Cultura

Divano, schermo, New York (come un film al cinema)

Mettetevi comodi, ché vi regalo i titoli di 11 film non particolarmente noti ma perfetti per venire qui a New York senza troppa fatica. In regalo, anche la lista di 51 tra i più famosi film ambientati e girati a New York. Ma non abbiate fretta. Tutto arriva dopo divagazioni personali e qualche breve nota storica, da Thomas Edison a Hollywood, passando per i Fratelli Lumière (breve è un eufemismo, ovvio). Rallentate…


Basta, ho deciso. Se dopo le vacanze di Natale riesco finalmente a ritagliarmi due o tre giorni liberi, me ne vado in Australia. Si, Australia, avete letto bene.

Ehi, fermi, dove andate? Rimanete qui, non c’è ragione per essere invidiosi! Io sotto Natale lavoro. E poi potete venire con me, senza nemmeno dovervi indebitare. Ve la potete cavare al massimo con cinquanta o cento euro, o addirittura a gratis (e in quel caso, io mi giro dall’altra parte e voglio sapere nulla di come avete fatto). Però vi dico subito che a quel punto, mentre siamo in viaggio verso Brisbane, è probabile che io decida di fare pure una tappa in Belgio, a Bruges. Che poi prima d’arrivare a destinazione io debba fermarmi anche a Singapore, non ci piove. Il vero problema, si, lo scrupolo che mi arrovella adesso è un altro: dopo la sosta in Belgio… non mi allungo pure a Torino, che è lì a due passi?? Miei cari, è vero che sono ormai un newyorchese da dieci anni, e a Brooklyn ho messo radici. Ma un pezzo del mio cuore rimarrà comunque a galleggiare per sempre anche nella foschia notturna dei Murazzi torinesi. Lo vedo solo io, senza alcool e funghi magici. Ma c’è un cavo sottomarino che lega il Po e l’Hudson. Hey, Dundee! Io e te ci vediamo presto, si, al Walkabout. Dici che invece vuoi venire tu dalle mie parti? E ti vengo a prendere davanti al Plaza, allora.

CHECK-IN COL TELECOMANDO

“In Bruges”, “Crazy Rich Asians” e “Crocodile Dundee”. Tre film per il mio volo da New York all’Australia. Occhio e croce, con un divano, una bottiglia grande d’acqua gasata (con tanto di limone) e degli snack vari per la sussistenza, in sei ore o poco più dovrei cavarmela. No, niente birra. Al massimo, eggnog corretto con apple jack, visto che siamo sotto le feste. Tre film spalmati su tre serate, se non due o tre pomeriggi. Ovviamente, facendo i conti senza il resto della famiglia, come se dopo Natale, anche a trovarli sotto l’albero ancora da smontare, quei tre giorni liberi, potessi poi monopolizzare l’unico televisore che c’è in casa per sprofondarci davanti in pigiama. Io, poi, manco ci dormo in pigiama, non credo nemmeno di possederne più uno. Vabbè, a parte questo.

“Santa Maradona” o “Profondo Rosso”? “La Donna della Domenica” o “The Italian Job”? Devo darmi una regolata, ancor prima di partire, altrimenti finisce che la tappa torinese del viaggio australiano si prende quasi un giorno intero. Già abbiamo intuito che il tempo proprio libero-libero non abbonda.

Poi mi conosco. Una volta in strada, mi metto a divagare, e ci metto un niente a cambiare programma. Da sei ore arrivo a dodici, e sedici sono dietro l’angolo. Già sto pensando che senza troppa fatica ci infilo dentro pure la spiaggia di Tel Aviv e un albergo a Tokyo, e dai. Si, io sono un onnivoro autentico, in tutto e per tutto, anche quando faccio indigestione di film. O sono di bocca buona, se preferite: dal panino con la mortadella al vol au vent ai porcini. “Don’t mess with the Zohan” e “Lost in translation”, perché no. Sulla mia tavola c’è sempre spazio per i sapori più disparati, scene di comicità pecoreccia e amori appena abbozzati, di quelli che non si possono consumare. Ma voi siete qui perché nel sottotitolo di questo post ho promesso un elenco di film ambientati a New York, giusto? Anzi, ne ho promessi due, di elenchi. Ci arriviamo, prima o poi… Se invece non avete tempo da perdere con le mie divagazioni e con tutte le scuse che trovo per aprire parentesi nelle divagazioni, scorrete qualche paragrafo e, come per incanto, troverete quello che state cercando. La magia del cinema, delle immagini in movimento… Si, anche questa.

UNA COMPARSA MANCATA

Un autoscatto davanti all’Actors Studio fa sempre la sua figura

Un giorno scriverò pure io il mio film. Un giorno, forse. Magari sarà solo uno striminzito cortometraggio, ché onestamente non sono così sicuro d’avere tutta questa testa per scrivere. No, non è falsa modestia e nemmeno coscienza dei propri limiti. E non ha niente a che vedere con qualche smania di sintesi, quest’idea del corto. Chi mi conosce, anche solo un minimo, magari attraverso le pagine di questo blog sconclusionato che fa finta d’essere una guida, sa meglio di me che io e la sintesi proprio non abbiamo alcunché da spartire. Se non sarà un cortometraggio, il mio film, potrebbe essere anche solo un meno convenzionale medio metraggio di un’ora o giù di li. Si, insomma, più per la voglia di pasticciare con i tempi del racconto cinematografico tradizionale che non per scrivere quello che alla fine potrebbe sembrare un documentario e non una storia con tutti i canoni.

Visto che ormai ho messo radici stabili a New York, probabile che per mera comodità lo ambienterò qui, il mio primo film. Chissà, pure voi, quanti ne avete visti di film girati a New York! Essendo io alle primissime armi, nulla di più scontato e naturale che raccontare quello che vedo ogni giorno. Sarebbe stata la stessa cosa se venticinque anni fa fossi rimasto a vivere a Roma. Poi, perché io lo chiami “primo” film, non è chiaro nemmeno a me. Sono abbastanza certo che sarebbe anche l’ultimo. Queste cose le senti da subito. 

