New York, attraversando il Ponte di Brooklyn in auto
Luoghi

Giro, girotondo e strambo

Dove vaghiamo senza una vera meta che sia una e, senza nemmeno accorgercene, passiamo in rassegna tutti i peggiori modi per spostarsi a New York, auto compresa (e vivamente consigliata).


Cammina senza particolare fretta, come se il gelo della mattina non lo sfiorasse. Il berretto di lana copre quasi interamente i suoi occhi, mentre il collo affondato nella giacca rende ancora più tozza la sua corporatura massiccia. Scarponi da cantiere e pantaloni con macchie di vernice bianca. È circondato da un brusio che diventa suono più distinto man mano che si avvicina. 

Sono seduto al volante della mia macchina, parcheggiata lungo il marciapiede che costeggia il cimitero di Greenwood. Alla radio c’è John Coltrane. Abbasso il volume. L’uomo col berretto sta ascoltando un notiziario, mi sembra che stiano parlando di politica in Argentina. Capisco a malapena, a dire il vero, perché parlano in spagnolo. Le parole escono dallo zaino che l’uomo col berretto porta in spalla. Il suono si affievolisce piano piano, mentre lui si allontana. Ritorno a farmi i cazzi miei. Lush life.

MA CHE NE SAPETE, VOI IN ITALIA, DI STARE SCHIACCIATI COME SARDINE

Camminare a New York non è solo il modo più ovvio per visitare questa città. È anche la regola per la maggioranza di chi vive quaggiù. A queste latitudini, solo una famiglia su quattro possiede una macchina. Anche perché, a meno di non violare le leggi sulla impenetrabilità dei corpi, spesso non esiste proprio lo spazio fisico per muovere o posteggiare un veicolo. 

Atlantic Avenue, Brooklyn. Quaggiù ognuno si attrezza come può.

Con poco meno di 60 km2 di estensione, Manhattan è la metà di Torino. Ma ci vivono quasi il doppio degli abitanti, un milione e 600mila contro 870mila, per non parlare di chi ogni giorno raggiunge l’isola per lavoro o turismo. Stesso discorso per la relativamente meno caotica Brooklyn: ha le stesse dimensioni del comune di Milano, ma la densità di popolazione è quasi doppia, 13.700 esseri umani per chilometro quadrato contro 7.700 (che nemmeno son così pochi). Nello stesso spazio, a Manhattan, si schiacciano in 26.800…

Per la media dei newyorchesi la passeggiata giornaliera più incantevole e suggestiva è quella che porta alle fermate di metro e autobus, senza i quali New York sarebbe letteralmente al collasso. Andare in giro a piedi per la città riserva sempre qualche sorpresa, anche per i newyorchesi più scafati, cioè quelli di lunga data o quelli che qui sono proprio nati e cresciuti.

Manhattan, un vecchio “Bowery Mural” su Houston Street. Non cercatelo, perché non lo trovereste. Il murale cambia periodicamente, ospitando il lavoro di artisti sempre diversi. Questo in fotografia era stato realizzato da Logan Hicks (artista di Baltimore che vive a Brooklyn) e si intitolava “Story of my Life”.

L’incoerenza delle architetture più disparate, quaggiù accostate senza troppa ansia per l’estetica dannunziana; oppure il sole nascosto anche a mezzogiorno dietro la mole di qualche banca o condominio di lusso, non sono ciò che rende New York unica (per la magia di Central Park in autunno o la poesia del West Village, rivolgete lo sguardo ad altre autorevoli guide cartacee a pagamento, o a tutto quello che potete trovare gratis in rete). Il vero “spettacolo d’arte varia”, a parte gli innamorati alla Paolo Conte in versione newyorchese, sono gli esseri umani di questa città. Tutti noi che ci abitiamo e la popoliamo con le nostre stramberie. Quella di trascinarsi come bradipi per andare al lavoro, ascoltando a tutto volume giornali radio argentini, non è nemmeno tra le più singolari.

COLONNE SONORE SENZA MURI

In strada ci sono quelli che ascoltano la musica con auricolari microscopici senza fili, del tipo che si agganciano alle orecchie, e succhiano batterie da scatoline grandi come quelle in cui si tengono le pillole. Altri preferiscono ciondolare la testa sotto il peso di cuffie enormi, come se fossero tecnici in sala di registrazione. Non tutti, ovviamente, ascoltano musica. Magari sono solo distratti in un audiolibro o dentro qualche discussione sugli interessi dei titoli del Tesoro, sulle imprese di Napoleone o sulla vita in prigione. Tu non lo saprai mai cosa c’è nelle loro orecchie assorte. 

