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“Leave the gun, take the cannoli”: vado a Little Italy

San Gennaro, lo ammetto: una volta all’anno sono nostalgico pure io e voglio venire alla tua festa.


Quando devo andare o voglio andare a Manhattan a piedi, in genere attraverso il ponte che porta lo stesso nome. 

Abitando vicino al cimitero di Greenwood, a Brooklyn, la strada più comoda è quella che prima di tutto, in circa mezz’ora, mi porta su Flatbush Avenue. Poi, una volta lì, lo stesso rettilineo quasi perfetto di Flatbush Avenue mi porta sul Manhattan Bridge. Totale: in poco più di un’ora e mezza di camminata da casa mia sono all’inizio di Chinatown, all’incrocio tra Canal Street e la Bowery. Prendete appunti pure voi. 

VACANZE A NEW YORK, SI FA PER DIRE

Il Ponte di Brooklyn visto da uno squarcio della rete protettiva del Manhattan Bridge (perché i barbari che vengono a New York e si credono di fotografare per il National Geographic non si sono ancora estinti)

Perché quando vorrete fare i coraggiosi, e andando in direzione opposta vorrete mettere piede a Brooklyn durante la vostra vacanza a New York (hahahaha!!!hahahahhah!!!hahahahhaha!!!!!), la cosa migliore sarà proprio quella di attraversare il Manhattan Bridge. Perché ci vuole più fegato a fendere la folla del Brooklyn Bridge, dove potreste rimanere accecati da un bastone per i selfie, che non attraversare un ponte dove lo sferragliare dei treni della metro è pressoché costante e vi impedirà di parlare tra voi o anche solo di percepire la musica in cuffia.

Quando hai nelle orecchie della musica che ti potrebbe trasportare ovunque e attraversi il Manhattan Bridge e sogni d’essere in spiaggia e non riesci comunque a sentire una beneamata mazza perché la metro scorre di continuo a due metri da te

Ah, ridevo perché per gli americani l’idea d’andare in vacanza a New York è come per noi italiani pensare d’andare in vacanza a Milano. Non hanno nemmeno tutti i torti.

A New York ci puoi fare un paio di giorni, andando per mostre o concerti, o lasciando un rene a Broadway, o il quinto delle stipendio a fare shopping. Ma non certo considerarla una metà per le vacanze. Quelle dovrebbero essere riposo, con le chiappe in acqua salata o a mangiare burro prodotto illegalmente in qualche vallata dove potresti arrivare comodo comodo con la tua 127. Non vagare in mezzo ad altri milioni di individui furiosi, magari deambulando con lo sguardo da zombie che hanno dimenticato la via per tornare in albergo.

Comunque, gli americani vanno in vacanza a Milano (hahahaha!!!hahahahhah!!!hahahahhaha!!!!!), ché voi manco avete idea quanto stia diventando di tendenza da queste parti.

Fine della divagazione, la mia meta è Manhattan. Perché tutti gli anni, in un pomeriggio libero di metà settembre, laggiù c’è sempre una destinazione immancabile: Little Italy.

LITTLE ITALY, IL CONSIGLIO CHE NON TI ASPETTI DALLA PUR SEMPRE ANTICONFORMISTA “GUIDA INUTILE NEW YORK”

New York, Little Italy, “Feast of San Gennaro” (settembre 2019)

Già li vedo, i più snob tra voi, sorpresi di leggere l’affermazione di cui sopra.  “Ma dai, Guida Inutile! Little Italy?? Ma per favore!! Roba per turisti, e pure paccottiglia”. Come se voi foste invece Indiana Jones. Come se le vostre recenti escursioni estive con i cammellieri vi avessero trasformato in Lawrence d’Arabia e infuso la stessa conoscenza delle tribù beduine. Eravate a fare un giro per turisti, lo sapete, vero? Certo che i ristoranti e le botteghe di Little Italy sono aperti per accogliere nella stragrande maggioranza turisti alla ricerca della vecchia presenza italiana a New York. E sono turistici come le bancarelle sulla Rambla, mentre noi pensiamo di trovarci la vera Barcellona (quella l’ho trovata solo io, modesto).