Forse inizierà con un esterno giorno, il mio film newyorchese. L’immagine di un papà e della sua bimba. Sono fermi all’incrocio e aspettano che il semaforo diventi verde. La luce calda del tramonto autunnale sulla strada alberata è resa ancora più vivida dal riflesso delle foglie gialle. La bimba è proprio piccola, avrà si e no due anni. L’uomo, che tiene in mano un monopattino viola, è molto alto e magro, forse per questo lei sembra così minuscola. La bimba sta dicendo qualcosa al papà, e ridono. La macchina da presa si avvicina a loro, ma è impossibile udire le voci. Io sono la macchina da presa. Poco più avanti, lungo la stessa strada, una donna guarda dritto negli occhi dell’obiettivo e sorride. Quando il regista la nota, lei abbassa di colpo la sguardo, un po’ imbarazzata, come se fosse stata sorpresa a rubare qualcosa. La scena si sposta sulle scalinate di un museo. Un unicorno tiene per mano la sua mamma. Davanti a loro, una fotografa. La mamma l’ha ingaggiata per tutta la mattinata, vuole delle impeccabili foto ricordo con la sua bimba. Magari un reportage tra le statue greche e romane. L’unicorno, in mezzo alle due donne, guarda dal basso verso l’alto la fotografa. Piove e il museo non aprirà le sue sale prima d’altre due ore. 

In questa prima sequenza ci sono tanti volti ma non credo siano quelli della storia principale del mio film. Potrebbero pure essere poco più che delle semplici comparse. Nulla di originale, accidenti. Non sarei il primo a utilizzare New York come co-protagonista. Osservare e descrivere la quotidianità è decisamente più facile, soprattutto quando si è un po’ scarsi con la fantasia. Puoi fare avanti e indietro in metropolitana, e camminare in lungo in largo. E guardare gli altri, sbirciare, rubare le loro storie, e poi costruirci sopra la tua. Ricordandoti sempre di non fissare troppo a lungo lo sguardo altrui, qui a New York. Non tanto per buona educazione, quanto per non rischiare qualche punto di sutura.

Gli attori del mio primo film sono là fuori, in strada, ma non lo sanno ancora che li ho scelti…

Il mio film potrebbe essere finalmente quella lettera d’amore per New York che è una delle tante promesse che dovrei mantenere, e che invece continuo a posticipare. Rinviare costa davvero nulla, tanto meno quando la tua amata è sfuggente o manco si accorge della tua presenza. E perché mai dovrebbe, visto che anche tu sei solo uno in mezzo ad altri otto milioni? Si, potresti essere al massimo una comparsa pure tu. Quindi, per il momento, e con quel minimo di umiltà della quale si perde spesso traccia in questa città, mi limito a manifestare tutto il mio sentimento per New York attraverso i film altrui. Lo faccio con i titoli di undici pellicole che ho visto o rivisto di recente in questo 2023. Rimando il mio film newyorchese a data da destinarsi. Non avrebbe davvero molto senso mettersi in competizione con Martin Scorsese, Spike Lee e Woody Allen. La presunzione non deve per forza tradursi in autolesionismo.

HOLLYWOOD SULL’HUDSON…

Quasi impossibile tenere il conto delle centinaia e centinaia di film che in oltre un secolo sono stati girati o anche solo ambientati in questa città. Si, certo, potete andare su Wikipedia e le liste esistono. Prima che l’industria cinematografica alla fine degli Anni Venti del Novecento fosse inevitabilmente attratta dal caldo californiano, e si trasferisse in massa ad Hollywood e dintorni, nelle vaste aree suburbane attorno a Los Angeles, era a New York che si producevano i grandi film americani. 

Qui il cinema nazionale aveva sostanzialmente mosso i suoi primi passi e aveva preso una direzione, a partire dalla primavera del 1896 (e forse anche qualche anno prima), con la creazione di brevissimi documentari filmati per le strade della città, gli “actualities”. Qui a New York c’erano gli “studios”, le case di produzione e i set dove i film venivano girati soprattutto, se non esclusivamente, in interni. New York, la grande e ricca metropoli delle luci, dei grattacieli, del porto trafficato, di Broadway, dei milioni di individui e delle infinite contraddizioni era sopratutto la città dove tantissime pellicole erano ambientate. Con il suo catalogo apparentemente inesauribile di storie e umanità varia, nella prima decade del Novecento New York era davvero il luogo ideale per alimentare la nascente industria cinematografica. 

"The Black Hand", film del 1906 sulle estorsioni subite dai commercianti italoamericani per mano della mafia a New York
“The Black Hand”, film del 1906 sulle estorsioni subite dai commercianti italoamericani per mano della mafia a New York

Gli “actualities”, della durata di appena qualche minuto, un po’ alla volta si erano trasformati in piccoli film di dieci o quindici minuti. Documentavano in qualche modo soprattutto l’esperienza quotidiana degli immigrati, cioè della stragrande maggioranza dei newyorchesi, ma con storie recitate da attori. I temi di questi mini film sulla vita di tutti i giorni erano i più disparati: potevano tranquillamente comprendere le estorsioni subite dagli italiani per mano dei mafiosi (The Black Hand, 1906), le vicende sentimentali delle giovani ragazze ebree (Romance of a Jewess, 1908), il lavoro degli operai impiegati per costruire i grattacieli (The Skyscrapers, 1906) o per scavare il tunnel ferroviario sotto il fiume Hudson (The Tunnel Workers, 1906). Quando gli originari studi cinematografici ricavati negli appartamenti di Manhattan si erano rivelati troppo piccoli per le lavorazioni più complesse, nuovi stabilimenti sono stati costruiti negli ampi spazi disponibili a Brooklyn, nel Queens e nel vicino New Jersey. 

