Luoghi

Un volo lungo 30 anni

Allora non lo sapevo e non potevo nemmeno intuirlo. Ma forse nel dicembre del lontano 1992 c’erano già segni di cosa sarebbe venuto dopo. E una cosa è certa: a New York ci sono tornato.


Musica per volare nel 1992. Trenta canzoni (anche se non tutte sono tra le mie preferite…)


Venerdì 16 dicembre 2022, ore 6.20

L’aria è secca, calda. Mi rilasso, chiudo un po’ gli occhi e sorseggio lentamente. Riapro gli occhi, la distesa bianca. Le luci rosse, e bianche. Alzo il volume della musica nelle orecchie. Ripete che solo il cielo è il limite, con quella ossessione di cui non riesco mai a fare a meno.

Mi ricordo che un giorno di poco più di trent’anni fa quella distesa bianca era fatta di sabbia. L’aria era calda, si, e pure l’acqua nella quale avevo immerso la testa per scattare una fotografia con una di quelle macchine impermeabili che devi solo premere un bottone e poi andare a stampare la pellicola quando torni a casa. Perché nel novembre del 1992 si stampavano le pellicole, e per vedere le tue fotografie passavano come minimo quindici giorni da quando te le eri immaginate. 

La distesa bianca era sotto il sole delle isole Cayman. Adesso, invece, se ne sta quieta nel buio del primo mattino, a Torino, ai bordi di Corso Giulio Cesare, prima di imboccare l’autostrada che mi riporta a Malpensa per l’ennesima volta nell’ultimo mese. Ieri ha nevicato.

Torino, Piazza Santa Rita, 15 dicembre 2022

Ha iniziato a fiocare, come si dice a Torino, che era da poco passata la mezza. Ero appena rientrato con mia madre da Pavia, dove eravamo arrivati il giorno precedente. Martedì sera avevamo lasciato New York. Lunedì mattina, invece, eravamo ancora a Washington e poi nel pomeriggio a calpestare la stessa scalinata di Rocky, davanti al museo d’arte di Philadelphia. Faccio fatica pure io a mettere insieme tutti i pezzi sul calendario.

A metà novembre, era venerdì 11, sono arrivato qui a Torino, per prendere mia madre e portarla a New York, a festeggiare il suo primo Giorno del Ringraziamento con il nipote. Il mio primo Ringraziamento fu invece esattamente trent’anni anni fa, il 26 novembre 1992. Mi trovavo ad Orlando, in Florida, dove ero giunto con l’amico Davide. Ero andato a trovare mia sorella, che lavorava ad Epcot, uno dei parchi di divertimento della Disney. Io e Davide eravamo due clandestini: dormivamo nei resort dove in realtà potevano alloggiare solo i dipendenti temporanei e con contratti stagionali. Trent’anni fa oggi, il 16 dicembre 1992, ero a Bruxelles. Il giorno precedente io e Davide eravamo partiti da New York. Nelle edicole di Bruxelles tutti i giornali italiani riportavano la notizia dell’avviso di garanzia a Craxi. L’inchiesta su Tangentopoli provava ad avvicinarsi agli intoccabili. Alla fine di quella giornata, in qualche modo storica, rientravo a casa. A Torino.

“la Repubblica” di mercoledì 16 dicembre 1992. Io e l’amico Davide ne comprammo una copia a Bruxelles, privandoci di quei pochi soldi che ci erano rimasti mentre rientravamo a Torino da New York.

Venerdì 23 dicembre 2022, ore 13.10

Sono rientrato a casa, a New York, ormai da una settimana. L’inverno è appena iniziato e qui negli Stati Uniti è arrivata anche la prima bufera della stagione. Escluse sostanzialmente solo la California e la Florida (più aree limitrofe), neve, ghiaccio e maltempo sono la regola da un paio di giorni per oltre 200 milioni di americani. Migliaia di voli sono già stati cancellati e altri lo saranno nelle prossime ore. Per fortuna delle migliaia che sono in visita a New York, la nostra area è stata solo sfiorata dal ciclone. Qualcuno penserà che sia una disgrazia: niente bianco Natale (che qui, comunque, è cosa rara, perché il grosso della neve arriva tra fine gennaio e metà febbraio). Ma si preannuncia un fine settimana natalizio particolarmente gelido per le medie stagionali. Dal primo pomeriggio le temperature scenderanno di brutto e stanotte il termometro potrebbe segnare anche -10 gradi. Domani, giornata di vigilia, la massima prevista potrebbe essere attorno ai -6. Natale e Santo Stefano regaleranno tepore, con massime che oscilleranno tra i -2 e gli zero gradi centigradi. È uno di quei casi in cui gli europei possono riscaldarsi un po’ leggendo in gradi Fahrenheit.