Ma Little Italy è più autentica di quanto non appaia dalle tavole apparecchiate su Mulberry Street, dove i nostri connazionali vi chiederanno a qualsiasi ora del giorno se volete fermarvi a mangiare spaghetti e vongole. A Little Italy c’è davvero la storia delle centinaia di migliaia di italiani, poi diventati quattro milioni, che sono arrivati in America tra gli ultimi vent’anni dell’800 e il primo decennio del ‘900.

Leave the gun take the cannoli
“Il Padrino” non è stato solo fonte di pregiudizi per gli italoamericani, ma anche di citazioni memorabili

Non vi racconto adesso la Storia degli Italiani in America. Del fatto che è pur sempre un italiano come Amerigo Vespucci che ha ispirato il nome del continente, che l’architettura italiana ha ispirato parte della Capitale Washington, che New York ha avuto e ancora ha sindaci dalle origini italiane e che i cognomi italiani a Hollywood si sono sprecati, da Coppola a Scorsese, da Pacino a De Niro fino all’onnipresente Tarantino.

Non vi racconto nemmeno quanti pregiudizi i nostri connazionali abbiano dovuto masticare. Del fatto che per lunghissimo tempo non sono stati nemmeno considerati “bianchi” (dagli altri americani e dalle statistiche demografiche). O che un cognome italiano richiamasse alla mente “il Padrino” o “i Soprano”, come se tutte le famiglie italoamericane dovessero ritenersi responsabili dei crimini compiuti anche quaggiù dalla Mafia.

Ve la risparmio per un’altra volta, questa Storia. Magari ve la racconterò insieme alla altre Little Italy di New York, da quella di Bensonhurst a Brooklyn alla più famosa Arthur Avenue nel Bronx. Vi dico invece che a settembre bisogna andare nella Little Italy di Manhattan perché è lì che si tiene la “Festa di San Gennaro”. Non potendo andare a Napoli, per festeggiare il Santo Patrono della città e della Campania tutta, a queste latitudini bisogna accontentarsi.

SAN GENNARO, PIÙ A CHINATOWN CHE LITTLE ITALY

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Little Italy, la statua di San Gennaro su Mulberry Street, per l’annuale festa dedicata dagli italoamericani di New York al Santo Patrono di Napoli (settembre 2019)

Quest’anno la statua del santo ha lasciato la sua sede tradizionale, il cortile della ”Church of Most Precious Blood”, per trasferirsi direttamente sul marciapiede di Mulberry Street. La vecchia casa parrocchiale della Chiesa dove veniva esposta la statua è stato venduta e demolita. Al suo posto crescerà un condominio di lusso. 

Little Italy vittima della solita “gentrificazione” che con i suoi milioni di dollari trasforma decine di quartieri di New York rendendoli accessibili solo agli ultrà ricchi? Con calma. Prima della “gentrificazione”, è stata la forza economica dei cinesi che si è mangiata il primo quartiere italiano. Chinatown oggi circonda interamente quel che resta di Little Italy su Mulberry Street. E infatti il costruttore immobiliare che ha comprato la canonica ha un nome cinese, Wing Cheung.

Essere atei come il sottoscritto, e avere scarsa dimestichezza con l’idea di santità o con le liquefazioni ematiche, non impedisce d’andare in pellegrinaggio ogni settembre a Little Italy. Apre, anzi, un mondo di opportunità per familiarizzare con alcuni dei principali vizi capitali. 

L’ira verso chiunque si fermi in mezzo alla vostra strada. La superbia verso qualunque cosa che potreste preparavi nel tinello di casa invece di venire quaggiù. La connessa avarizia per qualunque dollaro che vorreste risparmiare. L’accidia dei ragazzini scazzatissimi, che sono intolleranti alla folla anche più di voi e sono solo curiosi di sapere quando si torna in Italia. E poi la gola, ovvio.