…E PARIGI SULLO SFONDO

Dal New Jersey, peraltro, arrivava Thomas Edison, l’uomo che con le sue invenzioni pionieristiche in fatto di suoni e immagini, e circondato da altri inventori che più o meno volentieri lavoravano per lui, a partire dagli inizi degli Anni Novanta dell’Ottocento ha soprattutto creato le condizioni per lo sviluppo economico e la diffusione generalizzata del cinema qui in America. Molto generalizzate sono pure queste considerazioni. La Storia mondiale del Cinema è lunga, interessante e complessa. Se avete tempo, e siete curiosi di quel che è avvenuto nell’era del pre-cinema, tra lanterne magiche e zootropio, fate una visita al Museo Nazionale del Cinema a Torino. L’idea di mettere insieme immagini e creare l’illusione del movimento, ha accompagnato gli esseri umani sin dai tempi di Tolomeo. Senza andare così lontano, alla fine dell’Ottocento, erano davvero in tanti a sperimentare attorno all’idea di immagine in movimento. Eadweard Muybridge in California, Étienne-Jules Marey e Louis Aimé Augustin Le Prince in Francia, Birt Acres, Robert William Paul e William Friese-Greene in Inghilterra (quest’ultimo considerato dagli inglesi l’inventore della “motion picture”), Max e Emil Skladanowsky in Germania. Tutti loro hanno creato invenzioni che sono state fondamentali per arrivare al cinema che conosciamo noi oggi. La Storia del Cinema in America può occupare almeno mezza dozzina di volumi nelle sue versioni più ridotte. In questa storia americana entrano nomi sconosciuti ai più, come Woodville Latham, con i suoi figli Gray e Otway; e pure Thomas Armat e Charles Francis Jenkins, che insieme hanno creato il Phantoscopio. Questa loro macchina è stata poi comprata proprio da Thomas Edison, che non era solo un inventore ma anche un imprenditore. Edison cambia nome all’invenzione di Armat e Jenkins, chiamandola Vitascopio. Poi, dopo aver apportato delle modifiche tecniche, il nome diventa Kinetoscopio, precursore del proiettore cinematografico. Per Thomas Edison lavorava William Kennedy Laurie Dickson, il quale, su direttive ed elaborazioni concettuali dello stesso Edison, crea il Kinetografo, cioè la macchina che cattura quelle immagini in movimento. 

“Black Maria”, il primo studio cinematografico al Mondo, realizzato da Thomas Edison nel 1893 a West Orange, New Jersey

Qui in America, la maggior parte degli storici del cinema riconosce soprattutto il ruolo di Edison, anche nella sua continua supervisione di chi lavorava per lui. Una minoranza sparuta pensa invece che quello di Edison inventore della “motion picture” sia un mito, e che i meriti principali vadano attribuiti a Dickson. Chi è riuscito a scavare negli archivi tende a pensare che la maggioranza non abbia tutti i torti, perché era Edison che progettava e aveva la visione complessiva di ogni progetto della sua compagnia; ma che il ruolo di Dickson sia stato importante e il suo nome vada giustamente affiancato a quello di Edison. Tutti questi inventori, a parte Edison, sono in qualche modo finiti nel dimenticatoio della Storia semplificata del cinema. Un po’ per fortuna, oltre che per la loro bravura, due fratelli francesi sono universalmente considerati gli inventori del cinematografo. Auguste e Louis Lumière hanno brevettato nel febbraio 1895 la loro macchina fotografica che univa anche un proiettore. Altri avevano macchine simili, ma ciò non è stato sufficiente. Un merito riconosciuto qui in America è che i Lumière sono stati i primi ad adottare una politica commerciale molto aggressiva, la quale cosa ha consentito al loro prodotto di diventare immediatamente popolare ed entrare in competizione con il prodotto di Thomas Edison.

Anche nel caso delle immagini in movimento, come per tante altre invenzioni, il percorso che porta alla creazione e poi all’attribuzione ad un autore non è così diretto. Spesso tante persone, anche in paesi lontani fra loro, lavorano contemporaneamente agli stessi concetti, si fanno concorrenza, si rubano le idee, corrono per poterle brevettare battendo gli altri sul tempo. Qui davvero non intendo ripercorrere la storia dell’invenzione del cinema (e là fuori non mancano testi che la raccontano nel dettaglio). Edison nel 1891 ha sgomitato per arrivare all’ufficio dei brevetti americano. Sapeva che per lo stesso tipo di soluzione da lui escogitata non avrebbe potuto vantare alcun tipo di protezione commerciale in Europa. Mentre lui, peraltro, lavorava ad una macchina che avrebbe consentito la visione ad un singolo spettatore alla volta, che sarebbe stata alimentata a batteria e che avrebbe concettualmente unito presto le immagini ai suoni, altri, come gli ora celeberrimi Fratelli Lumiere, lavoravano attorno alle idee di Edison per creare uno strumento capace di proiettare le immagini ad un pubblico più vasto. 

Pur bravi nella commercializzazione, i Lumière non credevano che la loro invenzione avrebbe avuto un futuro. Edison, che da imprenditore aveva le mani in pasta in diversi progetti, era invece intenzionato soprattutto a monetizzare la sua attuale creazione, pur sapendo che non sarebbe stato il punto d’arrivo tecnologico. Dopo i primi successi, i Lumière hanno perso la presa sul promettente mercato americano, dai quali sono usciti un po’ alla volta. Altri inventori e produttori si sono fatti avanti, e i loro film sono cresciuti in durata. Edison, forte del suo patrimonio di brevetti (patents), ha fatto cartello (trust) con alcuni di questi produttori (tra i quali Eastman Kodak, con le sue pellicole, e i francesi di Pathé e Gaumont). Per realizzare e proiettare film bisognava pagare diritti alla Motion Picture Patents Company (MPPC) di Edison e della sua dozzina di soci. Il monopolio della MPPC è durato poco meno di un decennio, dal 1907 al 1915, quando è stato sconfitto definitivamente in tribunale per la sua incompatibilità con la legislazione antitrust. 

DALL’EST EUROPA ALLA CALIFORNIA, VIA CONEY ISLAND

Diverse le ragioni che hanno condotto al declino della MPPC. Una delle più menzionate, anche se forse non la più importante, è l’opposizione dei cosiddetti produttori indipendenti. Probabile che le divisioni all’interno di MPPC, oltre che le questioni legali, abbiano giocato un ruolo davvero decisivo nello sgretolamento del monopolio. Ma si deve comunque ai produttori indipendenti lo sviluppo tumultuoso del cinema in America. Questi produttori, che non intendevano sottostare alle condizioni economiche dettate da Edison e soci, un po’ alla volta hanno lasciato New York e si sono spostati nei sobborghi di Los Angeles, a Hollywood. Più di un secolo fa gli spostamenti non erano facili come oggi. Allontanarsi il più possibile dalla sede di Edison in New Jersey rendeva in pratica molto complicato far rispettare i diritti vantati dal cartello di MPPC. La California, poi, offriva condizioni geografiche e meteorologiche impensabili a New York. A breve distanza dalla grande città i registi avevano a disposizione mare, montagne e colline, per non parlare delle temperature miti e del sole tutto l’anno. 

