New York, Brooklyn, Bedford-Suyvesant, vaccination site
Persone

Vigilia di giorni migliori

E poi ci sono giornate che ricorderai comunque per lungo tempo, anche se c’è un ago di mezzo. Tempo di vaccino anti-Covid. [Aggiornato al 22 aprile 2021]


Non so se sia più la foschia di questo mattino primaverile o se siano solo i miei occhiali appannati. Da un anno a questa parte, come per milioni di altri disgraziati miopi e ipermetropi sparsi ai quattro angoli del globo, il coronavirus significa prima di tutto mascherine che portano la nebbia direttamente sulle tue lenti. A New York la nebbia non è molto frequente. Siamo circondati da acqua, però non abbiamo un’umidità così atroce, se non a luglio e agosto. Quella odierna è foschia, che in alcuni momenti diventa decisamente più fitta. Ma qui si dice sempre e comunque “fog”, nebbia. Anche per quella creata dall’onnipresente mascherina.

Ho appuntamento alle 10.50 per la mia prima dose di vaccino, e sono indeciso se prendere la macchina. A Bedford-Stuyvesant, come ovunque qui a Brooklyn e nel resto della città, parcheggiare è spesso un mal di testa. Decido che cinque chilometri e rotti a piedi si possano tranquillamente fare, anche se non ho idea di come mi sentirò durante i cinque del ritorno. Sono abituato a camminare per 15 o 20 chilometri in un pomeriggio, questa sarà una passeggiata decisamente più breve. Dopo colazione leggera, caffè e lettura dei giornali, alle 9.30 ero già fuori di casa. Non che fossi ansioso, e se anche lo fossi stato non lo ammetterei. Avevo invece voglia di mettermi a camminare di buon passo, e godermi un po’ la foschia. Un solo errore: avrei dovuto prendere una giacca più leggera. Non ho lasciato molto al caso, questa mattina, volevo qualcosa di simbolico. Indosso una t-shirt dei Criteria, gli studi di registrazione di Miami. Ho la felpa del Toro e il berretto dei NYC FC. Ho deciso che oggi le “mie” tre città dovevano venire con me.

Cammino veloce, come sempre. Inizio a sudare e sentire caldo, come sempre, oppure sto già proiettandomi sui possibili effetti secondari del vaccino. Seventh Avenue, Park Place, Grand Avenue, Atlantic Avenue, Franklin Avenue, Fulton Street. Da Park Slope, e poi attraversando Prospect Heights e Crown Heights, eseguo il mio zig-zag alla perfezione fino a Bed-Stuy, e arrivo davanti alla Restoration Plaza con mezz’ora d’anticipo sul mio appuntamento. No, non sono affatto ansioso oggi. Continuo a camminare in direzione est lungo Fulton. C’è una differenza vistosa rispetto all’estate. Nel tratto d’asfalto compreso tra New York Avenue e Brooklyn Avenue è scomparso il lungo murale giallo di “Black Lives Matter”. Cammino piano, tanto per far passare il tempo. Continuo ad ascoltare musica nelle mie cuffie. Attraverso Fulton, vado sul marciapiede opposto e torno indietro.

Alle 10.30 decido che posso fermarmi davanti all’ingresso della mia destinazione. Posso aspettare per un po’, non sono affatto ansioso, oggi. Alle 10.40 penso che dieci minuti d’anticipo possano essermi tranquillamente perdonati. Entro dalla porta girevole. Mi accoglie una ragazza, mi chiede un documento e poi mi indica di proseguire lungo il percorso segnalato dalle frecce. Salgo pochi scalini che mi portano ad un piano rialzato. Incontro un ragazzo che mi indica dove proseguire. Lo saluto e procedo. Destra, giù per le scale. Altri saluti, altre indicazioni, vado a sinistra, di nuovo giù per altre scale. Sono condotto passo dopo passo nel mio percorso, come fossi un aereo tra le piste e i piazzali di un immenso aeroporto. Sempre dritto, seguo le istruzioni a voce, quelle appese ai muri e quelle stampate sul pavimento. C’è un segnale di stop, che io quasi non vedo. Ma ci pensa un’altra ragazza a dirmi di fermarmi. Aspetto una manciata di secondi, ricevo il via libera. A occhio e croce avrò gia salutato dieci persone ad ogni incrocio dove ho svoltato.

