Con la testa nel pallone, tra Santa Rita e South Bronx
Quando verrete a New York, se vorrete vi porterò a visitare anche il mio Bronx. Ma se invece avete in programma un breve fine settimana in qualche grande città italiana, e magari cercate delle emozioni un po’ più forti del solito, vi basterà anche solo passeggiare per la Crocetta torinese dopo cena…
“Vedo che deve fare il calcio totale”, mi dice.
Io la guardo e penso subito a Johan Cruyff. Forse l’impiegata allo sportello prenotazioni dell’Ospedalino Koelliker sta invece pensando a tutt’altro. Fine maggio dell’anno domini 2024. Vero che il Koelliker è a due passi dallo Stadio Olimpico Grande Torino, ma non credo che il football abbia a che fare col calcio in questione.
Adesso è giugno. Dopo tre settimane di trasferta imprevista a Torino, per aiutare la mia mamma ultra-ottantenne alle prese con alcune fastidiose rogne di salute e mobilità, sono rientrato finalmente a New York. Ripenso all’episodio del calcio totale al Koelliker mentre sono davanti allo Stadio degli Yankees, la squadra di baseball più titolata d’America. Sono qui con due simpatiche famiglie leccesi che volevano visitare anche il Bronx. Qualche acquisto veloce al negozio ufficiale degli Yankees e poi andremo a fare una tappa nel Queens multietnico di Jackson Heights.
CALCIO TOTALE
Avevo solo cinque anni quando nel 1974 l’Olanda di Johan Cruyff venne sconfitta dalla Germania Ovest nella finale del Campionato del Mondo. Ricordi vaghissimi, a dir tanto, e pure in bianco e nero.
In quel periodo, più che di “totaalvoetbal” olandese, gli italiani parlavano ancora dell’impresa epica avvenuta quattro anni prima in Messico, “la partita del secolo”. Nella semifinale giocata allo Stadio Atzeca di Città del Messico, l’Italia aveva battuto 4 a 3 la Germania Ovest di Franz Beckenbauer. Il giocatore più famoso che la Germania abbia mai avuto era sceso in campo con una spalla slogata e tenuta insieme da una fasciatura. Ma quella del giugno 1970 era un’Italia stellare, forse anche poco incline al sentimentalismo e alla pietà verso gli infortuni avversari. Era l’Italia del Gigi Riva adorato da mio padre e tanti altri della sua generazione. E poi l’Italia di Boninsegna, Burgnich e Rivera. Quel Gianni Rivera che nei supplementari segnò il gol della vittoria leggendaria. In finale l’Italia dovette però arrendersi al Brasile di Pelè.
Alla fine degli Anni Settanta, proprio eroi come Pelè e Beckenbauer finirono la loro carriera in America, nei New York Cosmos, insieme al laziale Giorgio Chinaglia.
Nell’estate del 1970 io avevo appena un anno. Per puro caso ero nato in un giorno di fine marzo del 1969 in cui l’Italia di Gigi Riva aveva giocato una partita contro la Germania Est. Si, esistevano due Germanie, separate da un ideale cortina di ferro, che diventava un vero e proprio muro a Berlino. I ragazzi di oggi forse non lo sanno, ma in quei campionati mondiali giocavano squadre di paesi che non esistono più, come la Jugoslavia o la Cecoslovacchia. A Torino solo l’idiozia legale e la pigrizia burocratica senza fantasia e coraggio tengono ancora in piedi il lunghissimo Corso Unione Sovietica. 2 a 2 fu il risultato finale di Italia – Germania Est, che mio padre non riuscì a vedere perché le doglie di mia madre ebbero la precedenza.
Le mie prime vere memorie calcistiche internazionali si formeranno solo nel 1978, col Mondiale d’Argentina e pure un gol del granata Zaccarelli per la vittoria contro la Francia nel girone eliminatorio. Per la gloria eterna, come tanti della mia generazione, dovrò aspettare invece il luglio del 1982 e l’urlo di Tardelli.
NEW YORK CITY, FOOTBALL CLUB
E tutti questi pensieri pallonari vengono a galla mentre sono nel Bronx, allo Yankee Stadium, un vero e proprio tempio del baseball. Dove però, ormai da anni, gioca temporaneamente anche la mia squadra locale di calcio, il New York City FC.
Non è proprio il luogo ideale per vedere Messi in trasferta da Miami, lo stadio degli Yankees. Ma serviranno ancora almeno tre anni prima di vedere un impianto nuovo di zecca e tutto dedicato al calcio qui in città. Per l’inizio della stagione 2027 i giocatori del New York City FC dovrebbero avere finalmente una casa degna di nota.