Non sarà il sole di Hollywood, ma nemmeno a New York noi amanti del cinema possiamo lamentarci

Negli Anni Dieci il cinema diventa il passatempo popolare per eccellenza. Sono soprattutto le classi povere ad apprezzare il cinema come evasione dalle difficili condizioni di vita urbana e dall’alienazione delle fabbriche. Le sale dove si proiettano film spuntano a migliaia in tutta America. A volte sono improvvisate, mentre nelle grandi città condividono gli spazi con i teatri. Con lo stesso biglietto si assiste a spettacoli di varietà e a brevi film muti accompagnati dalla musica. Sono gli anni del vaudeville e pure quelli della creazione dei luna park, come quello di Coney Island a Brooklyn, che diventa un’attrazione per migliaia di newyorchesi. Nasce e si consolida l’industria dell’intrattenimento. Sport, sensazionalismo e sesso iniziano a minacciare i tradizionali valori cristiani vittoriani, di cui la borghesia e l’elite (soprattutto qui a New York) si erano fatte portavoci per tutto l’Ottocento. La paura è sempre la stessa, cioè quella di perdere il controllo sulla società e sulle famiglie. Ed è sempre la stessa anche la ricerca di un capro espiatorio. Molti cinema e varietà di successo sono gestiti da piccoli imprenditori ebrei che hanno maturato anni di esperienza nel “garment district” e nei grandi magazzini. Sanno cosa piace al pubblico, sanno come solleticare e soddisfare gli istinti. Per questo vengono disprezzati.

È in questa New York che emergono i produttori cinematografici indipendenti, determinati a smontare il monopolio di Edison e della MPPC. E che danno il primo impulso, forse senza nemmeno saperlo, alla rivoluzione popolare culturale che caratterizzerà poi tutto il Novecento.

Tutti i produttori indipendenti newyorkesi dell’epoca avevano una caratteristica in comune: erano ebrei e figli di genitori che avevano lasciato l’Est Europa (Ungheria, Polonia, Russia). Cresciuti in estrema povertà, spesso in famiglie con padri assenti o che hanno odiato con tutte le loro forze. Per anni tutti loro sono stati oggetto di anti-semitismo. Accusati dagli evangelici di attentare ai veri valori americani, come molti ebrei negli Stati Uniti erano sospettati di simpatie comuniste. Il paradosso più grande, che risalta dalle biografie, è che tutti loro in realtà volevano reinventarsi ed essere considerati americani. Come per i milioni di immigrati che li avevano preceduti in oltre un secolo, che erano arrivati da Paesi poverissimi, e dove la repressione del dissenso e le discriminazioni religiose erano la regola, quella degli “ebrei di Hollywood” per l’America era ammirazione sincera. Fondata su fatti concreti, tangibili, dove nemmeno il peggior sentimento antisemita scalfiva quella che per alcuni era quasi venerazione. Ciò che li accomunava era il rifiuto netto del passato e la devozione al loro nuovo paese.

I nomi di questi primi produttori indipendenti sono rimasti nella storia del cinema americano. La loro eredità, quella dei grandi “studios” hollywoodiani, vive ancora oggi ed è parte fondamentale della cultura popolare globale. Sono stati loro a creare tutte le più importanti case di produzione cinematografica in America: Carl Laemmle (UNIVERSAL PICTURES), William Fox (FOX FILM CORPORATION poi 20th CENTURY FOX), Adolph Zukor (PARAMOUNT PICTURES), Jesse Lasky (PARAMOUNT PICTURES), Samuel Goldwyn (SAMUEL GOLDWYN PRODUCTIONS, da tempo defunta), Benjamin Warner (WARNER BROTHERS), Louis B. Mayer (MGM METRO-GOLDWYN-MAYER). Gli uomini che più di tutti avevano detto no a Thomas Edison.

RITORNO A NEW YORK

Hollywood e i suoi studi non hanno mai dimenticato New York. Così come i produttori indipendenti che hanno dato vita alle grandi case cinematografiche, tanti registi, scrittori e attori arrivavano da New York. E la stragrande maggioranza era ebrea (per la rassegnazione di quelli come Francis Scott Fitzgerald, che definiva Hollywood “una festività ebraica e una tragedia per i gentili”, cioè i non ebrei). Negli Anni Venti e Trenta la città più importante d’America continuava a rimanere una fonte inesauribile di storie. Ma la rappresentazione sullo schermo era quella di una città immaginaria, idealizzata, creata in studio. Anche luoghi immensi come Penn Station venivano ricreati in studio, e rimanevano in piedi per tutte le produzioni che avessero voluto servirsene. Lo spazio a disposizione era tale che non serviva smontare nemmeno le scene più ingombranti. Negli Anni Quaranta e Cinquanta la maggioranza delle case cinematografiche, pur filmando alcune scene anche importanti per le strade di New York, realizzava il grosso della produzione negli “studios” californiani. Bisognerà aspettare gli Anni Sessanta, con la creazione di quella che è stata la prima Film Commission al mondo, per vedere stabilmente sul grande schermo la vera New York. Con tutte le sue contraddizioni e la sua umanità varia. Il cinema torna a casa, anche se non l’aveva mai lasciata del tutto…

ALCUNI TRA I PIÙ IMPORTANTI FILM AMBIENTATI E GIRATI A NEW YORK CITY

Collage di locandine di alcuni dei tanti film girati e ambientati a New York
Alcuni dei tantissimi film girati e ambientati a New York

Allora, finalmente i titoli che ho promesso. Prima di tutto, la lista lunga. Un elenco assolutamente soggettivo, come qualunque altro. Ho lasciato fuori titoli di film che, per una ragione o un’altra, non credo siano facilmente identificabili o rintracciabili dal pubblico italiano più vasto, tipo “Naked City”, “Klute” o “Shaft”. Non è una lista per cultori o per i fanatici delle rassegne nei cinema d’essai. Sono film dove non solo si vede New York, ma dove spesso la città ha un ruolo non secondario o di semplice sfondo. In alcuni di questi film, la storia poteva essere ambientata solo a New York. “25th Hour” non è solo la storia di un tizio che si prepara ad andare in galera: è anche la città che ha da poco vissuto l’Undici Settembre. Spike Lee ha cercato in tutti i modi un appartamento che si affacciasse su Ground Zero, e la sua produzione glielo ha trovato.

