Ché polvere sei e polvere ritornerai
Memento homo (e ricordati pure tu, donna): mantenendo le dovute distanze, passeggiare fa bene anche in tempo di peste. A spasso per le colline di Brooklyn dove la pace regna per sempre.
[Prima di perderti nella lettura, puoi aprire su Spotify la colonna sonora che ho scelto per questo post]
NOVITÀ! La vostra Guida Inutile ha trasformato il contenuto di questo post in un “non-libro” che potete scaricare e leggere con calma quando volete, senza essere collegati ad internet. È un “non-libro” perché si legge in fretta, tornando a casa in autobus o quando si aspetta che il treno faccia finalmente capolino in stazione. Due formati disponibili per la vostra lettura lontani dalla rete: un comune EPUB e un AZW3 per chi usa Kindle. Buon divertimento!
Come se i brufoli non bastassero, è arrivato pure il coronavirus. Tenersi per mano andando in giro? Baciarsi in pubblico? E se poi qualcuno si sogna di chiamare la polizia perché non stai tenendo la distanza d’ordinanza? Dagli all’untore. Essere adolescenti ai tempi di Covid deve fare davvero schifo.
Per i giovani “millennials” non dev’essere poi molto meglio. La New York contemporanea non è la Firenze di Boccaccio. A meno di non appartenere alla classe dei tanto benestanti come gli hipster toscani del 1348, che abbandonavano la città per lasciare la peste ai disgraziati senza seconde case, ben pochi quaggiù possono scappare sulle spiagge degli Hamptons. Devono invece accontentarsi del sesso virtuale su Zoom. Sperando poi che tra le centinaia di novelle scritte in queste giornate di clausura nei parchi cittadini qualcuna diventi un romanzo, e possa finalmente garantire un affitto decente a Brooklyn.
Che poi, almeno qui nell’arcipelago di Nuova York, non c’è un obbligo ferreo di soggiornare presso la propria dimora. È consentito allontanarsi dalla magione per una passeggiata, e pure senza bulletta di sanità. Il punto è: dove andare, senza cozzare nella plebaglia di untori tuoi consimili che pretendono d’osservare le novelle consuetudini di buona creanza sol perché coprono narici e fauci con una benda? Come i più fedeli di voi rammenteranno da precedenti epistole, nel loro girovagare per Nuova York anche i peripatetici più accorti devono rassegnarsi e insozzarsi di sterco, ché la peste non va per il sottile.
Fine aprile, è un pomeriggio d’inizio primavera. (Si, quando ho iniziato a buttare giù i primi appunti per questo lungo post era ancora aprile). Qui a New York, quando va di lusso, la primavera arriva quasi sempre solo a fine aprile. Dopo mesi dove sono diventate grigie pure le cornee, anche un infatuato del cemento come il sottoscritto, avvertiva il bisogno d’un bagno di vera natura, e non la solita sgambata per gli isolati di quartiere. Ho abbandonato il confino casalingo e sono andato a cercare un percorso meno battuto, dove in genere non c’è quasi mai nessuno.
Sono arrivato a destinazione. Non posso certo parlare di folla, ma questa volta non sono proprio l’unico ad aver avuto la stessa idea. C’è il sole, mi godo la mia passeggiata tra i saliscendi. Tutto intorno gli alberi stanno finalmente colorandosi di verde, e pure i ciliegi sono in fiore. Non visto, mi fermo a sbirciare due ragazzi. Mi sento un vecchio guardone, cosa che in realtà sono stato negli anni della pre-adolescenza, quando gli ormoni cercavano una via di consolazione nella fuga di qualche centimetro di pelle nuda. Adesso sono solo vecchio. Ma non riesco a smettere di guardare questi due giovanissimi sdraiati sull’erba. Lei continua parlare e lui ascolta. Attorno a loro non c’è anima viva. Letteralmente. Benvenuti al Green-Wood Cemetery.
ATTRAZIONE FATALE
Ho sempre avuto una certa infatuazione per i cimiteri. Un giorno scriverò la “Guida Inutile Gravere” e ci sarà sicuramente un post dedicato al cimitero di questo semi-sconosciuto paese della Val di Susa. Con tanto d’immancabili ricordi di gioventù. Quando nelle notti di piena estate, con altri goliardi, vagavamo irrispettosi per le tombe, fingendo ogni volta che qualche mano sbucata dalla terra afferrasse le nostre gambe per trascinarci dai morti viventi.