Dicembre 1992, autoscatto con la Statua della Libertà. Perché sono stato un turista a New York pure io e per fare i selfie con le vecchie macchine fotografiche bastava avere le braccia un po’ lunghe

Ai turisti italiani che in questi giorni sono qui a New York, e mi chiedono consigli, io offro sempre lo stesso e sempre con lo stesso, invariabile tono: non esagerate. N-o-n e-s-a-g-e-r-a-t-e. Lo so che smaniate per vedere la città, vi capisco. Io, un capodanno di oltre dieci anni fa, ho girato per Budapest sotto un tempo infame con l’amico Gabriele, perché col piffero che avremmo perso tempo prezioso standocene rintanati al chiuso. Ma adesso ho dieci anni di più, sono quasi a un passo dall’intuire cosa sia l’artrite. E vi dico che quando il termometro si incaponisce vicino allo zero, dopo due ore all’aperto, non è uno scherzo. State il più possibile al caldo. Non avete bisogno di completare una lista della spesa, ché poi a casa vi sgridano. Prima o poi, a New York, ci tornerete pure voi. E se non avete fede sotto Natale…

Prima di tornare alle mie memorie di tre decenni addietro, vi lascio il mio regalo. Vale per qualunque periodo dell’anno in cui avrete la fortuna d’essere quaggiù.

COSA FARE A NEW YORK QUANDO PIOVE (O NEVICA O FA FREDDO O… INSOMMA, CI SIAMO CAPITI)

Quando fa freddo, o nelle giornate di pioggia, qui a New York c’è sempre l’imbarazzo della scelta. La città offre tantissimo anche senza dover camminare per Midtown col naso all’insù. Andate a vedere una bella mostra. In questa fine 2022 quella di Edward Hooper al Whitney Museum è imperdibile. La New York dei suoi quadri, e poi quella che potrete sbirciare per qualche minuto dal terrazzo panoramico, valgono il prezzo del biglietto. Il Metropolitan Museum e il MoMA sono sempre un buon rifugio e c’è qualcosa per tutti i gusti, così come le centinaia di gallerie d’arte, a partire da quelle che si trovano a Chelsea. Cercate un biglietto dell’ultimo minuto per vedere uno spettacolo pomeridiano a Broadway. Oppure andate al cinema, e con un po’ di sforzo troverete anche quelli con film in lingua italiana. Rilassatevi in un caffè: da quelli storici (come il Reggio nel Greenwich Village) sino ai più contemporanei frequentati dai giovani newyorchesi. Se non avete idee per un ristorante, andate a mangiare in grandi food hall come quella di Essex Market nella Lower East Side, oppure Urbanspace o la recentissima Urban Hawker (per andare a Singapore senza spostarsi da New York) a Midtown. Ottimo anche il Time Out Market di Dumbo, a Brooklyn. Bar e pub ce ne sono per tutte le tasche, aperti a tutte le ore possibili e immaginabili. Per lo shopping potete andare nella galleria di negozi a Columbus Circle oppure all’Oculus. Al Giardino di Inverno, coperto e che si affaccia davanti al fiume Hudson, troverete palme, negozi e ristoranti. 

Whitney Museum, 2 dicembre 2022, mostra delle opere di Edward Hopper

Qui adesso sta fiocando, ma a terra rimarrà nulla. Roba passeggera, giusto i residui di questa immensa perturbazione che a noi farà solo il solletico. Ho il pomeriggio finalmente libero. Perfetto per lavorare con la memoria.