I titoli sono prima di tutto quelli in lingua originale, cioè in inglese. Poi c’è il titolo della versione italiana del film, seguito dall’anno d’uscita nelle sale americane. A parte il fatto che si tratta di film americani, non è una questione di snobismo. Ovviamente anche quaggiù i film stranieri vengono quasi sempre venduti con un titolo inglese, che il pubblico locale possa comprendere facilmente. “Uccellacci e uccellini”, il film di Pier Paolo Pasolini qui ha il titolo di “The Hawks and the Sparrows”, cioè “i falchi e i passeri”. I titoli originali aiutano quasi sempre a capire il contesto della storia e anche le traduzioni letterali a volte non fanno per niente giustizia. Il “dog day” in America non “un giorno da cani” ma semplicemente una giornata estiva molto calda.

Quindi non c’è snobismo, tutto il contrario. Qui non ci sono professori del Dams che vi interrogano e vi sdegnano perché non avete mai visto Satantango in una sala gelida. È invece un invito a essere un po’ coraggiosi, e a sbattervene di quello che pensano gli altri. Ascoltare una lingua straniera è difficile per tantissimi. È probabile che anche molti dei vostri professori di inglese alle superiori capirebbero pochissimo della metà di questi film. Nulla di male. Spesso esistono i sottotitoli, non importa se si perde qualche passaggio dei dialoghi. È comunque cinema. Immagini che si muovono, e suoni. Volti, occhi, gesti. Apprezzate in originale, tutte le volte che potete.

Ecco la lista, con la bellezza di 51 titoli, cinquantuno.

  1. KING KONG (1933)
  2. ON THE TOWN (Un giorno a New York, 1949)
  3. THE SEVEN YEAR ITCH (Quando la moglie è in vacanza, 1955)
  4. SWEET SMELL OF SUCCESS (Piombo rovente, 1957)
  5. NORTH BY NORTHWEST (Intrigo internazionale, 1959),
  6. BREAKFAST AT TIFFANY’S (Colazione da Tiffany, 1961)
  7. WEST SIDE STORY (1961)
  8. BAREFOOT IN THE PARK (A piedi nudi nel parco, 1967)
  9. ROSEMARY’S BABY (1968)
  10. MIDNIGHT COWBOY (Un uomo da marciapiede, 1969)
  11. THE FRENCH CONNECTION (Il braccio violento della legge, 1971)
  12. KING KONG (1971)
  13. THE GODFATHER (Il Padrino, 1972)
  14. SERPICO (1973)
  15. DOG DAY AFTERNOON (Quel pomeriggio di un giorno da cani, 1975)
  16. THREE DAYS OF THE CONDOR (I tre giorni del Condor, 1975)
  17. TAXI DRIVER (1976)
  18. ANNIE HALL (Io e Annie, 1977)
  19. SATURDAY NIGHT FEVER (La febbre del sabato sera, 1977)
  20. SUPERMAN (1978)
  21. MANHATTAN (1979)
  22. THE WARRIORS (I guerrieri della notte, 1979)
  23. KRAMER VS KRAMER (Kramer contro Kramer, 1979)
  24. ESCAPE FROM NEW YORK (1997: Fuga da New York, 1981)
  25. GHOSTBUSTERS (1984)
  26. BROADWAY DANNY ROSE (1984)
  27. ONCE UPON A TIME IN AMERICA (C’era una volta in America, 1984)
  28. DESPERATELY SEEKING SUSAN (Cercasi Susan disperatamente, 1985)
  29. WALL STREET (1987)
  30. MOONSTRUCK (Stregata dalla luna, 1987)
  31. WORKING GIRL (Una donna in carriera, 1988)
  32. CROCODILE DUNDEED (Mr. Crocodile Dundee, 1988)
  33. BIG (1988)
  34. DO THE RIGHT THING (Fa’ la cosa giusta, 1989)
  35. WHEN HARRY MET SALLY (Harry, ti presento Sally…, 1989)
  36. MO’ BETTER BLUES (1990)
  37. LÉON: THE PROFESSIONAL (Léon, 1994)
  38. ONE FINE DAY (Un giorno… per caso, 1996)
  39. MEN IN BLACK (1997)
  40. AS GOOD AS IT GETS (Qualcosa è cambiato, 1997)
  41. YOU’VE GOT MAIL (C’è posta per te,  1998)
  42. SERENDIPITY (Quando l’amore è magia – Serendipity, 2001)
  43. 25th HOUR (La 25ª ora, 2002)
  44. SPIDER-MAN (2002)
  45. HITCH (Hitch – Lui sì che capisce le donne, 2004)
  46. FANTASTIC FOUR (I Fantastici Quattro, 2005)
  47. SEX AND THE CITY (2008)
  48. THE AVENGERS (2012)
  49. BIRDMAN (2014)
  50. WHILE WE’RE YOUNG (Giovani si diventa, 2014)
  51. UNCUT GEMS (Diamanti grezzi, 2019)

UNDICI FILM PER VEDERE NEW YORK SENZA SALIRE SU UN AEREO

L’idea iniziale del post era questa: un piccolo elenco di film ambientati in tutti e cinque i borough di New York, dal Bronx a Staten Island. Non intendevo perdermi tra gli inizi della Storia del Cinema, la sua evoluzione in America e le mie idee per il giorno in cui potrei diventare l’ennesimo sceneggiatore sconosciuto da tutti. Il desiderio era quello di condividere con voi qualche titolo di film che io ho apprezzato in questo 2023. Film che ho visto per la prima volta o quelli che ho rivisto per l’ennesima. Non li ho scelti perché sono dei capolavori, anche se alcuni sono davvero dei piccoli gioielli. “Past Lives” rimarrà uno dei miei film preferiti, credo per lungo tempo, sino a quando avrò memoria. Di sicuro, è uno dei film migliori usciti in America nel 2023. Le 11 pellicole di questa lista sono state girate in tutto o solo in parte a New York. Qualche volta la città è una parte essenziale della storia (“The Daytrippers”, “Smoke”, “Frances Ha”, “Begin Again”), altre volte sembra solo lo sfondo di una storia che poteva anche essere ambientata altrove. In realtà, New York ha sempre più di una ragione per essere lì. Una parata di elefanti lungo 7th Avenue, vicino alla stazione ferroviaria di Penn Station, ci sta.

È possibile che i film più recenti, quelli del 2023, non siano ancora usciti nelle sale italiane. Anche possibile che vengano distribuiti solo in streaming o video. Non lo so. Rimangono pellicole che valgono lo sforzo d’essere trovate e viste.