Il nostro stadio non solo sarà davvero a New York, ma sarà anche molto più bello di quello che gli odiati New York Red Bulls hanno in… New Jersey. Verrà costruito nel Queens, davanti all’attuale stadio dei New York Mets, la seconda squadra cittadina di baseball. Nonostante i Mets siano adesso ricchissimi, hanno una lunga storia di insuccessi e delusioni. Facendo tutte le debite proporzioni, Yankees e Mets sono un po’ come Juve e Toro. L’area del Queens dove Mets e NYC FC faranno a gara per attirare folle paganti, se non oceaniche, si chiama Willets Point e corrisponde a quella che ne “Il Grande Gatsby”, per Francis Scott Fitzgerald, era la “valle delle ceneri”. Speriamo in bene.
Fondato nel 2013, il New York City FC ha iniziato a giocare la sua prima stagione nella Major League Soccer (MLS) solo nel 2015. I suoi proprietari sono City Football Group e Yankee Global Enterprises. Il primo è l’organizzazione attraverso la quale Abu Dhabi United Group possiede squadre di calcio in mezzo mondo. La più famosa è il Manchester City, cui fanno compagnia, tra le altre, anche Melbourne City, Manchester City e Montevideo City, perché la fantasia deve essere una dote che negli Emirati non sono ancora riusciti a comprare. Yankee Global Enterprises è invece proprietaria degli Yankees (società che vale qualcosa come 7 miliardi di dollari..) e detiene adesso una quota del 20% nel NYC FC.
Per questa ragione, in questi quasi dieci anni nei quali hanno vinto una sola volta il campionato, i miei beniamini del City newyorchese hanno quasi sempre giocato le loro partite casalinghe proprio nello stadio degli Yankees. E per lo stesso motivo, da anni si parlava di costruire uno stadio tutto per il calcio nella stessa vasta area di South Bronx.
IL BRONX È DI MODA E NON BRUCIA
South Bronx è un nome usato per indicare una zona molto ampia che comprende diversi quartieri, tra i quali Concourse (dove sorge lo Yankee Stadium), Melrose e Mott Haven. Sono quartieri che conosco bene e che attraverso quando porto i miei clienti italiani a fare mezza giornata di tour nel Bronx. In genere partiamo da Highbridge, quartiere ai cui margini si trova la scalinata resa famosa dal film “Joker”, per arrivare, dopo un intenso zig-zag tra l’area commerciale di Melrose (The Hub) e il distretto storico di Mott Haven, al fondo di Bruckner Boulevard. Arriviamo nel Bronx in metro da Manhattan e poi ci muoviamo rigorosamente a piedi, come tutti quanti noi newyorchesi siamo abituati a fare ogni giorno in una città dove le auto sono un mezzo, sì, ma incubo.
Quando con i miei clienti decidiamo di prendere l’autobus, non è mai uno di quelli a due piani. Prima di tutto, perché questa è New York, non Londra. E poi perché per gli autobus a due piani dovete rivolgervi ad agenzie turistiche che sanno il fatto loro e sanno anche come rendere la vita comoda ai visitatori che preferiscono una New York meno stressante o hanno problemi di mobilità. Ci sono stazioni della metropolitana accessibili anche nel Bronx, ma la brusca e grezza New York non fa sconti nemmeno ai suoi cittadini disabili, figuratevi ai turisti. Gli autobus pubblici sono comunque tutti dotati di pedana per sollevare le carrozzelle. In questo modo sono proprio gli autobus della MTA a garantire la massima accessibilità nelle centinaia di quartieri che compongono New York City, Bronx compreso.
South Bronx è noto per essere anche l’area dove è nato l’hip-hop. Quando i miei clienti mostrano un interesse specifico in questo senso, come è spesso il caso di famiglie con adolescenti, allora li conduco a visitare alcune delle zone dove sono cresciuti i rapper e le glorie musicali locali come Big Pun o Jennifer Lopez. Deviazioni simili avvengono nella Brooklyn di Notorious BIG o nella Staten Island del Wu Tang Clan. Che i rapper muoiano giovani, e spesso di morte violenta, è discorso che rimandiamo ad un’altra volta.
Il Bronx che hanno in mente i turisti desiderosi d’andare un po’ oltre la New York luccicante di Midtown Manhattan coincide proprio con South Bronx. Ma il loro Bronx, quello che magari hanno visto nei film violenti degli Anni Settanta e nei telegiornali dello stesso periodo, con gli incendi e i palazzi distrutti, per fortuna non esiste più da tempo. È ancora una zona più povera della media cittadina, ma sono trascorsi più di cinquant’anni, e tutte le città americane cambiano con una velocità spesso sconosciuta anche nelle metropoli e grandi città europee.
