90 minuti in Union Square
Union Square è una New York in miniatura: politica, Dio, scacchi, bagni pubblici nascosti. E tanto aglio.
“Abbiamo grandi piazze dove andiamo passeggiare. Ma quando arriva agosto, e fa un gran caldo, qui non c’è il mare!”. Me la canto mentre attraverso Union Square per andare a comprarmi un formaggio in un negozio poco distante. Times Square è sicuramente la piazza più famosa di New York. Famosa tra i newyorchesi perché si cerca di evitarla accuratamente, a meno che il proprio stipendio sia laggiù. Pur essendo una tappa segnalata da ogni guida che si rispetti, Union Square è assai meno famosa tra i turisti mondiali in cerca di neon colorati. Di sicuro, è una piazza con molti più significati per chi vive in città.
A Torino non c’è il mare, cantano gli Statuto. Vero. Ma a New York, a voler guardar bene, sono le piazze a scarseggiare. Se arrivate in città e credete il contrario, significa che da qualche ora o da qualche giorno state solo facendo avanti e indietro per Broadway. Che va anche bene, ci mancherebbe, soprattutto se avete poco tempo a disposizione e vi potete accontentare di un assaggio della città. In 60 minuti di camminata, che diventano due o tre ore a seconda del numero di selfie che avrete pianificato nella vostra tabella di marcia, l’assaggio tra i quattro chilometri che separano Union Square e Columbus Circle, lungo Broadway, comprenderà quasi tutto quello che farà dire ai vostri amici: “ah, sei stato a New York!”
CONCENTRATO DI NEW YORK, PARTENDO DA UNION SQUARE
In realtà, l’idea di questo post è quella di parlarvi di Union Square. Prometto, lo facciamo tra un po’. Intanto, mettete da parte questa lista. La “Guida Inutile”, come tutti su Internet, vi regala un elenco che invece vi tornerà utile quando avrete finito con il vostro giro per la piazza e dintorni. Pronti? Via.
- Vista mozzafiato dell’Empire State Building, ammirabile a qualunque ora del giorno posizionandosi all’angolo nord-ovest tra la 22nd Street e Broadway.
- Immancabile fotografia del Flatiron Building dall’incrocio tra la Fifth Avenue e Broadway.
- Coda interminabile (e quindi autenticamente newyorchese) per le patatine fritte da Shake Shack in Madison Square Park.
- Tazzina di caffè Vergnano da Eataly (solo per gli amici torinesi che snobbano Lavazza).
- Grido di stupore: “ehi! ma questa è la Rizzoli“, davanti all’omonima libreria nella sua nuova sede lungo Broadway appena oltre la 25th Street.
- Acquisto di tappeti, orologi, profumi o, ancora meglio, sostanze assai meno legali da uno qualunque dei venditori stanziali o itineranti lungo lo stesso tratto fatiscente di Broadway (che dopo l’arrivo del Nomad Hotel, da anni aspetta di diventare l’ennesimo luogo anonimo di Manhattan e, con l’aiuto di Richard Branson e del suo Virgin Hotel tutto vetro, dovrebbe riuscirci nell’arco di un paio d’anni).
- Pancake di frutti di mare, ma anche bibimbop e kimchi, da Kunjip, ristorante coreano nella piccola e affollata Koreatown su West 32nd Street.
- I magazzini di Macy su Herald Square, se proprio ci tenete.
- Times Square, con le luci, il “naked cowboy” e la sua chitarra, le “desnudas” in topless con i seni dipinti a stelle e strisce, Elmo, Batman, l’Uomo Ragno (insomma, tutto quello che a ragione i newyorchesi disprezzano di Times Square, facendo rimpiangere i tempi in cui ci passavano solo le macchine, se non rimpiangere proprio i tempi dei sexy shop).
- Le luci dei teatri di Broadway, perché non importa se Broadway attraversa Manhattan per 20 km, qui il turista vuole solo vedere le insegne dei musical.
- Il gelato di Grom (sempre e solo per i torinesi, ma questa volta per quelli che non hanno la puzza sotto il naso e non gliene frega granché dell’artigianalità del gelato, ché tanto i pezzi enormi di cioccolato nella stracciatella solo Marisa in via Frejus te li poteva dare).