Largo all’avanguardia, e pubblico di…”. Quando i newyorchesi se ne fottono allegramente dei turisti.

Poi ci sono quelli come il tizio del notiziario argentino, che la riservatezza la schifano. E vogliono condividere con te, e altri meschini come te, quello che stanno ascoltando loro. Spesso, qui a New York, questi altruisti si spostano in bicicletta. Li senti quando ancora sono distanti isolati luce, perché hanno impianti stereo che la Baia Imperiale andrebbe in bancarotta. L’hip-hop va per la maggiore, ma qualche barbuto con berretto di lana anche a giugno si azzarda ad ascoltare indie. 

La maggioranza silenziosa di New York, che si perde nella sua musica senza molestare il prossimo (la “Guida Inutile” si fa i selfie mentre va a spasso).

Ovviamente, anche tra gli automobilisti di New York abbondano i dispensatori di melodie non richieste. Ma questi esemplari, col braccio penzolante fuori dal finestrino anche a gennaio, sono la maggioranza nell’Universo. Li puoi trovare un po’ ovunque, da Berlino a Potenza, non hai bisogno di venire a scoprire l’America. La peculiarità tutta newyorchese, invece, è che il numero ridotto di veicoli in circolazione aguzza l’ingegno di chi deve scordarsi delle quattro ruote ma non vuole rinunciare all’esibizionismo sonoro.

I ragazzini con la stessa passione per i jukebox da passeggio, ma senza quadricipiti da ostentare su velocipedi al titanio, vanno pigramente a zonzo con banali altoparlanti portatili. In genere, non sembrano attratti dai notiziari di politica latinoamericana. Preferiscono canzoni dove ogni due parole ci sia almeno un f**k e, possibilmente, pure un n***a. 

[PARENTESI – Non posso scrivere la “F word” perché sarei volgare”, con la “N word” usata dagli afroamericani diventerei immediatamente razzista. Per quest’ultima parola, di cui troverete la definizione via Google, il concetto più simile è questo: io, se ne ho voglia, posso continuamente auto-definirmi “terrone”, perché vengo comunque da una famiglia meridionale immigrata al nord e ho un discreto senso dell’ironia. Ma se tu, valligiano lombardo-veneto o madamina piemontese, ti azzardi a chiamarmi “terrone” perché senti che sono io il primo a definirmi tale, tu sei una merda insensibile, che perpetua stereotipi discriminatori e razzisti.]

“SOSTANZIALMENTE UNDERGROUND…”

Come dovrebbe ormai essere chiaro, se riesci a mantenere la concentrazione e i tuoi passi sul marciapiede, camminare a New York ha vantaggi innegabili. Tra i quali anche questa non rara esperienza d’ascoltare la musica altrui mentre vorresti solo perderti nei rumori della città. L’esperienza, in genere, dura qualche istante, più o meno interminabile, giusto il tempo di allontanarsi dalla discoteca deambulante o da quella a pedali. 

Con un pizzico di fortuna sfacciata, invece, uno di questi cultori della propagazione non ostacolata del suono potrebbe materializzarsi nel luogo pubblico newyorchese per eccellenza, quello sotterraneo: la metropolitana. Ma non sulla banchina, magari a strimpellare per qualche centesimo mentre tu aspetti il treno. No, no. Proprio dentro la tua carrozza, quando non puoi spostarti o fuggire, e questo benefattore ha deciso che lui vuol fare l’originale, lui, mica guardare Netflix sul telefonino come tutti gli altri. 

In genere, in metropolitana ci facciamo gli affari nostri. In verità, ce li facciamo ovunque, non solo in metro, dove spesso siamo di cattivo umore perché il treno è sistematicamente in ritardo di tre minuti e, prima ancora d’arrivare a destinazione, vorremmo solo non avere interazione alcuna con altri esseri umani. 

Semi-vuota. Quando la metropolitana di New York si fa amare.

E ce li facciamo, gli affari nostri, perché a New York abbondano gli individui che è meglio non incrociare, soprattutto se hai anche solo il minimo dubbio che possano cercare grane alla prima occhiata (beata l’ignoranza dei turisti infatuati dal safari urbano, ché tra i newyorchesi va invece per la maggiore l’ignavia). Questi individui, quando siamo in metro, li evitiamo anche se danno in escandescenze o arrivano a minacciare altri passeggeri. Figurati, allora, se ci sogniamo di chiedere a un tizio che sale sulla nostra carrozza, e che ha la passione per la musica a tutto volume, di insonorizzare lo stereo portatile tra le parti più intime del suo apparato digerente.