Venerdì 23 dicembre 2022, ore 15.30

Ovviamente, mando il programma all’aria. Mi vesto di tutto punto, ché le previsioni danno temperature in brusco calo a metà pomeriggio, e mi fiondo fuori casa. Ho trovato pure la scusa perfetta: le guide, anche quelle inutili, non possono mai fermarsi, devono sempre tenersi in forma. Certo, studiano di tutto, in continuazione perché devono rispondere alle domande più disparate ed avere il cervello pronto alla bisogna in un battito di ciglia. Ma, soprattutto, camminano. Le guide camminano sempre, anche quando sono temporaneamente disoccupate per qualche giorno e nessuno le paga per scarpinare. Mi sono sempre chiesto come si tengano in forma gli gigolo. 

A proposito di disoccupati, quelli di lungo termine, però. Poco lontano da casa mia incrocio l’ex Sindaco, Bill De Blasio. Abita nella parte sud e meno nobile del quartiere Park Slope, in quell’area che quaggiù è conosciuta come South Slope. È sempre con il telefono in mano, quest’uomo. Lo era anche quando faceva il Sindaco. 

Brooklyn, 23 dicembre 2022, l’ex Sindaco di New York Bill De Blasio a spasso per South Slope


[Piccola digressione politica. Se volete, potete saltarla]

Grandi le speranze che avevano portato alla sua elezione. La città di Bloomberg Sindaco cresceva economicamente, attirava investimenti e dava nuova vita a vecchie zone portuali in disuso da decenni. I populisti ambiziosi come De Blasio lo accusavano di pensare solo ai ricchi. Nulla di nuovo o particolarmente brillante, si fa così ad ogni campagna elettorale e ad ogni latitudine. Dopo la vittoria scontata contro la candidata supportata da Bloomberg, De Blasio ha mantenuto l’impegno di estendere l’accesso alla scuola materna pubblica, diventato un diritto per tutti i bambini newyorchesi. Ma, nonostante le roboanti, retoriche e irrilevanti promesse di una città con meno diseguaglianze, sotto la sua amministrazione è aumentato a dismisura il numero dei senza casa ospitati in strutture messe a disposizione dal comune. E negli ultimi anni del suo mandato, complice una riforma giudiziaria approvata nello Stato di New York, e sostenuta dalla sua stessa parte politica, la città ha visto aumentare il crimine dopo anni di declino. La pandemia ha consolidato questa tendenza, aggravandola. E adesso il suo successore, Eric Adams, anche lui di Brooklyn, si trova a fare i conti con i buchi e i problemi che gli ha lasciato.

Dal punto di vista delle prospettive politiche, non porta grandi vantaggi essere Sindaci di New York. È una città troppo grande e complessa, dove è facile rimanere incastrati in problemi d’ogni genere, ancora di più se si è guidati dalle semplificazioni ideologiche, ché quelle sono buone solo per vincere le elezioni ma non per governare. I newyorchesi si lamentano di tutto ed è raro che amino i loro Sindaci. Anche in città grandi, come New York o Los Angeles o Chicago, sono figure troppo locali e non attraggono interesse a livello nazionale. Se cercano di costruirsi un’immagine fuori dalla città, come ha fatto De Blasio con i suoi frequenti viaggi, finiscono per essere odiati ancora di più dai loro concittadini. De Blasio, come lo stesso Bloomberg, ha provato a candidarsi alle Presidenziali, e ha fallito miseramente. La cosa più triste è che ha fallito anche nel tentativo di ricavarsi una poltroncina al congresso. Non è riuscito nemmeno a presentarsi alle primarie per candidarsi alla House of Representatives. Non aveva appoggi manco nel suo quartiere, in queste vie dove adesso entrambi camminiamo.

L’uomo non si è perso d’animo. Ha trovato modo di fare una marchetta ad Harvard, la prestigiosa università di Boston. Pare che ci sia qualcuno disposto a pagare per averlo come insegnante. La qual cosa insegna che non bisogna mai disperare. E, soprattutto, che le connessioni politiche pagano sempre, anche più delle competenze.