Mi seggo ad una scrivania, la numero quattro. Saluto e vengo ricambiato con un saluto altrettanto caloroso, lo vedo anche se c’è la mascherina. Mostro la mia Carta Verde, poi la tessera dell’assicurazione sanitaria, la conferma dell’appuntamento per il vaccino e una prova che risiedo nello Stato di New York. Rispondo alle domande del mio interlocutore. Nessuna malattia seria, nessun medicinale serio preso da mesi se non anni. “Allergie? Non credo”, rispondo. “Se ne ho, lo scoprirò oggi!”. Ride. Ricevo un bigliettino con un numero che devo mostrare al prossimo passaggio. Mi saluta e mi dice dove andare. Ringrazio, gli auguro di stare bene e di fare sempre attenzione. Mi alzo e seguo le nuove indicazioni.

Arrivo finalmente nella grande stanza dove mi attendono per l’appuntamento. Ci sono almeno una decina di postazioni separate da tende verticali. Mi seggo alla scrivania, indicatami da una tra gli innumerevoli ragazzi che lavorano qui dentro. Saluto con la voce più squillante che ho. “Eve, è un bel nome”, dico. “Bello, come la vigilia di Natale” (perché in inglese “eve” significa vigilia). Vedo dai suo occhi che sorride. Mi ringrazia per il complimento e iniziamo con le domande. Sono le stesse di prima, ma anche lei deve farmele. Mi chiede di verificare l’indirizzo di posta elettronica e di modificare la città. “Vivi a Manhattan?”. Rispondo di no. Il programma ha scritto in automatico “NYC” mentre dovrebbe riportare, più correttamente, “Brooklyn”. Eve chiama un altro addetto e fa presente che questo errore si ripete in continuazione. Scambiamo ancora qualche battuta sul suo lavoro, mentre lei prepara la siringa. Sono certo che Eve abbia infilato l’ago nel mio braccio sinistro, ma io non l’ho sentito. Mi rimetto la felpa. Prima di salutarla, le esprimo più volte tutta la mia gratitudine, a lei e a tutti i suoi colleghi.

Vado nella stanza della cosiddetta “osservazione”. Per 15 minuti devo stare seduto e verificare che non vi siano reazioni strane. Aspetto in pace, non ho fretta. Adesso non sono più ansioso. Adesso. Sono sereno e rilassato. Non guardo nemmeno il telefono. Ma so che devo fare almeno uno scatto. I minuti passano lenti, e li apprezzo uno ad uno. La prima dose del vaccino Moderna anti-Covid scivola via nelle mie vene senza problemi. Un’impiegata registra il mio nome per la seconda dose, da qui a 28 giorni. Guardo l’orario riportato sulla scheda che mi consegna. Per la precisione, sarà a 27 giorni, 23 ore e 50 minuti da questo primo appuntamento. Rifaccio il percorso all’inverso e sono di nuovo su Fulton Street.

Il cielo è ancora grigio. Ma non riesco a pensare ad un giorno migliore, qui a New York.

La “Guida Inutile New York” ha lo sguardo serio ma è felice, perché ha fatto la prima dose di vaccino.
La vostra “Guida Inutile New York” si rende immortale, ma solo con un autoscatto.

BREVE AGGIORNAMENTO, 22 APRILE 2021

Domenica abbiamo vinto contro la Roma e ieri pareggiato col Bologna. Il Toro, dico. Quindi, anche per il secondo appuntamento del mio vaccino anti-Covid ci sono più che valide ragioni per indossare nuovamente la mia felpa granata. La vestizione odierna è stata meno rituale rispetto a quella di un mese fa. Ma molto più calcolata. Il tempo ha deciso di fare un passo indietro e di portarsi con se il termometro, verso temperature più invernali che primaverili. Dice che ci sono quattro gradi, ma io e la mia giacca non siamo in sintonia nemmeno oggi. Questa volta, però, non mi frego più con le mie mani. Appena esco di casa, e il sole mi ricorda che ormai son pur sempre un newyorchese bello resistente e non uno di quei torinesi che mette la sciarpa anche a giugno, torno sui miei passi e vado a cambiarmi. Non c’è tutta l’ansia della volta scorsa, comunque non sono in ritardo, ho tempo in abbondanza. Sebbene ieri pomeriggio avessi spergiurato che avrei preso la macchina, perché non si può sapere, gli effetti collaterali del vaccino potrebbero arrivare prima del previsto e hai visto mai… questa mattina sono rinsavito. La solita bella passeggiata non può che farmi bene. E poi negli ultimi giorni ho camminato parecchio, sono allenato, sono sicuro che non sentirò i dieci o undici chilometri tra andata e ritorno. 

