New York, esterno giorno
Canne da pesca, canne, roditori, preghiere, moda, celebrità. Due piani sequenza, senza pagare il biglietto del cinema.
SCENA 1, BROOKLYN BRIDGE PARK, ESTERNO GIORNO
Immancabile, eccolo lì, il traghetto che fa la spola con Staten Island. Impossibile non notarlo, è come un rettangolo arancione che si muove su uno schermo dominato da sfumature di grigio e blu. Il mio sguardo è però attratto dalla piccola barca a vela che la prospettiva fa navigare al suo fianco. Si muove veloce, questa barca a vela, tanto veloce. Ci sarà di sicuro un motore a spingerla.
Come tante altre volte, voglio solo perdermi con la mia musica a tutto volume nelle cuffie mentre faccio pranzo. L’elicottero che sembra girare all’infinito attorno alla baia trova modo di infilarsi pure lui nelle mie orecchie. Lo maledico, insieme ad un frammento di pizza che è andato a incastrarsi tra le gengive. Ovviamente, continuo a mangiare come nulla fosse.
Ho con me tutto lo stretto necessario per sopravvivere mezza giornata fuori casa. Una penna, un taccuino, una mascherina, la bottiglia d’acqua, il disinfettante per le mani, altra pizza. La giacca a vento, leggerissima, so già che non servirà. Il cielo è terso, l’aria calda, la brezza minima. Dannazione. Tutto l’indispensabile, tranne uno stuzzicadenti. La lingua spinge verso la gengiva, ma non mi aiuta, la pizza è sempre lì. Pure l’elicottero sembra non voler atterrare mai. La situazione non migliora, perché ne arrivano almeno altri due.
Alla mia sinistra viene a sedersi un uomo. Dopo qualche minuto, arriva una donna alla mia destra. Le panchine, in questo tratto del parco sull’East River, sono lunghissime, letteralmente una attaccata all’altra. Alla nostre spalle abbiamo i campi da calcio. Davanti a noi il panorama è più vario. Offre Governors Island, la Statua della Libertà, la punta di Manhattan e il Ponte di Brooklyn.
L’uomo fissa l’orizzonte, sembra quasi pregare. Forse è solo il mio pregiudizio. È vestito di nero, ha il capo coperto dalla kippah. Non giro la testa, ma ho l’impressione che stia borbottando tra se e se. Magari anche lui sta solo maledicendo qualcosa. Io bevo dell’acqua, provo una specie di risciacquo senza sputare, ma la pizza è sempre lì.
La donna alla mia destra è più vicina a me. Ha due canne da pesca. Riceve una telefonata, sorride, poi inizia i preparativi del suo rito. Mi domando se non sia il caso di spostarmi, per darle maggior spazio di manovra. Ma anche questo potrebbe essere solo un preconcetto. Non so assolutamente una mazza, di pesca. Nei moli newyorchesi si vedono tanti pescatori, qualche volta anche in giovane età. Ma è comunque raro vedere delle donne.
Da un paio d’anni, più o meno, faccio una pizza da urlo. La domenica mattina mi metto di buzzo buono e impasto. A metà pomeriggio sono pronto, con tutti gli ingredienti per le diverse versioni. Funghi, acciughe, peperoni. E tanta mozzarella da pizza, quella per uso professionale. Formaggio fresco a pasta filata, direbbero i regolamenti europei. Latte vaccino pastorizzato, sale, caglio, fermenti lattici. Una mozzarella più asciutta rispetto a una fior di latte o a una bufala. In Italia è usata ovunque, nei forni elettrici, anche se i puristi non lo sanno. In America si vende ovunque, e i puristi italiani sono schifati.
La mia pizza, dopo quattro giorni, è ancora uno spettacolo. La metti su una padella per un minuto o due, e tutta la mozzarella che ricopre il bordo riprende vita, torna croccante. Non lontano da dove sono seduto, c’è la possibilità di fare il barbecue, perché il Brooklyn Bridge Park vuole essere democratico, aperto a chi arriva da quartieri più poveri. Potrei accendere un piccolo fuoco e mettere la pizza sulla griglia. Troppo laborioso, mi accontento di mangiarla tiepida. Intanto, pare che quella telefonata abbia davvero messo di buon umore la mia vicina.
Le sue canne da pesca sono pronte, il rito preliminare è quasi completo. In genere, mi faccio gli affari miei e apprezzo sempre quando gli altri fanno lo stesso con me. Non c’è nulla di più bello e intimamente newyorchese che farsi i cazzi propri. Però, con un minimo di attenzione alla tempistica, qualche battuta veloce si può scambiare.
La signora mi dice che è vero, si, ci vogliono tanta passione e pazienza per pescare, e anche solo per prepararsi alla pesca. Ma che è molto rilassante. Mi racconta che fino a qualche mese fa andava a pescare sul lato opposto dell’East River, a Manhattan. Ma che poi c’era troppo gente, e stavano lì a parlare in continuazione. Rispondo che la lascio in pace, allora, e che posso muovermi un po’ più in là. È gentile, dice che non devo spostarmi, c’è spazio per tutti. Mi dice che non sono tante le donne con la stessa passione, ma lei ha dimostrato che anche una donna può pescare.