LITTLE ITALY TI VIZIA

Spaghetti con polpette in salsa di pomodoro, pizza, i succitati spaghetti alle vongole. E ancora capocollo, olive, mozzarelle fritte, zeppole e biscotti all’anice. Tutto vero. La gola e la citrosodina vi saranno grate. Ma la cosa più autentica di tutte, il magnete che cattura il naso anche senza essere sommelier, è il fumo delle salsicce arrostite per morire con cipolle e peperoni dentro panini che hanno più calorie di un pranzo da Cracco. Quaggiù se ne consumano comunque pochissime, di calorie. Perché camminare su Mulberry Street, durante i dieci giorni della “Feast of San Gennaro”, è pressoché impossibile. Nemmeno Gennaro fa il miracolo.

Lasciate alle spalle i vostri pregiudizi, se potete. Avvicinatevi con curiosità alle bancarelle. Anche a Little Italy troverete persone che lavorano duro per tirare a campare. 

Little Italy, Alleva
New York, Festa di San Gennaro, la bancarella di Alleva davanti all’omonimo negozio d’alimentari aperto a Little Italy dal 1892 (settembre 2019)

Mentre i vostri nonni stavano a spaccarsi la schiena in Italia, i loro sono venuti a spaccarsela quaggiù. L’invidia per il fatto che i loro nonni abbiano fatto più strada dei vostri è mal riposta. Se proprio volete incazzarvi, andate sul sito della Banca d’Italia. Ma non per uscirvene con la tiritera “sovranista” (ché il nazionalismo all’amatriciana usa l’italiano come pecorino sul pesce). Per leggervi invece 900 pagine di Storia dell’economia d’Italia scritte da Gianni Toniolo. Ci siamo incaprettati con le nostre mani per un secolo e mezzo. Cosa che non han fatto i connazionali in America.

Quando sono arrivato a New York non avevo grande interesse per le tradizioni e la cucina degli italiani d’America. A dirla tutta, non avevo grande interesse per molte cose che arrivassero dall’Italia, nemmeno per i ristoranti più alla moda che proponevano le interpretazioni contemporanee della cucina italiana. Se le avessi volute, mi sarei trasferito a Milano non a Brooklyn.

New York, agli inizi, era per me il luogo dove potevo finalmente provare le cucine più disparate del pianeta. E non solo quelle riadattate per i gusti di noi occidentali. Nella stessa immensa Chinatown, quella che si è mangiata gli isolati di Little Italy, si possono trovare buchi dove si fermano a mangiare solo i cinesi che sono arrivati da una particolare regione e dove non si parla una parola in inglese manco a pregare. Perché mai avrei dovuto pagare per un piatto di pasta, delle melanzane o una pizza?

LA PIZZA TI APRE IL MONDO (E NON PERCHÉ LA TROVI OVUNQUE)

La pizza non sono riuscita ad evitarla sin dal primo giorno. E sono stato ben contento. Non tanto perché pure i newyorchesi più integralisti hanno la loro religione in fatto di pizza: guardano dall’alto in basso qualunque altra “cosa” chiamata “pizza” che venga impastata e poi infornata nel resto degli Stati Uniti. Ma perché la stessa varietà di pizze a New York dimostra che un altro mondo è possibile, le barriere e i muri sono prima di tutto nella nostra testa. 

Mott Street, Chinatown, dove una volta c’era Little Italy. Comunque New York. E America, per chi non lo capisse (settembre 2019).

C’è spazio per tutte le idee e per tutti i gusti. Si, c’è spazio anche per la pizza con l’ananas, che non piace particolarmente nemmeno agli americani in generale, figurati ai newyorchesi più ortodossi. Ma un conto è sfottere o stare ben distanti da quel che non ci piace. Altro è rompere costantemente i coglioni, spiegando agli altri come e cosa dovrebbero mangiare. 