Forse arduo vendere un’escursione al cimitero di Gravere. Ma quello di Amalfi è uno dei posti più incantevoli dove sia mai stato. Tra le mie memorie romane più indelebili ci sarà sempre qualche scalinata o una terrazza al Gianicolo. Ma è al Cimitero del Verano che ho visto una giovane donna che sembrava uscita da un vecchio film, e non mi sono mai più dimenticato la sua foto.
Il Cimitero di Green-Wood, qui a Brooklyn, occupa un’area decisamente vasta. Per tornare a Roma, diciamo che è grande tre volte il Verano. Non è un cimitero monumentale nel senso che conosciamo noi italiani. Nella nostra tradizione funeraria, anche a non conoscerne le origini o le cause, non c’è molto spazio per il verde. Il cimitero monumentale all’italiana è soprattutto un giardino di pietra.
Si, certo, anche al Cimitero di Green-Wood ci sono statue e monumenti dappertutto. Se cerchi una tomba a forma di piramide, la trovi. Alcuni mausolei sono maestosi, come quello della famiglia di Steinway and Sons, la famosa dinastia di costruttori di pianoforti. Non è da tutti farsi costruire una tomba che possa ospitare oltre 250 inumazioni. Ma la dimensione monumentale di Green-Wood non si traduce in quel senso di sovraffollamento condominiale che caratterizza tanti storici cimiteri italiani. Per la semplice ragione che questo cimitero è prima di tutto un parco. Un parco grande come Villa Doria Pamphili, visto che tutte le strade riportano a Roma.
Escludendo i piccoli campisanti che si trovano nei cortili delle chiese (come quello famoso di Trinity Church a Wall Street, ben noto pure ai turisti perché vi è sepolto Alexander Hamilton), o le centinaia di tombe che si trovano sparse nei parchi cittadini, a New York ci sono almeno trenta cimiteri veri e propri.
Al confine tra Brooklyn e Queens, già nel territorio di quest’ultimo, c’è quella che viene chiamata la “Cemetery Belt”. Una lunga striscia verde piazzata quasi nel centro geografico della città (che non è Manhattan, sapevatelo). Una dozzina di cimiteri dove sono sepolti qualcosa come cinque milioni di newyorchesi. Solo nel più grande di tutti, il Calvary Cemetery, se ne contano tre milioni. A Calvary, si, il sovraffollamento è reale, le tombe si susseguono senza soluzione di continuità. Andate a riguardarvi “Il Padrino” (l’originale “The Godfather” sarebbe preferibile), e vedrete che pure Vito Corleone è sepolto a Calvary.
Nell’attesa di tornare a Brooklyn, ma perché mai nel Queens ci sono tutti questi cimiteri? Perché nella prima metà dell’800, miei cari, New York era ancora un posto decisamente malsano, come lo erano un po’ tutte le grandi città di cui abbiamo dimenticato la storia e che oggi hanno l’insopportabile bollino di “suggestive”. Si crepava in abbondanza e, come sempre, gli spazi erano ridotti all’osso (mai locuzione fu più appropriata). Saliamo sulla macchina del tempo, senza allacciare cinture di sicurezza.
VEDI NEW YORK E MUORI
Prima di pensare quanto sia malsana oggi New York, l’attuale epicentro americano della pandemia che starà con noi a lungo, basti immaginare che nel 1800 la stragrande maggioranza dei newyorchesi faceva la cacca in baracche costruite nei cortili. Questo fertilizzante notturno (quaggiù romanticamente chiamato “night soil”) veniva raccolto ogni giorno e portato chissà dove, il tutto senza mascherine N95 o guanti in lattice. A New York febbre gialla, tifo e colera si sprecavano. In quel secolo la città ha avuto ben cinque epidemie di colera: 1832, 1849, 1854, 1866, e 1873. Lo so che le date sono noiose. Ma tenendole a mente capiremo perché le città prendono una certa piega invece di un’altra.