Allora. Prima la lista, poi qualche parola sui singoli film.

  • MARTY (Marty, vita di un timido, 1955)
  • SMOKE (1995)
  • THE DAYTRIPPERS (L’amante in città, 1996)
  • ETERNAL SUNSHINE OF THE SPOTLESS MIND (Se mi lasci ti cancello, 2004)
  • FRANCES HA (2012)
  • BEGIN AGAIN (Tutto può cambiare, 2013)
  • ST. VINCENT (2014)
  • THE KING OF STATEN ISLAND (Il re di Staten Island, 2020)
  • SOMEWHERE IN QUEENS (2022)
  • PAST LIVES (2023)
  • SHE CAME TO ME (2023)

MARTY (Marty, vita di un timido, 1955)

Non sono tantissimi i film ambientati e girati nel Bronx. E quando il Bronx è diventato interessante per le case cinematografiche, negli Anni Settanta, la ragione era che il borough più povero di New York, con le scene di incendi, macerie e violenza, rappresentava perfettamente il degrado urbano di tutte le grandi metropoli americane. La storia è poi cambiata piano piano, a partire dagli ultimi vent’anni (nonostante molti quartieri abbiano ancora un aspetto ruvido e lontano dalle immagini patinate o alternative che dominano in gran parte di Manhattan e Brooklyn). E c’è stato pure un lungo periodo antecedente gli Anni Settanta, sino al decennio successivo la Seconda Guerra Mondiale e parte degli Anni Sessanta, in cui il Bronx era ancora una meta ambita per la classe media, soprattutto per chi cercava di fuggire dagli spazi angusti di Manhattan.

Marty (Ernest Borgnine) è un macellaio italo-americano che lavora al mercato di Arthur Avenue, ancora oggi centro della Little Italy del Bronx. Marty pensa al lavoro e vive con la madre. Sempre un po’ rigido e impacciato, non ha molta fortuna con le ragazze. Poi una sera incontra Clara (Betsy Blair), una giovane professoressa di scienze che, quanto a timidezza, non scherza nemmeno lei.

Da quel momento è impossibile non fare il tifo per Marty e Clara.

La morale del film è che in fatto d’amore bisogna sempre fare di testa propria, fidarsi del proprio istinto e mai ascoltare gli altri. Se pensate che tutto questo sia scontato, vuol dire che non siete mai stati innamorati e forse avete pure scarsa memoria.

Quanto a memorie, molto di quel Bronx, fatto di luci e teatri, oggi non esiste più. Ma il futuro, un po’ alla volta, porterà cambiamenti anche nel distretto più negletto di New York.

SMOKE (1995)

Balzo temporale di quarant’anni rispetto a “Marty”. Siamo a Brooklyn, a Park Slope, con Auggie Wren (Harvey Keitel), che vende sigari e ogni mattina, alla stessa ora, scatta una fotografia del suo negozio sempre dallo stesso punto, l’angolo opposto in diagonale, appena attraversata la strada. E poi c’è Paul Benjamin (William Hurt), cliente di Auggie, scrittore rimasto vedovo da poco. E poi c’è Rashid (Harold Perrineau) che… E c’è anche Cyrus (Forrest Whitaker), meccanico in una piccola stazione di servizio fuori città che Rashid…

Alla fine del film c’è una storia natalizia, raccontata da Auggie a Paul. Il New York Times ha chiesto a Paul di scrivere una storia per Natale ma lo scrittore è a corto di idee.

Quella storia, nella realtà, si può davvero leggere. Si intitola “Auggie Wren’s Christmas Story”. È stata scritta dal romanziere Paul Aster e pubblicata dal New York Times il giorno di Natale del 1990. Paul Auster è ovviamente anche lo sceneggiatore di “Smoke”.

La morale del film è quella di Auggie e delle sue fotografie. Bisogna rallentare, dare tempo alle cose. Ci vuole anche tempo per mandare giù le situazioni più dolorose, come quella di Paul che ha perso la moglie, e prima o poi la luce torna.

Film che potrei vedere di continuo. Vedo spesso anche l’angolo fotografato da Auggie nel film: tutte le volta che vado a passeggiare a Prospect Park.

THE DAYTRIPPERS (L’amante in città, 1996)

Quando il titolo in italiano rovina completamente l’idea di un film. Ma proprio del tutto. Capisco che tradurre e scrivere titoli sia tremendamente complicato. Ma il titolo italiano di questo film fa venire in mente le commedie sexy degli Anni Settanta, mentre qui siamo in ogni modo possibile da tutt’altra parte.

“Day trip” è un viaggio che si fa in giornata, senza fermarsi a dormire fuori e ritornando invece a casa propria. Un “day-tripper” è qualcuno che fa un viaggio in giornata, punto. E allora di cosa vuole parlare Greg Mottola, regista e sceneggiatore di questo film? Mmm… Il fatto che Eliza (Hope Davis) scopra una lettera d’amore che non è stata scritta per lei e creda che suo marito Louis (Stanley Tucci) abbia una storia con un’altra donna, è solo un pretesto per far partire il film. I nostri protagonisti si mettono in macchina e, da una non meglio precisata località a Long Island, vanno a New York, per scoprire cosa sta combinando Louis. Ci sono la mamma e il papà di Eliza, straordinari. La sorella Jo (Parker Posey) e il suo fidanzato Carl (Liev Schreiber). Sono soprattutto loro quattro che rubano la scena. E poi personaggi vari che tutti loro incontrano durante la giornata in città. Come in ogni storia, che è sempre un “viaggio”, non bisogna andare troppo lontano.

La morale è che per imparare qualcosa di noi stessi, per cambiare prospettiva, basta anche solo qualche ora. E girare giusto dietro l’angolo.