Quando voglio la mia fetta unta a un dollaro o due, di quelle che si mangiano rigorosamente in piedi e piegandole come fosse un libro, la trovo in ogni angolo, anche nei più luridi. Se volessi una pizza alla napoletana, di quelle belle mollicce e che non mangi se non con forchetta e coltello (bestemmia, qui a New York), la troverei facilmente. Ancora più facilmente se non mi ostinassi a considerare venti dollari una cifra spropositata per una pizza anche in una delle città più care del Globo.

È stata proprio la pizza di New York a farmi riavvicinare alle specialità cucinate e mangiate dai nostri connazionali in America. Molti di loro, ormai, di italiano hanno solo il nome di famiglia. Raramente parlano italiano. Ma continuano a divorare gli stessi piatti che si trovano anche nei ristoranti per turisti a Little Italy. La “veal parmigiana”, cioè la carne impanata su cui sono calate melanzane fritte e salsa di pomodoro sarà sempre cibo per l’anima. Come le porzioni pantagrueliche di calamari fritti serviti con la “marinara sauce” al momento degli antipasti. Hanno ragione loro. È “comfort food”, di quelli che ti riportano sempre a casa. Poco importa dove sia.

Per questo mi piace andare alle sagre italiane, qui in America. Se ne trovano ovunque, nel nord-est soprattutto. Per questo amo andare a Mulberry Street per la Festa di San Gennaro. Mi riporta con la memoria non tanto all’Italia specifica dove vivevo io (ché a Torino la parmigiana non ha il dono dell’ubiquità come qui a New York), quanto a sapori ed esperienze in qualche modo familiari. Nulla di nuovo, il cibo è connessione con gli altri. 

SAREI LA GRASSA MEMORIA DI TUTTO QUELLO CHE HO MANGIATO, ANCHE SE NON ME LO AVESSE DETTO FEUERBACH

Se una “slice” di pizza newyorchese mi ricorda la pizza mangiata con l’amico Cinghiale standocene seduti davanti al carcere di Susa, ogni panino con la salsiccia è la memoria di un concerto. Già solo il profumo della salsiccia sulla griglia mi ricorda le nottate a ballare con Papa Ciccio e Paoletta. 

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Non so se riuscirà a “Fare Di Nuovo Grande L’America”, magari un panino alla volta. E so che quel berretto ci divide. Ma qui a Little Italy, quelle salsicce ci uniscono. Pace e burp a tutti gli uomini di buona volontà!

Il sugo delle polpette al pomodoro mi ricorda i sapori delle costine di maiale al sugo fatte da mia madre. Anche la focaccia che vado a mangiare come uno snob solo da Eataly, in realtà riporta la mia memoria dove voglio che vada: al sale della schiaccia divorata a Piombino con Gab. Un buon caffè mi riporta a quelli con Fede e Toto B da Beccuti, o all’ufficio che io e Sandro avevamo installato da Exki. Poi, ovviamente, ci sono le eccezioni alla regola italica. Fratello di Vespa rimarrà sempre e solo sushi.

Quando tutto queste storie erano ancora recenti, arrivato a New York nel 2013 la loro memoria era vivida e non aveva bisogno di rinforzi. Adesso la tengo viva con le papille gustative. Mi poteva andare peggio.

La mia camminata pomeridiana in direzione Little Italy è giunta al termine. Ho raggiunto la mia metà. Per cosa sono venuto sin quaggiù? Per andare a “La Bella Ferrara”. Non sono le memorie dei peccati di gola ferraresi, quelle dei ravioli alla zucca ad avermi spinto qui. È il desiderio di un cannolo fatto a regola d’arte. Avevo voglia di dolce, mentre camminavo. “La Bella Ferrara” era la pasticceria che stavo cercando. Sono andato sul sicuro.

Metropolitana per tornare a casa? Non se ne parla. Le altre cinque miglia, quelle del ritorno, servono per smaltire lo zucchero. E prepararmi alla cena.

Lascia la pistola, prendi i cannoli (una delle scene più famose de “Il Padrino”, qui nella sua versione originale)

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