In quella New York ottocentesca, dove escrementi e rifiuti erano parte integrante del paesaggio stradale, i maiali giravano allegramente per la città, e ben oltre i bassifondi della Lower East Side. Solo dopo l’epidemia di colera del 1849 fu fatto divieto di tenere maiali in gabbia a sud di 86th Street, e il divieto arrivò con dieci anni di ritardo. Per capirci, i lavori per creare Central Park sono iniziati nel 1857 e il suo confine sud si trova sulla 59th Street. Era normale imbattersi in maiali attorno a 50th Street, in quella che ora chiamiamo Midtown.
I proprietari di questi suini anarchici erano tra i disgraziati più fortunati. Famiglie povere, appartenenti alla cosiddetta “working class”. Per queste famiglie, un maiale era una risorsa preziosa: di proteine e di reddito supplementare. Poco importava, a questi reietti, che i maiali diffondessero malattie sguazzando tra sterco e rifiuti. Quando le autorità sanitarie cittadine, ossessionate dalla salubrità ambientale, organizzavano retate e cacce al maiale, scoppiavano vere e proprie rivolte per fermare i cacciatori comunali.
Questi masse di “poveri vergognosi”, ovviamente, erano immigrati. Nel 1830 New York (cioè Manhattan) aveva solo 200.000 abitanti. Ma vent’anni dopo erano già mezzo milione e nel 1880 oltre un milione e 150.000 persone si accalcavano sull’isola. Un po’ ovunque c’erano enclave di immigrati: irlandesi, tedeschi, scozzesi, inglesi, olandesi, francesi, italiani, scandinavi, latinoamericani, ebrei dell’Est Europa.
I nuovi newyorchesi vivevano in condizioni squallide, pigiati all’interno di appartamenti piccolissimi, dove fogne e acqua corrente erano solo un sogno. Alcuni fortunati abbandonavano New York e si traferivano nella zona di Williamsburg a Brooklyn (che fino al 1898 è stata una città autonoma), o a Hoboken, nel New Jersey. Tra queste centinaia di migliaia di immigrati, polmonite e tubercolosi erano all’ordine del giorno. Nei quartieri più poveri gli immigrati avevano tassi di mortalità ben più alti dei newyorchesi nati in America.
ANCHE DA MORTI LA VITA È SEMPRE STATA COMPLICATA A NEW YORK
Già a partire dal 1830, quando Manhattan aveva solo un nono della popolazione che avrebbe avuto cent’anni dopo, seppellire persone sull’isola era un affare decisamente problematico e costoso. Su una piccola isola, la terra scarseggia per definizione, e per definizione è maledettamente cara. La legge della domanda e dell’offerta accompagna gli esseri umani da sempre.
I cortili delle chiese e delle sinagoghe, così come i terreni appartenenti a famiglie benestanti, ospitavano cimiteri. Nei due chilometri di diametro tra City Hall e la punta di Manhattan, cioè Battery Park, nel 1820 se ne contavano ventitré. In tutta Manhattan, nello stesso periodo, c’erano cento cimiteri. Ma la situazione era insostenibile. A Downtown cresceva giorno dopo giorno la domanda di terreni per lo sviluppo immobiliare. E l’opinione pubblica era sempre più convinta che colera e febbre gialla fossero il risultato dei miasmi provenienti dalle tombe, oltre che degli sversamenti di liquami vari nelle falde acquifere.
Costruire sopra i cimiteri, come pure è stato fatto, non risolveva il problema di seppellire migliaia di defunti. Le tombe di marmo, con il loro portentoso potere isolante, erano una soluzione eccellente, se non fosse stato per il loro costo improponibile per i disgraziati che si ostinavano a morire poveri. Quando la città ha iniziato a vietare la costruzione di cimiteri nell’estremità sud dell’isola, e poi il divieto si è progressivamente esteso più a nord, le associazioni, le chiese e le sinagoghe che gestivano i cimiteri hanno iniziato a vendere i terreni sui quali sorgevano e sono andate a cercarne di nuovi nelle vaste aree rurali delle contee vicine, Kings (Brooklyn) e Queens.