Comunque, quand’anche quel ruvido Bronx cinematografico e storico fosse una realtà contemporanea, io non mi sognerei mai di portare turisti nelle zone più pericolose delle città. Che esistono ancora oggi, sia ben chiaro, nel Bronx come in tutti gli altri borough di New York, da Manhattan a Staten Island. La stessa Harlem segnalata e consigliata da tutte le più autorevoli guide turistiche, e dove i visitatori si affollano giustamente per assistere alle messe cantate (gospel), ha tassi di criminalità di molto superiori rispetto a quelli che si registrano in quartieri benestanti come il Village o Brooklyn Heights. Per le strade dove camminava Duke Ellington bisogna fare molta più attenzione rispetto a quelle dove passeggiavano Bob Dylan e Truman Capote. Anche se il Village e la Brooklyn Heights di questi ultimi due erano molto più pericolosi della loro versione edulcorata odierna.
New York City è una metropoli da oltre otto milioni di abitanti ed è impensabile che non esistano problemi. Quando vivi quaggiù, impari semplicemente a convivere con le difficoltà e le contraddizioni, che possono trovarsi a qualche isolato da casa tua o che possono seguirti quando sali in metropolitana. È davvero una banale lezione che si impara sin da piccoli, così come si impara a contenere le ansie e le paure. Altrimenti i ragazzini di prima media come mio figlio non potrebbero salire in metro e andare a scuola (e noi genitori vivremmo in uno stato insostenibile di terrore continuo). Tenere sempre gli occhi aperti e i sensi allertati, anche quando si presta attenzione a tutt’altro, fa parte del bagaglio che a New York ti porti dietro ogni giorno. Dopo un po’, non ti accorgi nemmeno del peso.
Capisco che nell’immaginario collettivo, soprattutto quello italiano, il Bronx sia considerato un’area pericolosa, e quindi anche più interessante per turisti in cerca di emozioni particolari. Ma… a parte il fatto che davvero nessuna guida sana di mente metterebbe a rischio i propri clienti… la verità è assai più semplice.
Il Bronx è un distretto grande, composto da decine di quartieri e dove vivono oltre un un milione e 350mila abitanti. Lo so, i numeri non sono sexy come i muri colorati dai graffiti, le casse che rimbombano di musica a tutto volume o come le scene di un film poliziesco. Ma i numeri aiutano a capire un po’ di più la realtà. E la realtà è che New York City è una metropoli fatta di cinque distretti (o borough) che sono grandi come città, non come semplici quartieri.
Fare una puntata di un paio d’ore nel Bronx (e lo stesso vale per tutti i borough di New York) e come dire d’andare a visitare Milano in due ore. Certo, magari Milano non ha le attrazioni turistiche di Venezia, Firenze e tantomeno Roma. Ma in un paio d’ore non andremmo oltre piazza Duomo e dintorni. Nella Torino dove sono nato e cresciuto, prima di trasferirmi a New York nel 2013, non sarebbe tanto diverso.
Il Bronx non è grandissimo, Queens e Brooklyn sono decisamente più grandi. Ma è più o meno grande come Torino (solo dieci chilometri quadrati in meno), e con mezzo milione di abitanti in più. Se preferite, ha la stessa popolazione di Milano e 70 km quadrati in meno. Esistono quartieri con case popolari di quindici piani e quartieri con case monofamiliari o ville che si affacciano sul fiume Hudson. Università importanti, lo zoo cittadino, il giardino botanico di New York, cimiteri dove sono sepolti personaggi celebri come Herman Melville o Miles Davis, immensi parchi e pure spiaggie. Treni che corrono in sopraelevata e metro sotterranee. Quartieri dove si concentrano le diverse comunità etniche, come gli italiani a Tremont, lungo l’asse di Arthur Avenue, e altri oggetto di gentrificazione come le aree di Mott Haven più a ridosso di Manhattan.
Insomma, è impossibile ridurre il Bronx ad uno stereotipo.
EMOZIONI FORTI. MA A DUE PASSI DA CASA VOSTRA…
Da più di dieci anni New York è la mia casa. Ci sono quartieri che mi piacciono di più e altri che mi lasciano indifferente. Quartieri in cui mi sento totalmente a mio agio e altri dove mi muovo con maggior circospezione. Ma anche in quest’ultimi è difficile che mi senta un estraneo. Perché la maggior parte di chi vive a New York, come in qualunque altro posto, vuole solo vivere in santa pace e si fa gli affari propri.
Magari con la coda dell’occhio vedi una situazione per te meno frequente o un più anomala, ma tiri dritto per la tua strada. Col passare del tempo, ci fai sempre meno caso. Lo sai che la persona squilibrata o malintenzionata potrebbe essere al tuo fianco, ma hai altre cose per la testa. Poi, in genere, dove ci sono tante persone, è rarissimo che i malintenzionati siano violenti o prendano di mira proprio te. Una volta che tieni il portafoglio in tasca e la borsa chiusa, cammini tranquillamente un po’ ovunque.