ETERNAL SUNSHINE OF THE SPOTLESS MIND (Se mi lasci ti cancello, 2004)

Qui il titolo della versione italiana è soprattutto un po’ banale, ma tant’è. Il guaio è che un titolo sciocco non fa venir voglia di guardare un film… Fin dal titolo (originale) l’idea, letteralmente, è che per una mente immacolata la vita è sempre come una interminabile e perfetta giornata di sole. Il fatto ovvio, invece, è che da subito, sin da bambini, nella vita arrivano esperienze di tutti i tipi, anche quelle che non vorremmo ricordare. I nostri figli scopriranno presto quello che centinaia di generazioni di esseri umani hanno scoperto prima di loro. Peccato che la memoria sia sempre lì, e a volte sembra che non ci sia proprio verso di dimenticare. Non sarebbe allora fantastico se esistesse una macchina in grado di cancellare dalla nostra testa le memorie che ci fanno soffrire, soprattutto le storie d’amore che non sono andate come volevamo? Forse, ma non sarebbe comunque così semplice…

Ne sanno qualcosa Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet). E pure Stan (Mark Ruffalo), Mary (Kirsten Dunst) e Patrick (Elijah Wood). La storia di Joel e Clementine ha uno sviluppo temporale tortuoso. Si vedono più spiagge di Long Island, anche innevate, che strade di New York. Però la parata di elefanti di cui parlavo prima è in questo film. E so dove si trovano nella Lower East Side gli uffici di Lacuna, la società che cancella la memoria.

La morale non è solo che il passato farà sempre parte di noi, che a volte ci farà sorridere e altre volte piangere. No. La morale di questo film è che a volte fai bene a saltare sul primo treno che va nella direzione opposta, anche quando dovresti invece andare al lavoro. C’è un tempo per tutto.

FRANCES HA (2012)

Essere giovani non è mai facile, ce lo ricordiamo ancora di più quando invecchiamo e siamo un minimo onesti con noi stessi.

Greta Gerwig (ben prima di Barbie) è Frances. Impossibile non correre con lei, che vorrebbe danzare. Frances ha sogni e desideri, e New York è sempre la città giusta per le ambizioni. Nel film è una città essenziale, in bianco e nero, così non ci distrae.

Mentre Frances, sempre allegra e positiva, fatica a trovare stabilità economica, saltando da un appartamento e l’altro, la sua migliore amica Sophie (Mickey Sumner) sembra aver trovato la soluzione: si fidanza, e le due finiscono per allontanarsi progressivamente. Per un fine settimana non c’è solo la New York dei bar dell’East Village, nelle gambe di Frances, ma anche Parigi. Tanti dialoghi e alcuni momenti su tutti, come la cena tra Frances e Lev (Adam Driver). Frances, riesce a trovare modo di correre via anche durante la cena, ma poi ritorna. Alla fine del film, Frances rallenta e trova così la sua strada.

La morale è che non smetteremo mai di sognare, ma poi la felicità può essere fatta di scelte molto più semplici. Anche a New York i giovani invecchiano e alla fine trovano serenità nelle piccole cose. Uno dei miei finali preferiti. Si, la scena finale è perfetta.

BEGIN AGAIN (2013)

Già solo seguire Dan Mulligan (Mark Ruffalo) agli inizi del film, quando è in macchina per le strade dell’East Village, ascolta le canzoni più disparate di aspiranti artisti, e lancia dal finestrino uno di questi improbabili cd, vale la visione di tutto il film. In questa lista è forse il film più debole, ma a me piace.

L’ho già segnalato anche in un altro post a proposito di film, canzoni e serie televisive che ruotano attorno all’amore a New York. La co-protagonista Keira Knightly, che recita la parte di Gretta, non possiedi forse le doti canore ideali. Ma è perfetta per la parte. Nel film seguiamo l’inglese Gretta mentre registra canzoni in giro per New York, pure in una stazione della metro, sotto la produzione di Dan. Gretta è a New York perché ha seguito il suo fidanzato Dave (Adam Levine, il cantante dei Maroon 5), musicista che inizia ad avere un certo successo. I due alloggiano in un loft di Soho, di quelli da invidia. Ci sono tradimenti, relazioni familiari, abbozzi di nuovi sentimenti. Soprattutto tanta musica e tutta la New York possibile, da Times Square ai bar della Lower East Side, passando per le strade di Nolita e tetti con vista sull’Empire State Building. C’è pure la Brooklyn delle case vittoriane di Ditmas Park.

La morale del film è sicuramente quella che siamo in grado di superare tutte le situazioni, e possiamo perdonare chi ci ha fatto del male. Ma a volte perdonare non basta e dobbiamo comunque prendere una nuova strada. Poi è un’ottima cosa comprare un adattatore per connettere due paia di cuffie e ascoltare la stessa musica con chi vogliamo.

ST. VINCENT (2014)

Se sei un ragazzino che cresce con una mamma divorziata, e vieni bullizzato in una scuola cattolica, non c’è niente di meglio che seguire l’esempio del tuo vicino di casa, un vecchio pensionato, veterano del Vietnam, alcolizzato e scorbutico.

Vincent MacKenna (Bill Murray) ha una moglie in casa di riposo e frequenta una prostituta russa, Daka (Naomi Watts). Vincent ha in antipatia la sua nuova vicina di casa, Maggie (Melissa McCarthy), ma dietro pagamento si prende cura del figlio Oliver (Jaerden Lieberher). Con Vincent il ragazzino è coinvolto in situazioni non sempre adatte alla sua età. Ma cresce e impara la morale del film: andando oltre i pregiudizi, e le apparenze, scopri che l’umanità assume le sembianze più varie. Anche senza essere credenti, sappiamo che ci sono dei santi tra noi. Basta aprire gli occhi per vederli. Se poi nel compito ti aiuta uno dei tuoi insegnanti, magari un simpatico prete irlandese, tanto meglio.

Tanta Brooklyn popolare, tra Sheepshead Bay e Bay Ridge. E pure il Queens dell’ippodromo di Aqueduct. Non ho mai visto questo film (come tanti altri in queste due liste) in italiano. Il mio sospetto è che la barzelletta raccontata al pub da Vincent, all’inizio del film, tradotta in italiano perda tutta la sua forza o sia incomprensibile. Alla fine del film, invece, ti viene voglia di ritrovare un walkman e ascoltare Bob Dylan.

THE KING OF STATEN ISLAND (Il re di Staten Island, 2020)

Ci sono attori e comici la cui fama, per mille motivi, generalmente di carattere culturale, rimane confinata all’interno degli Stati Uniti. Uno di questi è Pete Davidson, che quaggiù conosciamo bene perché per lungo tempo è stato nel cast fisso di Saturday Night Live (SNL) e perché, nonostante le sue apparenze di ragazzo un po’ strano e imbranato, è in grado di frequentare donne che tutti considerano belle, famose e di successo. La sua storia più famosa, e nemmeno così breve, è stata con Kim Kardashian, la quale si era da poco separata dal rapper Kanye West (con il quale ha avuto quattro figli).