[Fine della piccola digressione politica]

Continuo la mia passeggiata. In effetti, ora inizia a fare freddo. Ma sono imbacuccato dalla testa ai piedi. Ho imparato che durante l’inverno, per stare in giro ore ed ore, devi pensare ad ogni centimetro di pelle esposto al freddo. Non è questione di sensazioni, di quanto si sopporti o no il freddo. Io, quaggiù, mi sono abituato ad un clima ben più freddo di quello torinese. Da queste parti, quando la temperatura va sotto zero, ci vuole un nonnulla per congelarsi. Dopo un’ora senti letteralmente i morsi del gelo. Il segreto, allora, è non solo coprire bene le mani, i piedi e la testa, ma anche guance e naso. Basta guardare i poliziotti che stanno in strada tutto il giorno a dirigere il traffico per capire che un buon passamontagna è la chiave di tutto.

Anche il caffè caldo aiuta. Ma nella mia borraccia, oggi, ho preferito il coquito preparato dalla Ragazza dai Capelli Rossi. Poco importa che l’idea sia stata poco intelligente oltre che illegale.

La vostra Guida Inutile con la sua dose di coquito (perché avere una moglie nata e cresciuta a Miami ha i suoi vantaggi)

Domenica 25 Dicembre 2022, ore 16.05

Anche avessi voluto scrivere le mie memorie di 30 anni fa, tra ieri e oggi non ne avrei avuto il tempo. I preparativi della vigilia, e poi la vigilia con la cena e i sette pesci, e poi “Zoolander” con tutta la famiglia, e poi Babbo Natale che si addormenta davanti alla tv, e poi Babbo Natale che va a prendere i regali e li mette sotto l’albero, e poi il pandoro a colazione, e il pranzo luculliano, e altre partite di football, e poi altre risate stupide con “Happy Gilmore”, e tante lasagne. Ma ho risposto a tutti quelli che me lo hanno chiesto. Si, ieri ha fatto davvero tanto freddo. Al mattino sono andato al parco e poi a comprare Arneis e Nebbiolo. Cazzo, se faceva freddo. Ero ancora più imbacuccato di venerdì pomeriggio, perché il termometro diceva -15 gradi (centigradi, ve la semplifico evitando i Fahrenheit). Anche oggi fa freddo, ragazzi, ma sono solo -9, sono. Domani non lo so. Oggi esco solo per buttare la spazzatura. Buon Natale a tutti. 

Brooklyn, Prospect Park, 24 dicembre 2022

Lunedì 26 dicembre 2022, ore 14.11

Non esiste Santo Stefano, in America. Dicevo? Ah, si, 1992.

NOVEMBRE 1992, RINGRAZIAMO D’ESSERE ARRIVATI IN QUALCHE MODO A ORLANDO

Non riesco a ricordare il giorno esatto, ma nel novembre del ‘92, forse il 24 o il 25, arrivai a Orlando via Milano, Bruxelles e New York. Rocambolesco è aggettivo abusato. Ma quel viaggio con l’amico Davide lo fu per davvero.

Dovevamo partire da Torino per Bruxelles, e da lì per New York, con l’ormai defunta compagnia aerea belga Sabena. A Caselle c’era nebbia, così fummo messi su un paio d’autobus e trasportati a Milano Linate. Una volta in autostrada, potevamo sentire lo schianto dei tamponamenti a catena. Inquietante. Sul nostro volo da Linate c’era pure il leghista Francesco Speroni, che al colletto della camicia era solito portare una sorta di collana da cowboy. Eravamo in ritardo per la nostra coincidenza, così, mentre eravamo in volo, chiedemmo aiuto alle hostess e loro avvisarono l’aeroporto di Bruxelles d’aspettarci. Si poteva ancora dire hostess senza rischiare l’accusa di maschilismo becero e poi l’ostracismo.

Una volta all’aeroporto, sentimmo i nostri nomi storpiati all’altoparlante: reclamavano con urgenza la nostra presenza all’imbarco per New York. Non credo abbiano usato proprio queste esatte parole, a dire il vero. Il fatto era che dovevamo sbrigarci. Il meticoloso controllo dei nostri documenti era stato estenuante, volevano sapere tutto dei nostri viaggi recenti e perché quell’estate io fossi stato in Marocco. Avrei potuto dire che speravo di dimenticare una ragazza, ma non credo mi avrebbero creduto. “Vacanza”, fu la risposta più scontata.