A metà del 1800, mentre la città di New York (coincidente con la contea che porta lo stesso nome e con l’isola di Manhattan) aveva già mezzo milione di abitanti, nella contea del Queens vivevano solo 36.000 persone. In quel territorio ancora scarsamente urbanizzato c’era tutto lo spazio possibile e immaginabile per lucrare sulla costruzione di nuovi e indispensabili cimiteri.
Nel 1846, al prezzo di 18.000 dollari, i fiduciari della Cattedrale di S. Patrick riescono a comprare un lotto di 80 acri (32 ettari) nel Queens. L’obiettivo è farne il primo nucleo di quello che sarà un grande cimitero, il Calvary Cemetery. Nel 1847 lo Stato di New York approva una legge per regolare la costruzione di cimiteri nelle aree rurali, ponendo un limite di 200 acri (81 ettari) alla loro estensione. Il 31 luglio 1848 il Calvary Cemetery accoglie la sua primissima sepoltura. Negli anni si espanderà, e diventerà il più grande cimitero americano per numero di persone sepolte (tre milioni, già dovreste sapere). Sarà il primo pezzo della lunga cintura dei cimiteri che si svilupperà nel Queens, aiutando tutta la città di New York a crescere.
Quando Calvary muoveva i suoi primi passi nel grande business della sepoltura, a Brooklyn il Cimitero di Green-Wood era già una macchina che girava a pieno ritmo. Non solo. Era anche una destinazione turistica.
TRA LE ALTURE DI GREENWOOD E QUELLE DI GREEN-WOOD
New York è una città di mare, anche se chi ci abita tende a dimenticarlo. Se non fosse per i grattacieli e gli alti palazzi, da anni peraltro non più confinati solo a Manhattan ma in espansione anche a Brooklyn e Queens, la città sarebbe geograficamente un luogo piatto. Eppure le sue isole non sono proprio una tavola.
I nomi dei quartieri di New York testimoniano che un minimo di elevazione naturale esiste pure quaggiù. Nel Queens abbiamo Jackson Heights e Forest Hills. A Manhattan, lungo il fiume Hudson, ci sono Morningside Heights e Washington Heights. Nel Bronx troviamo Woodlawn Heights (dove si trova l’omonimo cimitero di Woodlawn), e poi ancora Morris Heights, Castle Hill e Fordam Heights. A Staten Island, il borough che anche nella sua apparizione dall’omonimo traghetto è il più collinoso di tutti, ci sono Grymes Hill, Dongan Hills e, soprattutto, Todt Hill, il punto naturale più elevato di New York City, con i suoi vertiginosi 122 metri di altezza.
Brooklyn non ha le vette di Staten Island. Ma tra colli, collinette, alture, promontori e pendenze varie ha un assortimento imbattibile, almeno nei nomi. Solo andando a naso, direi che tra i nostri quartieri non del tutto pianeggianti abbiamo: Boerum Hill, Cobble Hill, Clinton Hill, Brooklyn Heights, Park Slope, Bay Ridge, Crown Heights, Prospect Heights, Dyker Heights, Cypress Hills.
I quartieri cambiano velocemente. Vecchie palazzine vengono giù in un attimo, sostituite da palazzi alla moda. Le ristrutturazioni delle case unifamiliari a due piani ridisegnano i colori di interi isolati in meno di un lustro. Per commercializzare questi nuovi sogni abitativi, gli agenti immobiliari devono inventarsi nomi nuovi per vecchi quartieri in trasformazione. È così che qualche anno fa è sbucato Greenwood Heights, sfruttando il fatto che confina proprio con lo storico cimitero di Green-Wood (si, il nome del quartiere ha perso il trattino tra “green” e “wood”).
In effetti, il vecchio South Slope faceva un po’ tristezza. Andava giusto bene per le anonime famiglie di operai italiani e polacchi che in queste strade in salita sono vissute per decenni. Ma ora siamo arrivati noi benestanti della classe media di liberi professionisti, creativi, consulenti del no profit e tutti quelli a cui il coronavirus ha chiuso ristoranti e caffè tenuti in vita dai nuovi immigrati latinoamericani. Abbiamo cacciato i vecchi immigrati, seppellito il nome del loro quartiere e adesso preghiamo che quelli nuovi non vengano decimati da Covid-19. Il tutto mentre denunciamo le disuguaglianze del Mondo. Siamo la “overclass”, la “managerial elite”, se preferite. Anche teste di cazzo rende l’idea, si capisce da Vanchiglia al Pigneto.