Mentre armeggia con l’amo, il verme le morde un dito. Si gira verso di me e dice che non capiterà più. Prende il piccolo coltello che ha con se e taglia la testa al verme. Raccolgo le mie cose. La saluto, non prima d’averle chiesto se è possibile dire buona fortuna ai pescatori. Sono pur sempre un italiano superstizioso, aggiungo. Ride, buona fortuna è perfetto. Mi augura buona giornata e io a lei. La mia pizza è sempre lì.
Dissolvenza.
SCENA 2, UPPER EAST SIDE, ESTERNO GIORNO
Trovare parcheggio su 93th Street è stata una grande botta di culo. Ma non riesco a godermela. Ho lasciato spazio a sufficienza dall’idrante sul marciapiede? Ci sono i canonici 15 piedi d’ordinanza? Arriverà un poliziotto pignolo a farmi la multa? Mi devo preparare a fare ricorso? Posso allontanarmi o devo stare nei paraggi per dare un’occhiata di tanto in tanto alla macchina? Pensa se non avessi trovato parcheggio.
Ed Sheeran è di spalle, sta fumando un sigaro enorme mentre cammina lungo 3rd Avenue. Non è l’unico a fumare. C’è un tizio malandatissimo che si sta facendo una canna, svaccato a terra, vicino ad uno di quei totem a tutto schermo che hanno sostituito le vecchie cabine del telefono. Offrono informazioni utili, wifi, e pubblicità. Qualche tempo fa questi chioschi erano dotati di piccoli monitor per collegarsi ad internet. Erano usati prevalentemente per potersi masturbare in strada.
Vicino al tizio della canna, che pensa d’essere in Giamaica, c’è un poliziotto. Anche lui perso, ma nello schermo del suo telefono. Dopo un po’ entra in banca, senza curarsi minimamente dello stordito che fuma. Probabile che non lo avrebbe cagato di striscio anche se la marijuana non fosse stata legalizzata. Una ragazza butta un’occhiata veloce al poveraccio, giusto per essere sicura di non inciampare mentre sta bevendo il suo caffè. La capisco, soprattutto se il caffè è ancora allo stato lavico.
Incrocio Keith Richards, che se ne va in giro con la maschera di Mick Jagger e dei foltissimi capelli bianchi. Ma non credo che lui lo sappia, e nemmeno la donna che gli sta accanto, forse la badante. Se è per quello, non credo nemmeno che adesso Ed Sheeran se ne vada in giro a fumare sigari pestilenziali su 3rd Avenue. Ha detto d’essere positivo al Covid e che si è messo in quarantena volontaria. Si, Ed Sheeran è di sicuro a casa. Dove? E che ne so, io.
Quest’estate Robinson Crusoe ha fatto milioni di dollari costruendo capanne per mangiare all’aperto nei ristoranti. Milioni di roditori hanno celebrato, qui a New York. Uno di questi, abbastanza grosso, sta attraversando il marciapiede. Due donne davanti a me si fermano e indietreggiano un po’, per non ostruirgli il passaggio. Sembrano schifate. Io incrocio lo sguardo di una terza. Osserviamo la scena, ci scambiamo un sorriso di rassegnazione, alziamo le spalle e continuiamo per la nostra strada.
Devo fare pipì. Forse potrei entrare al caffè di Ralph Lauren e dirigermi alla toilette. Sembra tutto molto elegante, pure i tavolini e gli ombrelloni per dimenticare il cielo grigio. Si, forse dovrei entrare e basta. Anche perché nel giro di questo isolato su Madison Avenue ci sono solo le tredicimila vetrine di Ralph Lauren, e nulla più. Oppure potrei semplicemente andare a pisciare in qualche cesso a Central Park. È autunno, il tutto suona tremendamente incantevole. Il sole prova a farsi notare.
Davanti ad una delle fontane del MET, il Metropolitan Museum, avviene un miracolo. Un papà riesce a far stare ferma la figlia mentre le scatta una fotografia. È tutto contento, e pure io vorrei andare andare ad abbracciarlo, ché lo capisco. Ma la minzione chiama. Vado a passo spedito verso The Ramble, dove sono certo che c’è un bagno pubblico. In questa finta foresta i cellulari prendono senza problema. Il mio telefono squilla. Rispondo. Si, sono io. Si, si, in mezz’ora riesco a tornare indietro. Ma ora devo assolutamente pisciare. No, no, questo lo dico solo tra me e me.
Sono in perfetto orario, la vescica vuota mi rende ancora più leggero nell’andatura da marciatore. Davanti al Guggenheim vedo una piccola coda per entrare. Sempre più lunga, comunque, dell’unico disgraziato che ho visto davanti ad un ingresso secondario del MET, dove c’è un seggio allestito per il voto anticipato. A inizio novembre si elegge il nuovo sindaco, ma la democrazia si sveglia almeno due settimane prima.
È una vergogna che i topi non possano votare, qui a New York.
Dissolvenza.