Dopo circa mezz’ora dal decollo, il comandante disse qualcosa in inglese. Parlò per un bel po’, e io Davide capimmo solo una parola: “Londra”. A quel punto scoppiammo a ridere come due mentecatti. L’uomo seduto davanti a noi comprese che avevamo compreso ben poco, di tutte quelle parole. Lentamente, e con un inglese da scuola elementare, ci spiegò che il comandante stava deviando il nostro volo Sabena su Londra, perché era stato trovato un pacchetto sospetto a bordo. Ah, cazzo.

Non ricordo in quale aeroporto atterrammo. Potrei dire Heatrow come qualunque altro degli scali londinesi dell’epoca, di cui non ho la benché minima cognizione. So solo che l’aereo si fermò su una pista lontana dal terminal. Eravamo circondati da svariati mezzi dei vigili del fuoco. Per qualche ragione che ancora non riesco a capire ad anni di distanza, visto che si trattava comunque di un’emergenza, ci fecero attendere un po’ prima di farci sbarcare, dopo averci schiacciato tutti al fondo dell’aereo.

Con gli autobus ci condussero in un’area confinata del terminal, dove ci isolarono per ore dal resto dei passeggeri dell’aeroporto. Non potevamo in alcun modo muoverci da soli. Anche andare in bagno era un’attività che richiedeva la scorta di un poliziotto. Se il controllo dei bagagli, dei passaporti e l’intervista da parte delle autorità portuali di Bruxelles era sembrato interminabile e pignolo, a Londra toccammo l’apice della paranoia. Ogni centimetro della valigia venne sottoposto a perquisizione e qualunque oggetto venne esaminato con la stessa cura che tu pensi possa essere dedicata solo ad un’autopsia. Per mettere in pace la mia cattiva coscienza di quel periodo, avevo deciso di portare con me in America il libro di procedura penale. Posso affermare con totale onestà che nemmeno io ho mai aperto tutte le pagine ad una ad una, come si ostinò invece la polizia di Bruxelles. Chapeau. 

Dopo oltre cinque ore ci liberarono dal confino. Io e Davide fummo piazzati su un volo della TWA, che di lì a breve sarebbe passata a miglior vita pure lei come la belga Sabena. Era semivuoto, quell’enorme aeroplano, con i sedili larghi e ampio spazio per allungare le gambe e pure camminare. Fummo coccolati con snack e bevande durante tutto il volo. Non credo, nei trent’anni successivi, d’aver bevuto mai così tanta birra su un aereo, o su qualunque altro mezzo di locomozione, se è per quello. Forse nemmeno a piedi.

Tra la nebbia a Torino e poi la pausa forzata a Londra, il nostro viaggio subì ore e ore di ritardo. Avevamo in piano d’arrivare a New York e andare a trascorrere la notte a casa di un amico di un mio cugino più grande. Questo signore si era offerto di ospitarci pur sapendo assolutamente nulla di noi due. Arrivato a JFK lo chiamammo per dirgli che avevamo dovuto modificare il nostro programma e non saremmo andati a dormire da lui. Saremmo arrivati molto tardi a casa sua e il mattino successivo ci saremmo dovuti svegliare prestissimo per imbarcarci sul nostro volo per Orlando. Era meglio andare direttamente all’aeroporto di La Guardia e cercare un albergo nelle vicinanze.

All’esterno di JFK era pieno di gente che ti chiedeva se avessi bisogno di un passaggio. Tassisti illegali e altri soggetti vari che sembravano poco raccomandabili. Ricordo che faticai a trovare informazioni per un autobus che ci portasse a La Guardia. Un uomo si avvicinò a noi e ci disse che con il suo pulmino poteva accompagnarci a destinazione per dieci dollari a persona. Pensavo che fosse troppo caro, così declinai l’offerta. L’uomo del pulmino intuì che ne stavamo facendo una questione di soldi. Allora mi prese sottobraccio e mi portò a leggere un cartello dove erano esposti i prezzi del trasporto ufficiale. Andare a La Guardia costava 9 dollari e 80 centesimi. Oggi, ovviamente, non consiglierei a nessuno di fare una fesseria come quella di viaggiare su un taxi non autorizzato. Ma in quel momento, 20 centesimi erano una fesseria ancora più grande e non valevano l’attesa.