Il punto naturale più alto di Greenwood Heights, che poi coincide con la vetta più alta di tutta Brooklyn, sta proprio dentro il Cimitero di Green-Wood. È Battle Hill, con i suoi 66 diconsi sessantasei metri di elevazione. Il nome dice che l’attuale atmosfera di quiete e pace ha una storia molto più turbolenta.
L’INDIPENDENZA AMERICANA NON È MORTA SULLE COLLINE DI BROOKLYN
Avendo voi di certo tenuto a mente tutte le date della New York ottocentesca, dovreste ormai sapere a menadito che nel 1832 c’è stata la prima delle cinque epidemie di quel glorioso secolo. E aver ormai compreso che i cimiteri ricavati nei cortili delle chiese di Manhattan erano spaventosamente sovraffollati, come gli stessi letali bassifondi dove la gente crepava delle peggio malattie.
Un gruppo di visionari e facoltosi newyorchesi decise di comprarsi un bell’appezzamento di terreno sulle colline di Brooklyn, con l’intento di ricavarci un cimitero. Ma non uno di quei cimiteri fatti giusto solo per ospitare l’ultima dimora e via, dimenticato da tutti. No, avevano un piano ambizioso. Volevano creare un’oasi di pace nel verde, aperta ai visitatori. Avevano in testa il Cimitero di Père Lachaise a Parigi e, soprattutto, un modello più vicino alla loro sensibilità estetica: quello del cimitero di Mount Auburn a Cambridge, nel Massachusetts.
L’area scelta, poi, non era un posto come un altro. Su quelle colline si era combattuta la Battaglia di Long Island, cioè una delle battaglie più importanti della Guerra Rivoluzionaria Americana (quaggiù nessuno la chiama Guerra di Indipendenza). La prima e la più grande battaglia di tutta la guerra. Per lungo tempo poco menzionata dagli storici, perché il suo esito si prestava poco ai racconti epici dove i nostri spaccano le reni al nemico. Probabile che gli stessi ideatori del Cimitero credessero che solo pochi scontri diretti fossero davvero avvenuti su quelle colline, e che il grosso della battaglia si fosse verificato più a nord.
La battaglia di Long Island non era andata bene per gli americani. Il 27 agosto 1776 i soldati guidati da George Washington erano stati sconfitti dalle più numerose giubbe rosse dell’Esercito britannico. Male informato, Washington e i suoi 6.000 uomini pensavano che si sarebbero trovati di fronte a 8.000 soldati inglesi. Furono invece 20.000, e alla disfatta seguì la perdita dello strategico porto di New York per tutto il resto della guerra.
Messa giù così, una tragedia, di quelle capaci di troncare per sempre le gambe. Ma convinse invece Washington e i suoi ufficiali che la guerra sarebbe stata lunga, sanguinosa e degna d’essere combattuta. Sappiamo tutti com’è andata a finire. Ogni 4 luglio essere inglesi da queste parti è fastidioso. E ricorda al resto del mondo che dare gli americani per spacciati, come avvenuto regolarmente dal Vietnam allo Sputnik, e come ancora avviene, è sempre una grande cantonata.
LA STORIA NELLO STORICO CIMITERO DI GREEN-WOOD
Fondato nel 1838, i lavori di costruzione del Cimitero di Green-Wood iniziarono nel maggio 1839. Il 5 settembre del 1840 avvenne la prima sepoltura. Ad oggi nei suoi 478 acri (pari a 193 ettari) ci sono i resti di circa 600.000 persone.
Dopo lunghi studi d’archivio che ne hanno rivalutato la portata, la battaglia di Long Island è uscita dall’ombra. Nel 1920, per onorarne i caduti e su iniziativa di un’allora importante uomo d’affari di Brooklyn, Charles Higgins, nel Cimitero di Green-Wood è stata innalzata una Statua raffigurante la Dea Minerva. La statua doveva essere originariamente rivolta verso il Woolworth Building di Manhattan (all’epoca edificio più alto al mondo). Poi il progetto venne cambiato e fu deciso che la Statua della Minerva avrebbe salutato la sua più famosa sorella nella baia di New York, la Statua della Libertà. E così fu.
