le scale a metà c’è un uomo anziano. È fermo, e si sorregge su un deambulatore senza rotelle. Procedo per qualche scalino davanti a lui, poi mi blocco. Mi giro e gli faccio un cenno per capire se vuole essere aiutato. Mi guarda storto, ci manca poco che non mi insulti. Lascio perdere e proseguo, ripetendo tra me e me che non sono cazzi miei. “Mind your own fucking business, Denis”.

Beh, New York è un paio di cuffie e via

Arrivo sulla banchina e aspetto il treno, pensando ancora per un attimo a quel vecchio un po’ scorbutico. Ma sono sereno, si. Rassicurato nelle mie poche certezze. Mi metto le cuffie alle orecchie, e mi isolo pure io.

Beh, si: New York è proprio New York.

Meno male.

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