“…MOLTO UNDERGROUND”

Quando non riesci a mantenere passi e concentrazione sul marciapiede, anche camminare può diventare invece un’attività rischiosa a New York. Magari non al pari dell’andare in bicicletta, che quaggiù è non di rado letale (purtroppo non è uno scherzo); ma pur sempre degna di maggior attenzione di quella che dedicheresti per passeggiare in una qualunque altra città. Telefonini sempre attivi, e 100 decibel nelle orecchie, non fanno che aggravare la possibilità di finire con la testa in giù.

Mi spiego subito.

La carenza cronica di suolo calpestabile e la sovrappopolazione in città hanno indotto storicamente i newyorchesi a utilizzare al meglio ogni spazio disponibile. Così, molti vecchi palazzi hanno appartamenti ricavati nei seminterrati, in quelli che quaggiù si chiamano “basement”. Hanno ingressi al livello del marciapiede, e i più fortunati sono collocati sotto scale auliche che conducono ai piani nobili di palazzi da invidia. Le finestre non mancano, ma sono ridotte al minimo, con buona pace della luce naturale.

Le ante sconnesse di un “cellar” su Canal Street, a Manhattan.

Quando non ci sono finestre, e l’ingresso ai seminterrati si trova al di sotto dei negozi, direttamente lungo il marciapiede, si parla invece di “cellar”. A norma dei regolamenti cittadini, queste cantine accessibili dalla strada possono essere usate solo come deposito. In certi quartieri del Queens non è raro che gli immigrati, quegli stessi per il cui diritto all’asilo spergiuriamo imminenti rivoluzioni, abbiano il privilegio di trovare rifugio solo in spazi di questo tipo, sollevandoci così dal fastidio di tradurre in concreto le nostre buone intenzioni. A meno di non passeggiare sempre e solo nelle aree lussuose di Fifth Avenue o Park Avenue, chi visita New York troverà “cellar” dappertutto. In genere sono chiusi da ante metalliche. La tenuta di queste ante è l’incubo di ogni vero newyorchese. In genere diciamo ai bambini di non saltarci sopra (non foss’altro che per evitare il casino infernale che producono).

Assieme a quella d’essere colpiti in testa da un condizionatore d’aria in caduta libera dalle finestre cui sono precariamente agganciati, una delle paure più diffuse in città è proprio quella di sprofondare in uno dei seminterrati adiacenti ai negozi. Queste paure non hanno nulla di irrazionale (si, avete letto bene). Dai palazzi di New York cade di tutto. Non è infrequente che si stacchino anche pezzi di cornicioni e facciate. Qualche settimana fa, uno di questi frammenti staccatosi da un palazzo ha ucciso una donna dalle parti di Times Square. Se si fosse trattato di una turista, a quest’ora lo avrebbe saputo il mondo intero. Stesso discorso per le ante dei “cellar”. Negli anni ci sono state cronache di persone cadute nei magazzini seminterrati a causa del cedimento delle porte di chiusura. Queste notizie non arrivano sulle scrivanie di Lonely Planet e New York Times, perché devono concentrare tutte le loro risorse sull’ennesimo ristorante di ramen.

UN UOMO DA MARCIAPIEDE

A volte le ante di questi magazzini sotterranei sono aperte, perché ristoranti, piccoli supermercati o “bodeghe” di quartiere ricevono consegne di continuo. Per segnalare ai pedoni il pericolo costituito dai “cellar” spalancati, i negozianti usano grandi coni arancioni, gli stessi dei cantieri stradali. Che succede, però, se è già buio, stai tornando a casa ascoltando i Daft Punk a tutto volume e hai il naso sullo schermo del tuo telefonino, tutto intento a lavorare sulla luminosità di una fotografia che hai scattato nel pomeriggio? 

Quasi una tomba, che conosco nei minimi dettagli.

Succede che, tutto d’un tratto, sentirai un dolore acuto allo stinco della tua gamba destra. In quell’istante non farai in tempo a bestemmiare, ché il sangue ti andrà ugualmente alla testa per il semplice fatto che sarai in caduta libera nel vuoto. Nella stessa frazione di secondo, sarai quasi certo che le scale di cemento che conducono nel seminterrato vogliano osservare da vicino il tuo naso. In quel momento, l’istinto supplicherà le tue braccia di far qualcosa, e che diamine! 