Sul punto più alto del Cimitero di Green-Wood, Battle Hill, c’è anche un altro monumento che ricorda caduti di guerra. Ma quel memoriale è stato pensato per un conflitto molto più tragico, il più sanguinoso di tutta la storia americana e che ha rischiato di distruggere per sempre l’idea di questa Nazione: la Guerra Civile. La Colonna di dieci metri è collocata su un piedistallo e fu eretta a soli quattro anni dalla fine della guerra, nel 1869. È dedicata a chi ha perso la vita per salvare l’Unione.
Con tutto il suo immenso carico di eventi drammatici, dal settembre 2006 il Green-Wood Cemetery è iscritto ufficialmente nel Registro Nazionale dei Luoghi Storici degli Stati Uniti. Ma su queste colline di Brooklyn non ci sono solo capitoli fondamentali della Storia americana e poi della tormentata Storia di New York. Questo grande cimitero è davvero un parco come pochi altri.
Fu il suo disegno ad ispirare successivamente la progettazione di Central Park. Da quassù si possono godere panorami unici sulla città e sulla baia. Nonostante sia facilmente raggiungibile anche con la metropolitana, ha perso negli anni la sua attrattiva turistica di massa. Ci sono visite guidate, e vengono organizzati eventi commemorativi. Ma si stima che al Cimitero di Green-Wood arrivino non più di 270.000 visitatori all’anno, cioè poco più della metà di coloro che lo visitavano nella seconda metà dell’800.
IL TURISMO MUORE MA NON TROVA POSTO AL CIMITERO
Che per i mesi o anni a venire New York vedrà un calo vertiginoso di turisti, mi preoccupa in prima persona. Come preoccupa gli oltre 300.000 newyorchesi che quaggiù di turismo vivono. Ogni anno i visitatori di questa città spendono direttamente qualcosa come 46 miliardi di dollari. A questa spesa, si deve aggiungere quella generata dalla medesima industria turistica, che a sua volta deve comprare beni e servizi per funzionare. Tirate tutte le somme, sull’economia di New York l’impatto di 65 milioni di visitatori all’anno è pari a quasi 70 miliardi di dollari.
Semplice da capire. Se tu mi paghi per visitare Brooklyn, io poi magari mi compro la pasta italiana che tuo fratello produce a Chieti, anche se decisamente più cara. E poi pago pure il fornitore tedesco, con sedi in New Jersey e Pennsylvania, che mette a disposizione il server per questa “Guida Inutile”.
Che inutile non è, perché tu mi scrivi chiedendomi suggerimenti per visitare la città e poi, dopo che te li ho dati e ti ho fatto un piano per due giorni, mi dici che è caro (anche se sapevi già la mia tariffa ancor prima d’iniziare il teatrino). E vieni lo stesso a New York, girando a gratis con le mappe scaricate sul telefonino. Io non piango, rido. Perché riesco a guadagnare anche quando tu credi d’essere furbo. Ti dirò: se il pastificio licenziasse tuo fratello, guadagnerei anche di più. Ma questa è un’altra storia. La mamma dei fessi è prolifica, gaudeamus igitur.
Quando in queste settimane anche il sottoscritto invita conoscenti, parenti e amici a stare a casa, sa benissimo che ci stiamo tagliando da soli il ramo sul quale siamo seduti. Certo, vogliamo salvare i nostri nonni, i genitori, i familiari più deboli e a rischio. Ma ci è stato spiegato in tutte le salse possibili, quelle che si trovano ogni giorno sugli scaffali di Lancet (quando non vende campagna elettorale) e Nature, che senza vaccino non andremo da nessuna parte. Continueremo ad ammalarci e alcuni di noi diranno addio per sempre.
Con tutti i test e tamponi di questa terra sapremo quanti di noi sono malati, certo. E metteremo questi disgraziati in quarantena. Ma avremo fermato un bel niente. Stiamo solo prendendo tempo, perché sarebbe un pugno allo stomaco vedere ancora ospedali quasi ai limiti del collasso. Non vogliamo vedere crepare i nostri cari, tanto meno vogliamo crepare noi. Tutto molto ragionevole. Quando anche chi lavora dietro a un computer non vedrà becco d’un quattrino come elettricisti, parrucchieri, baristi, camerieri e pure inutili guide turistiche, vedrai dove andrà a finire la ragionevolezza e la pressione per stare in casa.