- La Statua di Cristoforo Colombo, il genovese che era convinto d’essere arrivato in Asia (ma dico io: non potevano, gli italiani d’America, almeno scegliere Amerigo Vespucci per il giorno del loro orgoglio? Vero, senza Colombo non saremmo qui a parlare. Ma Amerigo… America… Non era nemmeno così difficile l’associazione di idee. Amico di Colombo e certo schiavista pure lui, Vespucci: perché arrivando quaggiù gli esploratori imparavano presto che c’era ben poco da guadagnare se non commerciare esseri umani. Ma almeno, ipocrita consolazione, Vespucci non aveva dichiarato guerra ai nativi o fondato colonie).
- La punta sud-ovest di Central Park, anche solo per metterci piede e dire d’essere stati in uno dei parchi più famosi al mondo.
PERCHÉ A NEW YORK LE PIAZZE SCARSEGGIANO
Cinque “piazze” in quattro chilometri. Abbastanza per far pensare che New York sia, eccome, una città di piazze. E poi? Dove vogliamo mettere un altro illustre esempio cittadino come Washington Square Park? No, credetemi, nemmeno quest’ultimo basta. A parte che alcune di queste cosiddette piazze, quando non sono parchi o rotonde, sono più che altro degli incroci stradali, con delle aree pedonali. Il punto dolente sta nel numero, in proporzione alle dimensioni e alla popolazione della città. Anche senza voler considerare nell’insieme gli altri “borough” — eresia concessa solo ai turisti frettolosi e agli studenti che arrivano dal Minnesota e vogliono vivere nell’East Village perché hanno nell’iPhone i dischi dei Velvet Underground e non hanno capito che il baricentro della cultura meno commerciale ha da anni attraversato l’East River — la stessa Manhattan ha meno piazze di una qualunque Milano. La ragione è semplice ed è sempre la stessa: questa è un’isola piccola, dove il terreno costa caro e quindi si è cercato e si cerca ancora di costruire in ogni lembo libero.
Se non fosse per Broadway, forse quelle stesse “Square” nemmeno ci sarebbero. Con i suoi 21 km in diagonale da una punta all’altra dell’isola, Broadway attraversa la pianta ortogonale della città e incrocia diverse grandi strade realizzate con il piano urbanistico del 1811. Sono proprio questi incroci ad essere stati ridisegnati come piazze. Union Square, dove ho deciso che faremo una passeggiata, deve il suo nome non ad eventi storici, alla celebrazione dell’unità nazionale o, ancora meno, del sindacato (“unions”, nella lingua autoctona). Ma, più semplicemente, al fatto che l’allora Broadway, cioè la via principale, incrociava l’altra via importante di New York, 4th Avenue, e in quel punto si creava l’unione delle due strade. Tutto qui.
BELLO QUANDO IN UNION SQUARE POTEVI ANCORA…
Se per caso tra voi c’è qualcuno che ha in testa la “Union Square” di Tom Waits, quella degli uomini che si prostituivano e delle drag, si metta l’animo in pace. Non è che quella New York carnale, di disadattati, tossici e freak vari — raccontata da Waits nelle canzoni di “Rain Dogs” — non esista più. È che non la trovi quasi più a Manhattan. Forse c’è ancora qualche pallida imitazione nell’East Village, certo non in Union Square.
Se invece quello che cercate è dell’aglio rosa calabrese, allora Union Square è il posto che fa per voi. Perché alla faccia di quegli snob dello Slow Food, dei loro presidi e delle falangi di resistenza alimentare di Lamezia Terme, in questa piazza da 40 anni c’è uno dei mercati più famosi dove comprare direttamente dai produttori locali. E qual è uno dei prodotti principali dello Stato di New York, a parte le mele che davano alla città il nomignolo di Big Apple? L’aglio. Lo si coltiva anche in città, nel Bronx per la precisione. E in Union Square potrete trovare un “Calabrian Rose Garlic“, per la modica cifra di un dollaro a testa, d’aglio.
Quello che a New York si chiama “GREENMARKET“, e in giro per l’America “farmers market“, nella Porta Palazzo della mia Torino si chiama “mercato dei contadini”. Ma se a Porta Palazzo, come nei mercati dei contadini sparsi un po’ ovunque per l’Italia, non sarà difficile fare buoni affari e magari pure risparmiare qualche soldo, in America questi sono mercati per portafogli generosi.
UNION SQUARE ALLE MASSE
Union Square, nella Storia della città, è sempre stata la piazza principale per le manifestazioni politiche e sindacali. Fortunatamente, lo è ancora oggi.