Arrivammo comodamente a La Guardia, con questo van che era meglio di qualunque taxi o autobus. Ero impressionato dalla larghezza delle strade. Non avevo mai visto autostrade dentro le città. Anche gli aeroporti mi sembravano sterminati. Una volta a La Guardia, prendemmo un autobus per spostarci al Terminal del nostro volo per Orlando. Era già sera tardi. Spiegammo all’autista dell’autobus la nostra situazione e le chiedemmo se potesse raccomandarci un posto economico dove andare a dormire. Era una donna giovane e ci disse di dimenticare gli alberghi, perché molto cari. Ci consiglio, invece, di passare la notte in un’area tranquilla dell’aeroporto, ché tanto il mattino sarebbe arrivato presto. Ci avrebbe condotto lei, in quest’angolo isolato del Terminal. Disse che forse avremmo potuto trovare qualche senza tetto, ma che nessuno ci avrebbe dato fastidio.

Così fu. 

E al mattino ci imbarcammo finalmente per Orlando. 

DICEMBRE 1992, NEW YORK PER DAVVERO

New York City, December 1992, Twin Towers
New York, dicembre 1992, la punta sud di Manhattan (con le Torri Gemelle) vista dal traghetto per la Statua della Libertà

I giorni trascorsi a Orlando nel novembre del ‘92 meriterebbero un lungo capitolo a parte. Ma questo non è il luogo più adatto per scrivere capitoli. Sto solo facendo mente locale. Un giorno, quando la mia memoria vacillerà ancora di più, verrò su queste pagine per rinfrescarla. Se solo me lo ricorderò.

Io e Davide eravamo due intrusi nel campus dove vivevano i dipendenti stagionali o con contratti annuali della Disney. Mia sorella avrebbe rischiato il suo posto di lavoro se ci avessero scoperti. Lei aveva provato a chiedere aiuto ad altri colleghi italiani, ma nessuno se l’era sentita di offrirci un letto. Solo un giovane ragazzo marocchino, che condivideva il suo alloggio con uno scafato cuoco italiano, aveva dato la sua disponibilità e ci aveva ospitato senza remore. Non solo. Dopo qualche giorno aveva preparato una grande cena in nostro onore. Ci aveva portato con se in una macelleria egiziana e aveva contrattato a lungo per comprare mezzo agnello. Ricordo ancora una meravigliosa partita a biliardo con questo ragazzo e suo fratello. Italia-Marocco in Florida, come neanche Salvatores.

Quella piccola vacanza a Orlando fu anche l’occasione per la mia prima e sinora unica crociera della mia vita. Andammo nei Caraibi, sbarcando alle Bahamas, in Giamaica e alle Isole Cayman. Tutto veloce, eppure tutto intenso. È proprio alle Cayman che ho scattato le fotografie sott’acqua. Facemmo amicizia con una coppia in viaggio di nozze e con una ragazza italiana che viveva in Australia, Laura. L’anno successivo, in estate, Laura venne per qualche giorno a Torino con due sue amiche. Pensavano che Torino fosse bellissima, che fosse davvero una piccola Parigi. Mi sembra di ricordare che il papà di Laura lavorasse per una grande azienda e che qualche volta lo avessero mandato negli uffici di Pino Torinese.

Alla fine della crociera, io e Davide riuscimmo a trascorrere un paio di giorni a Miami. Poi partimmo per New York. 

New York City, Dicembre 1992, quando ero giovane e a Times Square ci volevo andare

In quel momento non avrei mai potuto immaginare che un giorno Miami sarebbe diventata fondamentale nella mia vita. Se è per quello, nonostante io abitassi a Torino, nemmeno potevo pensare che quindici anni dopo, anche se solo per qualche mese, sarebbero state centrali nella mia esistenza pure le colline di Pino. Avevo invece chiara una cosa, in quel dicembre 1992: a New York, prima o poi, ci sarei tornato. Sembrava così scontato, allora. Soprattutto sembrava che tutto potesse accadere di nuovo di lì a qualche anno. Invece, prima del febbraio del 2013, non ho mai più rimesso piede in città. E ora, come naturale che sia, la chiamo casa.