MO’ VAI DI LÀ E SEGNATELO: SE MAI UN GIORNO TORNERAI A NEW YORK, IL CIMITERO DI GREEN-WOOD VALE IL VIAGGIO (IN METROPOLITANA)
Comunque. Qui, alla fine di questo post celebriamo il fatto che il Cimitero di Green-Wood non sia affollato di turisti (di sicuro, non quelli che vorrebbero farti lavorare gratis). In genere non è mai affollato di esseri umani e basta. Si trova lontano dalle mete imperdibili, che sono tali perché la lista della spesa di un turista medio è così lunga che per vedere tutto quello che rende speciale la vita a New York dovrebbe venirci a vivere, e non sarebbe nemmeno sufficiente (con o senza Covid a tormentare le probabilità della sua sopravvivenza).
Il Cimitero di Green-Wood è davvero un’oasi di pace. Ogni passeggiata è una scoperta. Sufficiente abbandonare le strade asfaltate, prendere i piccoli vialetti e ci si può anche trovare letteralmente nel bel mezzo di un bosco. Ci sono pure quattro laghi artificiali. Dall’ingresso principale su 5th Avenue sino al lato opposto, che si trova all’angolo tra McDonald Avenue e Fort Hamilton Parkway, c’è una distanza pari almeno ad un chilometro e settecento metri. Tenuto conto dei saliscendi, e delle strade che curvano in continuazione, il tragitto è decisamente più lungo.
Come in tanti altri cimiteri di New York, anche qui sono sepolti personaggi famosi. Alcuni sono noti soprattutto a queste latitudini, e ancor di più se si hanno un minimo di conoscenze della storia politica della città. Ma almeno un paio, nella loro vita terrena, hanno lasciato eredità in grado di renderli immortali e conosciuti ben oltre la cinta daziaria: Leonard Bernstein e Jean-Michel Basquiat. Il primo è stato compositore, pianista e direttore per molti anni della prestigiosa New York Philarmonic. Tra le sue colonne sonore note anche al grande pubblico, “West Side Story” e “Fronte del porto”. Il secondo è morto giovane con un’overdose d’eroina, Però con i suoi dipinti è arrivato postumo al Whitney Museum e pure al MoMA.
Che andar per cimiteri non sia più di moda come nel secolo scorso, ci sta. La contemporanea iper-sensibilità verso la morte e i sopravvissuti mal si sposerebbe con un parco affollato continuamente da visitatori in cerca di relax. Ma il relativo oblio in cui è caduto il Cimitero di Green-Wood ha anche spiegazioni più semplici. Si trova schiacciato tra due quartieri dove non mancano parchi grandi e piccoli, mete privilegiate per decine di migliaia di newyorchesi soprattutto nei mesi più caldi.
Le prime settimane di convivenza con le chiusure dettate dal coronavirus, e con gli inviti a rimanere il più possibile a casa, hanno tuttavia fatto riscoprire il Cimitero di Green-Wood a tanti che ne conoscevano al massimo solo il nome. Avevo un segreto, condiviso con pochi altri amatori degli ambienti funerari. Adesso quel segreto è sulla bocca di tanti residenti di Brooklyn. Troppi.
PIÙ DISTANTI CHE AL CIMITERO NON SI PUÒ
Mantenere un cimitero come questo ha costi enormi. Per aumentare le entrate, alla fine degli anni ‘90 è stato creato un fondo che raccoglie donazioni. Vengono periodicamente organizzati concerti, o serate di conversazione in cui il tema è la morte. Il Cimitero di Green-Wood offre tour a pagamento, con tanto di piccoli autobus che conducono ai principali punti di interesse storico. Per sostenere le attività e la manutenzione del Cimitero si fa ricorso ai volontari.