Fino allo scorso anno, grazie al movimento di “Black Lives Matter“, l’attenzione dei tanti che per settimane hanno manifestato in Union Square si concentrava soprattutto sugli episodi di violenza subita dagli afroamericani ad opera della polizia in diverse città degli Stati Uniti. Negli ultimi mesi, invece, in piena campagna per le elezioni primarie, la sensibilità è cambiata. In piazza è più facile trovare personaggi pittoreschi, tutti accomunati dall’amore incondizionato per Bernie Sanders — il senatore indipendente che si autoproclama socialista candidandosi a Presidente USA con il Partito Democratico — e dal disprezzo, altrettanto incondizionato, per Hillary Clinton, che tutte le previsioni da due anni a questa parte danno come futura prima donna a capo della Casa Bianca. La singolarità di questi personaggi è che per esprimere tutto il loro odio per la Clinton, usano gli identici simboli e il medesimo materiale di propaganda usato dai repubblicani per lo stesso scopo: quando Jeb Bush la scorsa estate sembrava il candidato favorito del “Grand Old Party” (GOP), e Donald Trump non era nemmeno lontanamente considerato dalla stampa, tra i supporter repubblicani già circolavano gli adesivi “Hillary For Prison“, così come i cartelli che riprendevano la “H” stilizzata del logo ufficiale della Clinton e lo utilizzavano per scrivere “Hypocrisy“. Con un milione e cinquantamila voti, e con uno scarto di 290.000 preferenze, la Clinton ha battuto Sanders nelle primarie democratiche dello Stato di New York che si sono svolte il 19 aprile. Le presidenziali di novembre sono ancora lontane, la nomina dei candidati avverrà a fine luglio e Union Square farà in tempo ad ospitare tutto il folklore politico immaginabile, non solo quello degli orfani di Occupy Wall Street. Ah, dimenticavo: tra i repubblicani, Trump ha stravinto a New York e adesso è in prima fila per ottenere la nomina alla Convention repubblicana che si terrà a Cleveland.
SCACCHI, DIO E ALTRI BISOGNI PRIMARI
In Union Square sarà facile trovare qualcuno che suona, anche se i migliori musicisti, dopo aver superato delle selezioni cittadine annuali organizzate dall’agenzia di trasporto pubblico, si esibiscono qualche metro sottoterra, nella fermata della metropolitana che porta lo stesso nome della piazza.
Nelle giornate calde, tra la popolazione di Union Square non mancheranno gli Hare Krishna e i giocatori di scacchi. A meno che non siate in una crisi mistica come il Woody Allen di “Hanna e le sue sorelle”, è probabile che alle prime nenie del mantra e al secondo scampanellio passerete oltre i seguaci di Krishna anche se il vostro Dio (o Krishna) non è poi così diverso da come lo vedono loro. Chi tra voi ha confidenza con Regina, Re e Cavalli potrà invece sfidare a scacchi alcuni dei giocatori presenti in piazza, per una cifra che potrà oscillare tra i cinque e i dieci dollari, anche a seconda della vostra generosità.
Union Square è sempre un’ottima tappa per chi abbia bisogno di un bagno e non sia attratto dall’idea di fare la fila davanti ai servizi di uno dei 220 Starbucks di Manhattan. Sulla piazza, nel punto a nord-est poco prima dell’angolo con Park Avenue South, troverete i bagni pubblici. Sempre sul lato nord troverete anche una delle superstiti librerie della catena Barnes & Noble. Uccise da Amazon, le poche che a New York si salvano devono ringraziare, nell’ordine: gli Starbucks ospitati al loro interno, la presenza di ampi settori di libri per bambini (dove mamme e babysitter possono portare i pargoli nelle giornate di pioggia), e poi proprio i servizi igienici. Nel caso non riusciate più a tenerla, sul lato sud della piazza la vostra scelta potrà cadere su Best Buy, la più famosa catena americana per l’elettronica di consumo. In bocca al lupo se riuscirete a trovare in meno di mezz’ora un’alternativa alle cuffie che avete dimenticato a casa o una nuova memoria per la vostra macchina da fotoreporter d’assalto. Potrebbe andar meglio con la toilette. Dimenticatevi, invece, di fare pipì a scrocco da Whole Foods sempre sul lato sud di Union Square. Nella catena di supermercati nota per i suoi prodotti biologici, l’assenza di conservanti, il rifiuto di coloranti e altri “anti” vari, si paga tutto. Solo con tanto di scontrino potrete fare la coda davanti ai bagni. Ma se volete un’immagine della piazza che non sia solo quella visibile a livello stradale, la potete avere gratis: basta salire al primo piano e mettere il naso sulla grande vetrata.