Arrivo ovviamente in anticipo anche a questo secondo giro di vaccino. Provo ad allungare un po’, facendo una deviazione su Bedford Avenue e Halsey Street, dove ieri pomeriggio avevo pianificato con cura che questa mattina avrei parcheggiato la mia macchina. Ma alla fine ci rinuncio, e vado invece a sedermi per qualche minuto sulle panchine di Marcy Avenue, davanti ad un enorme mosaico realizzato con marmo, vetro e ceramica su quella che adesso è una piccola piazzetta. Ascolto la mia musica mentre provo a cancellare alcune delle troppe fotografie inutili che potrei evitare di scattare e che renderebbero più scattante e snello il mio telefonino. Mi tolgo le cuffie per salutare uno dei dipendenti della locale associazione commerciale di quartiere. Sta spazzando il marciapiede e raccogliendo i rifiuti sollevati dalle folate di vento che rendono gelata l’aria anche se io devo avere le caldane, vai a sapere. Oggi non sono nervoso, oggi ho caldo e non c’è motivo per avere caldo.

È tempo d’entrare al Restoration Plaza, nome niente affatto pretenzioso per questo immenso e importante centro di comunità qui a Bedford-Stuyvesant. La serpentina per arrivare nei sotterranei la conosco a memoria, ho più tempo per salutare la dozzina di addetti che incontro prima d’arrivare all’accettazione e per ripetere quasi a tutti la mia domanda di rito: “good morning, how you doin’ today?”. In realtà, sono contenti che qualcuno glielo chieda per davvero. Ho già fatto la registrazione stamattina dal computer di casa, e conosco anche le risposte a tutte le domande, non ne sbaglio una. Ho tempo per fare una fotografia alla locandina con la parola d’ordine per accedere a internet qui nel bunker. Procedo e arrivo da Althea.

“Non c’è niente da fare, ha ragione il mio medico”, dico alla mia odierna salvatrice. “Oggi sono più rilassato, e voi tutti, qui dentro siete davvero grandi, riuscite a mettere chiunque a proprio agio. Ma… ma appena vedo un camice bianco, si, ha ragione il mio medico, mi viene la sindrome da camice bianco, quella stessa che mi fa salire la pressione, come se il sale non bastasse”. Althea mi rassicura in un istante: “non ti preoccupare, le mie mani sono benedette da Dio”. Ci credo all’istante, e non solo perché so quanto gli afroamericani siano molto più religiosi della media. Poi non mi sembra neanche il caso di stare a sottolinearle il fatto che io sono ateo. Guardo le sue mani. Si, ha ragione lei: se c’è un Dio, sa il fatto suo. “C’è vento, fuori?”, mi chiede per provare a farmi rilassare. “A dire il vero, si”, rispondo, “ma stai chiedendo alla persona sbagliata. Io adoro il vento, sin da quando ero bambino. Significa che quando spazza tutto il possibile, io dico che non c’è, e così via”. Ride. Althea procede con il suo ago, almeno così penso. Non ho guardato e non ho sentito alcunché. Potrebbe anche avermi semplicemente solleticato il braccio sinistro e io, in questo preciso istante, non lo saprei. “Hai sentito qualcosa? Ti ha fatto male?”, mi chiede. “No, niente affatto!”, la rassicuro immediatamente. “E comunque, ti devo dire la verità. In genere, non mi lamento mai, nemmeno quando ne avrei motivo, perché mio padre mi ha insegnato così. Quindi, anche se tu non avessi avuto questa mano leggerissima, io non te lo avrei mai detto e avrei mentito”. Riesco a farla ridere di nuovo, più di prima. Le bugie sono spesso un toccasana, ma oggi ho la fissazione della verità, anche quando non del tutto vera. La saluto. Lei non saprà mai lo sforzo titanico che adesso devo fare, ma aggiungo l’augurio che sono certo renderà un po’ migliore anche la sua giornata. “Althea, che Dio possa davvero benedire te e le tue mani!”. Ci scambiamo un sorriso dietro le mascherine e vado ad accomodarmi nella sala accanto, per i consueti quindici minuti d’osservazione. Mi offrono dell’acqua, ma rispondo che ho la mia bottiglietta. Per noi della seconda dose di vaccino, idratazione è la parola d’ordine dei prossimi giorni. Quella per accedere al wi-fi è invece più contorta, e io la sbaglio senza tentennamenti al primo tentativo. Non vorrei andarmene, la rete è veloce e pure la sedia in plastica mi sembra estremamente comoda.

Sono di nuovo all’aperto, su Fulton Street. Si, il vento è forte questa mattina, faccio pure fatica a chiudere la mia giacca. Ma lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo. C’è ancora il sole.

Denis Spedalieri (altrimenti conosciuto come “Guida Inutile New York”) si ferma davanti al Brooklyn Museum per celebrare con un autoscatto la seconda dose di vaccino anti-Covid.
Yo, man! I got my second shot! (Che poi significa, semplicemente, che ho ricevuto la mia seconda dose di vaccino).

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