Una struttura come questa, già sotto stress in tempi normali e costretta a razionalizzare i suoi bilanci, riducendo per esempio gli orari d’ingresso o le giornate in cui tutte le entrate sono accessibili, in questi mesi dominati da COVID-19 ha deciso comunque di fare uno sforzo in più. Per venire incontro alle esigenze della comunità, e accogliere i tanti in cerca di un luogo dove poter camminare mantenendo le necessarie distanze fisiche, il Cimitero di Green-Wood ha deciso di aprire tutti e quattro i suoi ingressi ogni giorno dalle sette del mattino alle sette di sera.
Come spesso accade quando offri più spazio d’azione agli esseri umani, c’è qualcuno che prende il nobile concetto di libertà e lo porta agli estremi. In genere, così facendo, questi individui mettono a repentaglio le conquiste di tutti. Vale per i massimi sistemi come per le piccole cose d’ogni giorno. Non dovrebbe nemmeno servire la stesura di un elenco di regole da rispettare all’interno d’un cimitero: anche se sembra un parco a tutti gli effetti, NON è un parco. Il rispetto per i defunti dovrebbe essere l’unica regola necessaria. Ma COVID-19, per una minoranza globale che non si sa quanto piccola, dev’essere una situazione dove l’emergenza è quella di tirare fuori alla svelta il peggio di se.
Così, dopo la prima settimana di aprile, il direttore di Green-Wood è stato costretto a lanciare un appello su Facebook. Quello originario prevedeva anche la minaccia di chiudere il cimitero. Poi, forse su suggerimento di qualche anima pia, il tono è cambiato. Non la sostanza. Il direttore ha ricordato a tutti che al cimitero non si può correre o andare in bicicletta, che non si possono raccogliere fiori dalle tombe, che sulle medesime non ci si può arrampicare e che la stessa cosa vale per gli alberi. Insomma, ha dipinto il quadretto della famiglia media di Park Slope. Dove ai pargoli dei genitori più creativi al Mondo (scrittori, giornalisti, cardiologi, filantropi, artisti e venditori di vino) è permessa la qualunque pur di non comprometterne lo sviluppo.
Nelle mie recenti visite, devo ammetterlo, non sono riuscito ad imbattermi in nessuna di queste situazioni. Peccato, avrei volentieri liberato il Catone che tengo nascosto dietro il fegato. Sono anche riuscito a mantenere l’equilibrio su un paio di pendii precari, nonostante ruzzolare non fosse previsto tra le attività censurabili e vietate.
EPITAFFIO EPILOGO
Il coronavirus e Covid-19 passeranno (forse). Magari ci vorrà ancora un po’ di tempo, nessuno ha la risposta. Quelle che circolano sono contrastanti e dobbiamo augurarci che gli scenari più apocalittici possano davvero verificarsi (avete letto bene), altrimenti i ricercatori che li hanno prospettati come probabili metteranno un’altra badilata di terra sulla fiducia nella scienza. Chi pensa che ne possa nascere presto una nuova, adeguata alla complessità dei tempi moderni, secondo me non sta prestando molta attenzione…
Con un po’ di fortuna, il novello coronavirus si porterà via almeno alcune delle stranezze di queste interminabili settimane di semi-quarantena. Tipo quella d’andare per cimiteri a cercare una fuga dalla massa di untori, privando noi insopportabili snob del piacere d’una passeggiata solitaria e insolita.
A proposto di fughe improbabili. Vivo a New York da oltre sette anni e ancora non sono andato in pellegrinaggio alla tomba di Houdini.
Tanti cari e affettuosi saluti dal Cimitero di Green-Wood.
2 commenti
Riccardo
Bellissimo!!!!!
Ti ho mai detto che mio bisnonno emigrò a NY a fine 800?
Rimase lì per circa 15 anni, poi tornò a Gravere.
Quando tornerò a NY un piccolo tour per cimiteri lo farò sicuramente.
Mi ha affascinato il tuo racconto
Un abbraccio
DENIS SPEDALIERI
Cioè… Tu vuoi dirmi che dopo tutti questi anni… è la prima volta che sento la storia del tuo bisnonno a New York?? Wow!! Grandissimo. Soprattutto il ritorno a Gravere. Cerca qualche altra storia e scriviamo a due mani la “Guida Inutile Gravere”! Riccardo caro, ti aspetto. Ciao!