A proposito di librerie, ché mica siamo in piazza solo per far pipì. Barnes & Noble è sicuramente un luogo ideale per cercare delle riviste e anche la scelta di libri è vasta. Ma se voi per una volta preferite una libreria che non abbia per forza l’aspetto di un supermercato con la moquette, da Union Square vi basterà lasciare la piazza alle vostre spalle e percorrere Broadway verso sud, giusto un paio di isolati. All’angolo con la 12th Street troverete un’intramontabile esperienza newyorchese, STRAND BOOKSTORE (826 Broadway). Sopravvissuta all’avvento delle grandi catene, Strand ha scaffali zeppi all’inverosimile. Volumi nuovi e tantissimi usati. Loro dichiarano d’avere 2 milioni e mezzo di libri, pari a “18 miglia”. Superate la massa dei turisti che si accalcano a pochi metri dall’ingresso per comprare la paccottiglia con il logo di Strand. Perdetevi, invece, nei tre piani della libreria. Non importa se con l’inglese non ve la cavate, prendete uno di quei libri pieni di figure. Non provate ad uscire da Strand a mani vuote. Piuttosto, non ci entrate.
DOVE MANGIARE IN UNION SQUARE E DINTORNI?
Non siamo venuti in Union Square per pranzo o cena. Ma adesso abbiamo fame. Se le vostre guide serie vi hanno già convinto con qualche suggerimento imperdibile, accomodatevi, non sarò certo io a farvi cambiare idea. In caso contrario, ecco qualche indirizzo.
Siete in vena di carboidrati. Cercate una panetteria, si, dove magari comprare del pane fresco o farvi un panino con due classici americani, come l’insalata di tonno o quella di uova. Non vi dispiace nemmeno l’idea di un croissant alle mandorle. Ho il posto che fa per voi: BREADS BAKERY (18 E 16th Street) . Ma la ragione per andarci è un’altra. Dovete fare spazio per due dolci della tradizione ebraica est-europea: rugelach e babka al cioccolato. I primi sono dei cornetti di pasta arrotolata e ripieni di noci o uvetta o semi di papavero. Il secondo, per alcuni, potrebbe essere la prova provata dell’esistenza di Dio. Metafisica a parte, il babka è un rotolo di pasta, un incrocio tra pane e torta. Spendete a piene mani e non ve ne pentirete.
Siete in vena di tanta sostanza e zero fronzoli. THE COFFEE SHOP (29 Union Square W) è la scelta di cui non vi pentirete, soprattutto se avete al seguito bambini. [Parentesi. Vi prego, evitate i fast food. E, per favore, non fatene una questione di soldi. Vi siete imbarcati su un aereo e state pagando un albergo o un bed & breakfast. Non siete poveri. A meno di non stressarvi a cercare lungo il vostro cammino tutti i buchi dove mangiare a pochi dollari, New York non è cara per un turista: di più. Ma voi siete venuti in vacanza in questa città perché lo volevate. Il posto più economico? Il bar di un campeggio in Montenegro. Chiusa parentesi]. The Coffee Shop è praticamente un diner (dei quali ho già parlato in un altro post), ma con alcuni piatti brasiliani nel menù, che nemmeno riesco a ricordare. Ci sono anche dei tavolini all’aperto, se amate mangiare a due passi dai tubi di scappamento.
Siete in vena di qualcosa di più esotico, ma senza esagerare. “Amò, che ne dici d’un giapponese? Ce li vogliamo fare du’ ramén??“. E facciamoceli, va. Ma con un avvertenza: se bramando la cucina del Giappone cercate qualcosa di speciale, alla moda, da urlo e via di questo passo, Union Square non è la zona che fa per voi. Dovreste scendere lungo 4th Avenue e andare almeno nell’East Village. Ma a meno che non siate degli esperti che hanno trascorso gli ultimi sei anni della loro vita a Tokyo, quasi un qualunque ristorante ramen di New York vi offrirà maggior varietà rispetto agli ancora pochi omologhi italiani. Per questo, trovandovi in zona Union Square, ICHIBA RAMEN (125 University Pl) farà invece al caso vostro e rimarrete soddisfatti. Appena aprirete la porta, i camerieri vi accoglieranno con il più classico benvenuto urlato: irasshaimase! I vostri ramen oscilleranno dai 13 ai 15 dollari. A me piacciono anche le polpettine di polpo, se così posso definirle, o takoyaki.
Siete in vena di un semplice spuntino ma non avete voglia di una banale fetta di pizza. Seguitemi. Io sto giusto attraversando Union Square perché voglio andare da BEECHER’S.