Ma a parte il gossip, questo film con Pete Davidson è consigliato soprattutto per avere un’idea di Staten Island, il borough meno conosciuto dei cinque che compongono la città di New York. Davidson è Scott, rimasto orfano di padre vigile del fuoco. Nella vita reale il papà di Pete Davidson era davvero un vigile del fuoco e ha perso la vita mentre era in servizio durante l’attentato alle Torri Gemelle. Nella vita reale Davidson ha sempre vissuto a Staten Island, anche quando frequentava Kim Kardashian. Nella storia del film, che ha qualche aspetto autobiografico, ci sono anche accenni ai problemi di depressione e salute mentale che Davidson ha avuto realmente. Ma il film cerca d’essere una commedia, e oscilla un po’, senza prendere una direzione chiara. Ci sono altri attori degni di nota per la loro recitazione e che rubano un po’ la scena, tipo Marisa Tomei e Steve Buscemi.

La morale è questa: con o senza tragedie, con o senza genitori, i rapporti familiari possono essere sempre un gran bel casino e dobbiamo tutti imparare a cavarcela da soli.

SOMEWHERE IN QUEENS (2022)

Un altro film come il precedente, che rimane un po’ lì, con potenzialità non espresse del tutto. Forse anche per questo mi è piaciuto e lo rivedrò presto. Non tutto può essere perfetto.

Come si capisce dal titolo è ambientato nel Queens, una parte di città poco rappresentata al cinema. E il suo protagonista principale è Ray Romano, cresciuto proprio nel Queens. Comico divertente, Romano, che ha iniziato la sua ormai lunga carriera facendo cabaret qui a New York (dove è tornato di recente con un azzeccato special per Netflix registrato al Comedy Cellar), e poi recitando in serie televisive di successo.

In questo film, che pure prova ad essere anche una commedia, Romano recita il ruolo un po’ serio e malinconico di Leo Russo. Leo è sposato con Angela (Laurie Metcalf) e hanno un figlio, Matthew, che tutti chiamano però “Sticks”. I due conducono una vita semplice. Leo lavora senza gratificazioni, nell’impresa di costruzioni del padre e del fratello. Inevitabilmente, quando Sticks mostra qualche talento nella squadra di pallacanestro della sua scuola superiore, il padre inizia a fantasticare un futuro per il figlio nello sport.

Morale del film? I genitori non dovrebbero mai caricare le loro frustrazioni sui figli.

PAST LIVES (2023)

Lascio per ultimi i due film che mi sono piaciuti di più nel 2023 che sta per finire. Parto da quello che mi è piaciuto di più in assoluto. Si, “Past Lives” è davvero un gran film, l’ho già detto. Come tutte le cose che mi piacciono, difficile che riesca a descrivere bene o a spiegare il perché. Voi dovete in qualche modo fidarvi.

La regista, Celine Song, credo sia completamente sconosciuta in Italia. E pure la protagonista femminile, Greta Lee, non ha ancora una fama che esce dai  confini americani e da serie televisive note quaggiù. Il film ha un numero chiave, il 12. Due dodicenni, Na Young (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo) frequentano la stessa scuola a Seul, in Corea del Sud. Amici e in competizione a scuola, piano piano diventano attratti l’uno dall’altra. Quando questo primo amore sta prendendo forma, Na Young emigra con la sua famiglia in Canada, dove prende il nome di Nora Moon e perde i contatti con Hae Sung. Dopo 12 anni, quando sono entrambi all’università, e Nora vive a New York, i due si ritrovano via Facebook. Anche in quel caso succede qualcosa (ma non ve la racconto). Passano altri 12 anni e Hae Sung va a New York per visitare Nora. I due si incontrano in un parco e… (non ve lo racconto). L’inizio del film è una piccola trovata, azzeccata. I dialoghi sono sempre pacati, i sentimenti dei protagonisti sembrano sotto controllo e mai sopra le righe. E la scena finale, pur con un ritmo lento, chiude perfettamente il film in un crescendo d’emozioni anche per chi guarda, sino a quando lo schermo diventa nero.

In un momento importante del film, Nora cita proprio “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”. E tutto il film è attraversato da un concetto chiave popolare nella cultura coreana, legato alle vite passate. La New York del film è fatta, non a caso, di cartoline romantiche, tra Brooklyn e il traghetto sull’East River, mentre Nora vive in un normale appartamento a Manhattan, nella caotica zona di confine tra East Village e Lower East Side.

La morale di “Past Lives” è che tutto quello che avviene nella nostra vita, anche le scelte definitive che facciamo, non sono mai una chiusura con il passato. Non ci sono mai confini netti. Provare a tagliare è solo una difesa come altre. Nella vita tutto scorre e tutto torna, in un circolo continuo.

SHE CAME TO ME (2023)

Chiudo la mia lista con un altro gran bel film uscito nel 2023. Anche se gli attori non vanno mai sopra le righe, diversamente da “Past Lives” questa è una storia di passioni e scelte estreme, come nell’opera. E infatti il nostro protagonista è un regista d’opera, Steven (Peter Dinklage). Steven è in crisi, con il blocco dello scrittore. Fino a quando non incontra una donna, Katrina (Marisa Tomei), la sua imprevista musa. Steven è infatti sposato con Patricia (Anne Hathaway). E ha pure un figlio, anche se lui è solo il patrigno. E il figlio ha un problema da risolvere. E la moglie sta attraversando un momento di confusione spirituale a dir poco intenso. Insomma, inevitabile che con una storia così (che anche in questo caso non voglio raccontare più in dettaglio), i giudizi su questo film siano stati entusiasti o quasi dispregiativi. A me è piaciuto, perché il cinema che intendo io non deve essere sempre coerente e logico, altrimenti meglio un documentario. Poi c’è un gruppo d’attori davvero assortito, dove le diversità fisiche sono volute per mettere ancora più in risalto le contraddizioni. Tanta della Brooklyn che amo di più, da Brooklyn Heights a Red Hook.

Morale del film? Non è il caso di prendere tutto troppo sul serio, come se fosse fine del mondo. E un po’ di coraggio, non guasta mai…

E a proposito di coraggio. Voi siete stati coraggiosi. Si, bravi per aver pazientato ed essere arrivati sin quaggiù. Adesso, buona visione a voi.

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