Un minuto a New York
Il “New York Minute” passa come un lampo, ma tu ci puoi fare un sacco di cose.
“Grazie! Ho la testa troppo grande!”. Sorrido e la rassicuro: la testa è a posto. È solo che è una giornata davvero infame per fare il suo lavoro.
In qualche modo sono riuscito a fermare il traffico. E, soprattutto, la corsa impazzita del suo capello. Glielo restituisco mentre continua a ringraziarmi, e mi allontano a passo veloce. Ha smesso di nevicare, ma adesso fa troppo freddo per fermarsi a parlare. Voglio solo recuperare il ragazzino a scuola e scappare a casa.
Può accadere di tutto, in un minuto a New York.
Quando ho visto quel casco coloniale prendere improvvisamente il volo, ho pensato che si sarebbe schiantato contro la macchina che stava arrivando in direzione opposta. Sembrava un disco volante velocissimo. E pure fuori controllo.
I postini americani, quando piove o nevica, indossano un cappello in plastica rigida che ha davvero la forma di un casco coloniale. Per la precisione, di quello francese. Protegge dalle intemperie, senza dubbio. Ma con quella massa enorme di capelli, seppur raccolti in tante trecce, è anche vero che quella giovane portalettere non avrà mai vita facile.
CLIMA AMERICANO
Le previsioni del tempo dicevano che dalle tre alle quattro del pomeriggio ci sarebbe stato uno “snow shower”. Ero preparato, vestito a cipolla. Sapevo che dopo l’attesa spruzzata di neve, la temperatura sarebbe poi scesa parecchio sotto lo zero. Non ero invece preparato, come altri milioni ancora fuori casa, all’allerta meteo.
Noi italiani concepiamo lo “shower”, il rovescio d’acqua. È il nostro “acquazzone”. Ma non abbiamo un equivalente per quello di neve. Figurati se riusciamo a tradurre uno “snow squall”, una tempesta di neve che arriva all’istante. Una bufera violenta e veloce. Che poi, altrettanto velocemente, sparisce.
Quando ho sentito il telefono, ho capito subito che c’era qualcosa di storto. Non l’inizio di “Jump Around”, che accompagna l’arrivo dei miei messaggi. Ma il tipico suono che quaggiù è usato per le emergenze. Quando bambini o anziani scompaiono di casa, tutti i telefoni presenti nell’area ricevono un messaggio di allerta che suona nello stesso modo. E non smette di suonare fino a quando non afferri il telefono e leggi il messaggio.
In sei anni a New York ho visto tanta neve. Tempeste e bufere di ogni tipo, sino a un vero e proprio “blizzard” con più di mezzo metro. Ma non avevo mai ricevuto un “snow squall warning”. E con tutta la presunzione possibile, invece di mettermi a leggere, ho pensato: si, vabbè, qui le precauzioni sono sempre tante… han paura che ci ammazziamo per strada…
Stronzate.
È stato il più classico dei “New York Minute”.
Prima l’illusione. Ho visto scendere alcuni fiocchi, piccoli piccoli. Poi, all’improvviso, il cielo è diventato scuro e la neve si è infittita sempre di più. Il vento ha iniziato a soffiare forte e gelido, la visibilità sembrava quella di una giornata di nebbia. In pochissimo, la mia giacca e i miei pantaloni erano quasi completamente bianchi.
Dopo il pentimento per non essermi fermato subito a cercar riparo in un vecchio “social club” italiano, in cinque minuti sono riuscito a raggiungere l’unica alternativa possibile nell’area industriale di Gowanus: il bar di Whole Foods. Come me, decine di altri disgraziati.
“RICORDATI CHE DEVI MORIRE”, POSSIBILMENTE ALLA SVELTA
Si, un vero “New York Minute”. E in meno di mezz’ora era tutto finito, con tanto di sole all’orizzonte. Ho ripreso il telefonino. Con il suo tono terroristico, il messaggio la sapeva lunga: raffiche di vento a 80 km/h, visibilità ridotta a zero dalla tormenta e condizioni di pericolo letale per gli automobilisti. Mean-g’ya, come si dice quaggiù.
New York è nota per i suoi ritmi frenetici. Quando si usa l’espressione “New York Minute” si intende qualcosa che avviene all’istante, immediatamente, velocemente o senza pensarci due volte. Ma il minuto newyorchese, per i newyorchesi, non esiste. Un minuto a New York vale quanto un minuto a Napoli.
In questa città la frenesia è la regola. Già si fa la coda per qualunque cosa, perché siamo proprio in tanti e in spazi piccoli. Se la gente non si desse una mossa, sarebbe la paralisi. Il resto degli americani, soprattutto nel lontano passato, questa cosa proprio non la concepiva. Soprattutto gli americani del sud. E così la leggenda dice che l’espressione “New York Minute” sia stata coniata da un texano a metà anni sessanta. L’idea era semplice: quello che un newyorchese fa in un istante, un texano lo fa in un minuto. Sapessi le meraviglie che ci puoi fare, con un minuto a New York.
Lo “snow squall” ha rispettato le previsioni dell’ultimo secondo e se n’è andato abbastanza in fretta. Ma ha riportato l’aria polare, ancora lei. E anche se a New York pensiamo sempre d’essere al centro dell’Universo, il nostro termometro sarà roba di poco conto. Un po’ perché al freddo, alla lunga, ci si abitua. E un po’ perché Chicago si appresta a stracciarci senza gara.
Quando noi domattina ci sveglieremo di nuovo con -15°, gli stessi che ci hanno fatto urlare alla primavera quando per una settimana la temperatura si fermata solo allo zero, Chicago vedrà la colonnina del termometro arrivare a -32º. Dice che nelle prime ore del mattino a Chicago farà più freddo che al Polo Nord, Antartide e Alaska. Boom.
Arrivo finalmente davanti alla scuola del mio piccoletto. Camminare tanto a lungo al freddo, e pure senza passamontagna, mi ha un po’ intontito. Confido che aprano in molto meno di un “New York Minute” le porte ai genitori surgelati.
Non so dove ti sei andata a nascondere, mortale bufera lampo. Ma a vedere il tramonto, direi che sei andata a bruciarti da qualche parte.