FORMAGGIO E VAPORE
900 Broadway è l’indirizzo dove ci fermiamo. È il punto vendita newyorchese di un produttore di formaggi di Seattle. Formaggio artigianale, per la precisione. Da anni le specialità di Beecher vincono premi di settore. Il loro prodotto più caratteristico e premiato è un cheddar semi-duro, stagionato per 15 mesi. Quello che definiscono il loro “flagship”.
Ma io voglio qualcosa di più semplice, da mangiare sul momento, magari mentre me ne vado a passeggio. E Beecher ha la soluzione. Nel suo punto newyorchese non solo vende il formaggio, lo produce pure. Stiamo parlando di due grandi vasche dove avviene la cagliatura di un formaggio fresco. Al termine del procedimento le vasche contengono migliaia di piccoli pezzi, sembrano quasi delle pepite. Sono quelli che loro chiamano i “cheese curds”. Per ovvi motivi igienici, e per evitare contaminazioni, le vasche sono separate dal resto del locale ma ben visibili dai clienti, attraverso un’enorme struttura in vetro a tenuta stagna. Sopra le vasche ci sono le tubature lungo cui scorre l’acqua bollente. Ma da dove arriva quell’acqua, visto che lì dentro non c’è traccia di boiler? Tranquilli, non entrerò in dettagli tecnici che nemmeno io sarei in grado di capire.
Avete presente quegli enormi tubi a strisce bianche e arancioni da cui esce vapore e che da sempre sono una delle caratteristiche del paesaggio stradale di New York? Bene. Oltre 130 anni fa la città iniziò a dotarsi di un sistema di teleriscaldamento. Pare che tutto nacque osservando come i generatori elettrici si scaldassero troppo. Che fare di quel calore? Adesso a Manhattan, dalla 96th Street a Battery Park esistono oltre 100 miglia di tubature che trasportano questo vapore. Quello in eccesso esce dai tombini o viene convogliato negli enormi tubi che sono visibili dappertutto, specie a Midtown. I palazzi raggiunti da questo sistema d’energia sono oltre 1700 e si tratta soprattutto di grandi istituzioni, come ospedali e musei, o grandi aziende. Il vapore viene utilizzato per condizionare e umidificare ambienti, per sterilizzare e per riscaldare l’acqua. Per Beecher un grande boiler significherebbe alti costi di manutenzione, spreco di energia e, soprattutto, di tempo. Per questa ragione si agganciano alla rete di teleriscaldamento. Per loro basta aprire una valvola e all’istante nei tubi scorrerà acqua a 100 gradi.
Da Beecher’s si trovano ovviamente “grilled cheese” (cioè panini caldi con uno o più di tipi di formaggio), piatti a base di formaggio e non solo. Ma io con una sporca dozzina di dollari prendo la mia scatola di “Cheese curds” e, come un vero ratto newyorchese, vado a sgranocchiarli fuori. Certo, non fa ancora molto New York mangiare del formaggio per strada, non come una fetta di pizza (anche se non è proprio così frequente vedere qualcuno che se la mangia camminando, meglio stazionare sul marciapiede). Magari un giorno Beecher diventerà una tradizione. Capirai che quel giorno è arrivato quando potrai andare al bancone dei formaggi e ti chiederanno: “tastayatago??” (to stay or to go, lo mangi qui o te lo porti via?).
ONCE UPON A TIME IN NEW YORK
La nostra passeggiata in Union Square e dintorni sta per volgere al termine. Ma manca ancora qualcosa. Difficile che ci metteremo in valigia l’aglio rosa calabrese, a maggior ragione se torniamo a Lamezia. Ci vuole un ricordo della città, che non sia il solito portachiavi con il taxi giallo o la tazza con “I ❤️ NY”. Torniamo agli inizi della piazza, nel punto più a sud-ovest. Marciapiede lungo Union Square W quasi angolo con E 14th Street. Abbiamo alle nostre spalle la statua di Gandhi (cercate sulle vostre guide serie tutte le altre statue presenti in piazza).
Ci sono dei banchetti. Cerchiamo un banco dove si vendono dischi. Non uno qualunque, quello di Richard. Meglio, Ritchie. Chiedete il nome se non siete sicuri. Ritchie crea compilation. Tra i suoi clienti non ci sono solo i turisti che passano in piazza ma anche tanti affezionati. Molta musica jazz, blues. E qualche compilation di artisti che hanno fatto e ancora fanno la storia della musica a New York. Bob Dylan, Velvet Underground, Leonard Cohen. E certo, anche il Tom Waits di “Rain Dogs”.
Ah, perché proprio 90 i minuti da trascorrere in Union Square? Non lo so, mi piaceva.