Quando le tue mani, con una spinta resa ancora più maldestra dalla disperazione, ti faranno in qualche modo rinculare nuovamente verso l’esterno, il tuo ventre molle andrà comunque a rimbalzare lungo l’estremità di una delle due ante del seminterrato. Si fosse trattato di un bordo spigoloso, quell’estremità avrebbe potuto fungere da lama e avrebbe potuto disossarti come un maiale per le sagra del sanguinaccio. Ringrazierai invece per giorni interi d’essertela cavata con un banale ematoma sulla panza, lungo giusto una trentina di centimetri. “Poteva essere pure la testa, coglione che non sei altro. E ora saresti davanti al Creatore”, ti ripeterai all’infinito. Durante quegli stessi giorni ricorderai a tuo figlio di fare sempre attenzione a dove mette i piedi quando va a scuola. E di non essere con la testa tra le nuvole come suo padre. 

[N.B. l’episodio di cui sopra è realmente avvenuto. Come reale è stata la visita dal medico che ha scongiurato lesioni interne. Dopo mesi, la lunga cicatrice sullo stinco destro è ancora lì, a memoria perenne della stupidità che avrebbe potuto ammazzarmi. La mia].

OCCHIO CHE NON VEDE, CUORE CHE NON DUOLE

Se un turista avesse idea dei veri pericoli di New York, ma col piffero che farebbe carte false per venirci in questa città. Non perché il rischio di morire accoltellati in un parco per una rapina (cronaca recente), o quello d’essere colpiti da proiettili vaganti (cronaca non così rara in certi quartieri) o d’essere spinti sui binari della metropolitana (cronaca poco nota ma costante nei mesi) sia particolarmente elevato. Niente affatto. Quando non di situazioni straordinarie (per anni non ci sono stati omicidi nei parchi), si tratta pur sempre di eventi a frequenza ridotta (non tutti i giorni qualcuno viene colpito da una pallottola). E gli episodi di criminalità più grave avvengono spesso in quartieri dove un turista non si sognerebbe mai d’andare, tantomeno a tarda sera.

Manhattan, ingresso della fermata della metro “Chambers Street” (su Murray Street angolo Church Street). La polizia offre 2500 dollari di ricompensa a chiunque offra una segnalazione utile per arrestare un uomo che avrebbe aggredito una donna colpendola con la catena di una bicicletta. Il tutto è avvenuto alle due del pomeriggio di un giorno feriale, mentre la donna (un’agente della polizia fuori servizio) si trovava sulla linea 2 della subway.

Ma una maggiore consapevolezza di quanto avviene davvero ogni benedetto giorno a New York cambierebbe nel turista la percezione idealizzata di questa città. Aumenterebbe, in questo turista romantico, il suo senso di insicurezza (magari lo stesso che lo rende rabbioso quando legge la cronaca nera della sua città in Italia o quando, rientrando da una serata al cinema, trova gli spacciatori sotto casa). Il senso di insicurezza, o anche solo di fastidio, non aumenterebbe la probabilità che questo turista possa incorrere in incidenti o gravi crimini. Nemmeno quello d’essere colpiti con della candeggina in faccia nella stazione della metro (cosa successa di recente in una fermata del West Village). 

Per essere una grande metropoli, New York è discretamente sicura. Però l’idea di una città pericolosa potrebbe rallentare l’afflusso dei turisti. Essendo questa la capitale mondiale della pubblicità e dei media, dove le pubbliche relazioni aiutano a creare mondi paralleli come a Hollywood, il pericolo di una città meno attraente è per ora scongiurato da legioni di spin doctor ben pagati.

BOLLE, MILLE BOLLE BLÙ

Questo candido turista uscito dalle pagine di Voltaire non avrebbe comunque motivo di sentirsi un’eccezione, quaggiù. Senza saperlo (perché appunto incosciente) condivide la sua allegra ignoranza con centinaia di migliaia di fortunati newyorchesi. 

Esiste un posto dove i progressisti americani possono vivere come se l’elezione di Donald Trump non fosse mai avvenuta? “È Brooklyn. Con una bolla sopra!”. Sketch del Saturday Night Live, 19 novembre 2016.