December 1992, New York City, sunset from the Empire State Building
Dicembre 1992, tramonto di fuoco visto dall’Empire State Building

Arrivammo a New York dopo che la città era stata colpita da una bufera di neve. Questo ci aveva costretti a rinviare di un giorno la partenza da Miami, tanto per mantenere intatta la costante dei ritardi del nostro viaggio americano, inaugurata a Caselle. Si era trattato di quello che quaggiù si chiama “Nor’easter”, cioè un violento ciclone che si forma in inverno sulla costa orientale, quando l’aria freddissima in discesa dal Canada si scontra con l’aria calda che si è accumulata durante l’estate sopra l’Oceano Atlantico. Per cercare di mettere ordine nei miei ricordi, sono andato a cercare nelle cronache dell’epoca. La tempesta si abbatté su New York il 10 dicembre e i suoi effetti si fecero sentire per almeno due giorni, con allagamenti in alcune zone della città. 

Provando allora a tirare le somme a trent’anni di distanza, anche se non riesco a ricordarlo con precisione, è probabile che io e Davide arrivammo a New York il 12 o il 13 dicembre. La mia memoria dice che ci fermammo per tre giorni, e che andammo praticamente in ogni luogo deputato per un turista che si rispetti. Può darsi che il terzo giorno sia stato anche quello della ripartenza per l’Italia.

December 1992, UN General Assembly
Dicembre 1992, Nazioni Unite, la sala dell’Assemblea Generale fotografata nonostante l’espresso divieto di fare riprese

L’autobus dall’aeroporto ci scaricò nella zona di Times Square, quella che ora evito quasi alla stregua della peste, come qualunque newyorchese lamentoso e degno di questo nome. Alla fermata una ragazza, credo olandese, ci convinse ad alloggiare in un ostello lì vicino, dove lei lavorava. In città non v’era più la benché minima traccia di neve. 

Statua della Libertà, Museo di Ellis Island, Empire Statue Building, Harlem, Cattedrale di St. John, Central Park, Yankee Stadium, Ponte di Brooklyn. In quei tre giorni camminammo in lungo e in largo, riuscimmo anche a entrare alle Nazioni Unite e alla borsa di Wall Street, dove oggi è pressoché impossibile mettere piede se non ci si organizza per tempo. All’epoca, in questi due luoghi, era anche vietato scattare fotografie. Per questa ragione le mie sono un po’ sfocate.

14 dicembre 1992, Madison Square Garden. Io (a destra) e Davide (a sinistra) alla partita dei New York Knicks contro i Denver Nuggets

Avendo poco tempo a disposizione, e sapendo che a New York saremmo comunque prima o poi ritornati, pensammo che non valesse la pena chiuderci per ore al Met e al MoMA. A venti e rotti anni i musei non sono proprio un magnete. Decidemmo invece che sarebbe stato un crimine non andare al Madison Square Garden per una partita della NBA. Così il 14 dicembre eravamo a vedere i Knicks di Pat Riley contro i Denver Nuggets. Una squadra forte, i Knicks di quella stagione. Persero la finale di conference contro i Chicago Bulls, che poi vinsero il campionato (ci giocava un certo Michael Jordan).

EPILOGO

Oltre ai ricordi sempre più vaghi, e a tante fotografie, di quel viaggio ho ancora il mio inseparabile giubbotto in pelle, il “chiodo”, comprato proprio qui a New York, dopo aver cercato ed essere andato direttamente negli uffici della Schott. Nel taschino piccolo c’è ancora il gettone che si usava all’epoca per prendere la metropolitana.

Alla fine, avevo ragione. A New York sono tornato. Certo, non avrei mai pensato che qui, un giorno e quasi per caso, avrei messo radici con la mia famiglia. Dopo aver fatto il turista ansioso di vedere il più possibile, trent’anni fa esatti, adesso accompagno a spasso per la mia New York chiunque voglia venire a visitarla con un occhio curioso e meno smanioso di mettere tacche sulla lista dei luoghi imperdibili. Sto invecchiando, e questa cosa mi piace.

Chissà che nel 2023 io non riesca di nuovo a comprare un giornale a Bruxelles.

December 2022, JFK Terminal 4
16 dicembre 2022, Aeroporto di New York JFK, terminal 4. Adesso torno a casa, trent’anni dopo…

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