Luoghi

La città che non sta sveglia

Perché non è vero che New York è la città che non dorme mai…


Ho dimenticato il borsello al ristorante e me ne accorgo quando sto per salire in macchina. Torno sui miei passi. Sono decisamente meno sapiens dei “Sapiens” di cui parlavamo a cena col mio amico. Sarà stato il Chianti, sarà stata la parmigiana di melanzane, sarà solo il mio rincoglionimento che non ne vuole sapere di rallentare.

Musica per ballare, anche quando si vorrebbe andare a dormire…

Quando arrivo davanti al ristorante, la porta è chiusa ma dentro ci sono ancora i camerieri. Mi sbraccio appena e vedo una donna che sventola il mio borsello. Mi indica d’andare sul retro. Sorride mentre cammina e si mette il borsello sotto la maglia, come si fa da bambini col pallone. Riesco ad osservare tutta la scena perché il ristorante, con i suoi tavoli dalle tovaglie a quadri rossi e bianchi, è di quelli che occupano i marciapiedi con una lunga struttura in vetro. Apre la porta al fondo del corridoio, estrae lentamente il borsello e mi guarda sorniona. “Allora, come ti chiami?” Rido e rispondo, specificando pure, come da lei richiesto, che c’è una sola N nel mio Denis. Passo l’esame.

Non riesco a capire la sua età, forse non voglio. L’età non si chiede mai, alle signore, e nemmeno si deve immaginarla. Alle sue spalle c’è un cameriere, e lo noto perché mi sembra davvero molto basso. Arriva un’altra donna, che potrebbe essere la sua socia in affari o la sorella lì di passaggio o un’amica con lo stesso gusto per gli sguardi al limite della malizia e gli uomini più giovani. Mi prende la mano, anche se non sembra che voglia solo salutarmi. “Stavo facendo scrivere un biglietto. Domani lo avresti trovato, insieme alla borsa.” Sento d’essere almeno vent’anni in ritardo e voglio comunque tornare a casa. Si cambia, col tempo. Vent’anni fa non credo che mi sarei svegliato a casa mia dopo una serata così.

È mezzanotte e mezza. I bar e i ristoranti di questo tratto di 2nd Avenue sono chiusi e i marciapiedi sono pressoché deserti. Ma potrei comprare delle melanzane dal fruttivendolo col banco sotto il ponteggio. Guardo la punta del Chrysler Building, e immagino sia l’unico grattacielo al mondo che perde il suo fascino quand’è illuminato. Quei triangoli di luce bianca, che punteggiano gli archi della sua inconfondibile punta, lo fanno sembrare un modesto albero di Natale. Attraverso la strada, evitando con cura l’angolo davanti alla pizzeria. Dopo cena, e prima d’accorgermi di non avere con me il borsello, in quell’esatto punto il mio amico aveva notato delle macchie di sangue. È un medico, lui, non usa la parola sangue come un intercalare qualunque. Aveva solo aggiunto che poteva anche trattarsi del sangue di un topo, forse.

New York City, Empire State Building di notte
Solo di notte l’Empire State Building è più bello del Chrysler

La mia macchina è su 49th Street, poco oltre il Consolato d’Ucraina, dove pattugliano due volanti della polizia. Se non fosse per gli autobus, i netturbini e qualche taxi, in strada il traffico è proprio minimo, quasi inesistente. È lunedì notte anche a New York. Così decido d’allungare il mio percorso d’un paio d’isolati. Per tornare a Brooklyn potrei prendere la prima a sinistra, 3rd Avenue, e andare quasi dritto dritto fino al Manhattan Bridge. Invece mi spingo su Park Avenue. Mi sembra d’essere l’unico a imboccare la sopraelevata di Grand Central Station, ma non mi sembra invece il caso di accelerare sulla chicane che costeggia Vanderbilt Avenue, ché in città le telecamere sono ovunque e ci vuole pochissimo a superare il limite delle 25 miglia orarie. Non sono in gran vena per scattare fotografie là fuori e non vorrei che ne scattassero alla mia targa.

Ho letto da qualche parte che su Park Avenue c’è un’installazione di grandi statue di animali della giungla, li hanno definiti dei giganteschi “origami poligonali”. Dal mio finestrino, e facendo attenzione a non prendere qualche semaforo rosso, io conto un gorilla, un toro, un dinosauro e un mammut. Avevo un’idea di giungla diversa, ma le aspettative sono fatte per essere deluse, si sa. Le infatuazioni durano giusto il tempo di svegliarsi nel letto sbagliato. Nella giungla di cemento, che sarebbe poi New York, solo Alicia Keys poteva vedere strade senza coprifuoco tutti i giorni della settimana. Aveva però ragione su una cosa: si, in questa città le strade non sono facili (e non si riferiva al traffico).

Union Square, Broadway, Bleecker Street, Bowery. Nessuno davanti a me. Ho voglia di spingere l’acceleratore, ma non lo faccio. Negli anni sono diventato sorprendentemente disciplinato, anche al volante. Rispettare il codice della strada significa che tengo sotto controllo la velocità, sempre, anche quando la via è sgombra. Il tutto, però, senza compromettere quell’aggressività necessaria per sopravvivere nella giungla, questa sì, delle ore diurne. Perché a New York c’è anche un altro codice della strada, quello non scritto. Insomma: so essere brusco e maleducato solo quando serve e con chi serve. Il Virgilio dantesco sarebbe stato un newyorchese perfetto pure lui. “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Lascia dietro di te chi non fa mai una scelta, chi non osa mai, vai e sorpassa. Lezione di vita sempre valida.

Sono così rilassato che anche l’asfalto brutale del Manhattan Bridge mi sembra una tavola liscia. Entro a Brooklyn. Su Flatbush c’è un po’ più movimento, ma arrivo lo stesso in un attimo su 4th Avenue e l’onda verde mi spinge verso casa. Su 5th Avenue solo qualche bar è ancora aperto, così come le bodeghe di South Slope, che non chiudono mai per chi di notte abbia bisogno di comprare sigarette, latte e patatine.

Bodega nella notte

Come sempre, fatico a trovare parcheggio vicino casa mia. Fanculo alla nuova pista ciclabile che si è mangiata decine di posti per far spazio a ciclisti che non si vedono manco quando c’è il sole.

La luna sembra un fantasma e sbuca a tratti dalle nuvole che si muovono veloci. Un’illusione pure lei, nella calma di quest’ovvia notte newyorchese. C’è davvero un silenzio di tomba lungo la strada che costeggia il cimitero di Green-Wood. Ma nemmeno l’istinto di guardarmi alle spalle riesce a muovere i miei passi.

Chi l’ha detto che a New York bisogna sempre essere di fretta?

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