Chi vive, per esempio, nelle zone benestanti e progressiste della Upper West Side di Manhattan o nella Brooklyn dei brownstone di Park Slope (zone colorate con il “blu democratico” nelle mappe politiche), vive in un mondo a se stante, come in una bolla.  È convinto, abbastanza a ragione dal suo punto di vista, che New York sia una città idilliaca ed ideale per far crescere dei bambini. Un po’ come un torinese che viva nell’area pedonale della Crocetta, oppure un milanese che abiti a Brera e ti dica che tutti dovrebbero usare la bici per andare in ufficio a San Babila (anche quelli di Gratosoglio).

Se poi questo newyorchese ogni giorno legge solo il New York Times (e non tabloid come il NY Post e il NY Daily News), oltre a credere che la democrazia in America sia messa a rischio mortale da un palazzinaro di New York alla Casa Bianca, non avrà la più pallida idea delle decine di reati commessi ogni giorno in città. Che esistono e rimangono tali a prescindere dai titoli a sensazione usati dai quotidiani popolari (che lui, ovviamente, non sfoglierà mai). 

Per averne la prova, e senza sporcarsi le mani, gli basterebbe accendere la tv tra le dieci e le undici e mezza di sera. I telegiornali locali di ABC, NBC, FOX e CBS, in genere, riportano notizie di cronaca nera. Tipo quella di una ragazzina ferita da un proiettile vagante mentre si trovava su un campo di pallacanestro a Bushwick (la stessa Brooklyn che fa tendenza tra i giovani newyorchesi più alternativi, e dove, con 30 anni di meno, avrei fatto carte false per viverci pure io).

“La Rivoluzione fa faville!”. Nel caminetto. A Brooklyn i compagni di Park Slope sono tutti per Bernie Sanders.

Si indignerà però, questo newyorchese progressista, quando leggerà su Twitter che 8 poliziotti, tra i quali uno con arma spianata, hanno arrestato brutalmente un ragazzo in metropolitana. E sarà certo senza ombra di dubbio, il newyorchese illuminato, che la polizia avrà perseguitato quest’ennesimo giovane disagiato, il cui grave crimine era stato solo quello di saltare il tornello per non pagare il biglietto frutto delle iniquità economiche. 

Difficile che il newyorchese sinceramente attento alle ingiustizie sociali si prenderà la briga di capire se quel povero cristo era in realtà inseguito dai poliziotti perché un testimone lo avrebbe visto brandire una pistola all’esterno della stazione della metro. La pistola non verrà mai ritrovata, e il giovane farà pure causa alla città chiedendo danni morali per un milione di dollari (tutto vero). Per i poliziotti questo giovane traumatizzato sarebbe però membro di una gang, i Crips, e all’età di 19 anni avrebbe già alle spalle 14 arresti per minacce, lesioni, furto aggravato e rapina. Si accettano scommesse sull’esito finale della saga.

AD AVERCELO, UN “COFANO ADORNO DI GROSSI TUBI SIMILI A SERPENTI DALL’ALITO ESPLOSIVO”

Ricapitolando, e ricordandoci che tutto questo è davvero avvenuto a New York. Ma se in questa città, oltre che dalle automobili (evenienza comune in tutto il Mondo), girando in bicicletta rischi d’essere ucciso da un camion in retromarcia. Se a piedi rischi d’essere ucciso non solo dalle automobili (idem come sopra) ma anche da pezzi di cornicione in caduta libera, oppure da gru spinte dal vento, quando non da proiettili indirizzati a qualcun altro nella Manhattan ben lontana dal Village bohémienne. Se in metropolitana, quasi una volta al mese, qualche pazzo criminale spinge apposta sui binari un povero disgraziato, e quest’ultimo deve sperare che delle anime coraggiose lo salvino dal treno in arrivo. Insomma… se i pericoli, e nemmeno statisticamente irrilevanti, sono ovunque, cos’altro resta per muoversi in sicurezza a New York? 

Manhattan, FDR Drive direzione sud.

La soluzione è semplice: entra nella storia con la “s” minuscola, salta sulla giostra, diventa anche tu parte del pericolo. E inizia a guidare una macchina. Il suggerimento vale pure se siete turisti, meglio ancora se avete un insano senso per l’avventura.

Guidare a New York, come intuibile, non è meno rischioso di altri sistemi per spostarsi in città. Ovviamente, è ben più rischioso che camminare o prendere la metropolitana. Con le osservazioni di cui sopra sulla pericolosità di New York non volevo solo terrorizzarvi gratuitamente. Di sicuro, come sempre, c’era l’intento di provocare almeno qualche riflessione e di mettere in discussione i punti di vista più rassicuranti. Da quelle considerazioni, poi, ognuno di voi può ricavare ciò che gli pare, democristianamente.