Al massimo (ma anche questa evenienza è per fortuna rara), potresti finire nel bel mezzo di una sparatoria isolata tra gang che se ne fottono della vita altrui pure se ci sono nonne e bambini nei paraggi. Per questa ragione a volte si trovano volanti della polizia davanti a certi complessi di case popolari. Gli housing projects sono ovunque, anche in quartieri ricchi come Chelsea a Manhattan, e la stragrande maggioranza delle persone che ci vive sono oneste, tirano a campare tra mille difficoltà e pochi soldi. Ma gli stronzi che vivono nei projects sanno essere davvero stronzi, hanno pistole illegali e sono spesso senza scrupoli. Quelli più ambiziosi e dalla faccia più tosta, narrano le loro gesta criminali, la loro misoginia e la mercificazione delle donne in tante canzoni hip-hop che i turisti non capiscono. A quegli stessi turisti, ansiosi di fare immersioni nella New York ai margini, gli agenti di viaggio vendono escursioni in autobus come fossero uno zoo safari.
Il mio consiglio è sempre lo stesso: fate un minimo di attenzione, ovunque vi troviate, anche a Times Square. Non fate cose che non fareste mai nelle vostre città di provenienza. Per esempio, camminereste la notte in una zona deserta, dove non c’è la benché minima traccia d’anima viva? Forse no, giusto? Beh, io a volte lo faccio, e non sono matto. Lo faccio più per necessità che per scelta. Oppure mi capita per puro caso di finire in un luogo che non mi aspettavo fosse troppo desolato.
Ma mentre voi venite a New York, e magari cercate proprio nel Bronx immaginario un momento di maggior palpitazione, io faccio il viaggio in senso opposto. E neppure apposta.
Le mie tre settimane torinesi sono state abbastanza ordinarie. Visite mediche, prenotazioni ospedaliere, supermercati, farmacie, altre visite mediche, altre prenotazioni, piatti da lavare, petti di pollo, insalatine, tazzine di caffè, ancora prenotazioni al Koelliker, con percorso a memoria tra la Chiesa di Santa Rita, il mercato di Corso Sebastopoli e lo Stadio Olimpico del mio Toro. Durante il giorno non ho quasi mai avuto del tempo davvero libero. Per uscire un po’ ho approfittato delle ore dopo cena.
La sera ho visto alcuni amici, ho bevuto alcune birre, qualche Negroni e ho pure danzato un sabato notte come fosse il 1984. Nel fine settimana ho riscoperto il piacere di muovermi a passo di lumaca tra i locali del Quadrilatero, pieni di giovani all’inverosimile, oppure tra quelli di piazza Vittorio, San Salvario e Vanchiglia. Ma spesso, nelle mie settimane torinesi, ho fatto lunghe passeggiate solitarie, magari da Santa Rita verso Piazza San Carlo. Oppure verso la precollina e il Monte dei Cappuccini.
Non di rado, nelle mie peregrinazioni serali, ho attraversato la zona del mercato della Crocetta. Di giorno, soprattutto il sabato, il mercato è affollato di ragazze e madame alla ricerca di abiti a poco prezzo. Ma la sera…
La sera, quando attraversi la piazza del mercato della Crocetta, uno dei quartieri più signorili di Torino, ti ritrovi a passeggiare in perfetta solitudine, in strade silenziose, dove non c’è nessuno. Ti guardi alle spalle, perché non si sa mai… e c’è il nulla più assoluto. Il battito cardiaco aumenta, pure se questa è una delle zone più sicure di tutta Torino e sono ormai abituato a luoghi realmente pericolosi. Non importa, qui non ci sono nemmeno i rari padroni che a tarda sera portano a spasso i cani nella Crocetta dei viali alberati semideserti vicino al Politecnico. No, nella piazza del mercato sei solo tu, solo come un cane.
E non c’è niente di meglio che mettere su le cuffie e farsi trasportare dalla musica. A tutto volume. Se qualcuno volesse prendermi alle spalle, non riuscirei a sentirlo. Con la musica volo per un attimo a casa. Almeno con l’immaginazione. Camminando ancora per un po’ potrei anche raggiungere un locale dove servono una birra prodotta dalle mie parti.
Nelle orecchie c’è Danny Tenaglia, Dj e gloria della house music targata Brooklyn.
Perché a me, l’hip-hop, è venuto un po’ a noia…
P.S. Dimenticavo. Il cosiddetto “calcio totale” (calciuria) è un esame medico in cui devi raccogliere le urine per 24 ore. Una volta analizzate, esce un quadro più chiaro della quantità di calcio filtrata dai reni e rilasciata dalle urine. Spiegazione degna di “Elisir”. Quando poi Michele Mirabella andrà finalmente in pensione, e quella trasmissione sarà cancellata una volta per sempre, la salute mentale dei pensionati italiani avrà benefici enormi. Senza offesa e nulla di personale.