La metropolitana di New York può essere molto pericolosa. In genere, però, i tunnel ci sono anche quando non si vedono. Questo è a Brooklyn, tra 4th Avenue e 38th Street.

Chi nutrisse un sentimento d’avversione per tutto quello che è americano, potrebbe trovare conferma alle sue idiosincrasie e l’ennesima giustificazione per non mettere mai piede quaggiù. Chi si fosse innamorato della versione hollywoodiana edulcorata di New York potrebbe non credere a una fotografia così sbiadita. Chi avesse visitato la città da turista si potrebbe sentire più che legittimato a smentirmi, perché in un pomeriggio trascorso a Bryant Park non ha avuto problema alcuno. Chi cercasse un po’ d’ottimismo a basso prezzo potrebbe consolarsi pensando che, in fondo in fondo, tutto il Mondo è paese e che pure New York ha i suoi problemi. E così, via di questo passo.

TURISTA AL VOLANTE, PERICOLO…

Procediamo con ordine, dal vostro arrivo in aeroporto a JFK (per favore, a meno di non andare a trovare parenti nel New Jersey, perché mai vorreste volare a Newark?).

Sarete stati lungimiranti e, avendo letto questo post qualche giorno prima della vostra venuta in città, avrete già prenotato la vostra macchina a noleggio da JFK. Con un po’ di fortuna, avrete pagato tra i 70 e i 100 dollari al giorno, a seconda del veicolo scelto e della copertura assicurativa. Con altrettanta fortuna, e un pizzico di lungimiranza, avrete deciso di venire a New York in bassa stagione. 

Da queste parti, bassa stagione significa febbraio. Quando il termometro, nelle giornate più calde, rimane attorno allo zero e il freddo tiene lontani i turisti americani. È il periodo in cui i bambini newyorchesi, e degli altri Stati congelati d’America, sono in vacanza durante la settimana centrale del mese. I loro genitori più fortunati li portano al caldo di Disney World o, per non perdere l’abitudine al freddo, in settimana bianca. A febbraio, voi potete trovare una stanza a 50-60 dollari al giorno in alberghi storici come l’Hotel Pennsylvania, davanti al Madison Square Garden (dove i fanatici di basketball potranno sollazzarsi con i peggiori New York Knicks di sempre).

Downtown Brooklyn, Flatbush Avenue. Quando fa freddo e le strade vengono coperte con quel sale sintetico antigelo che si attacca agli occhiali e sulla lingua.

Una volta lasciato l’aeroporto, inizierete a pentirvi d’aver noleggiato un’auto. È sera tardi, siete stanchi, perché per il vostro fuso orario è notte. Conoscete al massimo le autostrade francesi e tedesche, quando non solo quelle italiane. Siete quasi in preda al panico. Fermi, calma. Dov’è finito il vostro spirito d’avventura? Non avete forse con voi un telefonino super intelligente e dotato di Google Maps?

Se avete tutto questo terrore di spendere qualche dollaro in dati internet sul telefonino, fatevi una domanda: “sto buttando centinaia di dollari per noleggiare un’auto e mi preoccupo per tre o quattro in più?”. Sappiate che non state comunque buttando un bel niente. È il vostro pacchetto speciale di viaggio qui a New York. Tutti vi raccontano d’aver preso il taxi, o la metro, o Uber. E voi racconterete d’esservi levati lo sfizio di guidare a New York, manco foste pure voi Robert De Niro.

A NEW YORK SI PAGA PURE L’ARIA, FIGURATI I FUMI DI SCAPPAMENTO

Le autostrade (highways) che attraversano New York sono gratis, e così i ponti principali, cioè quelli che collegano Brooklyn e Queens a Manhattan. Sono invece a pagamento tutti i tunnel. La vostra macchina sarà dotata di EzPass per il pagamento dei pedaggi. Voi dovrete solo preoccuparvi di saldare il conto della vostra carta di credito al rientro a casa.

Manhattan, Hotel Plaza, il più famoso di New York.

Una volta arrivati in hotel, sarà rarissimo trovare parcheggio senza sborsare altri dollari. Ci sono alcuni hotel che a Brooklyn offrono un servizio gratuito di parcheggio. L’Hotel Le Bleu a Gowanus è uno di questi, anche se i posti sono limitati. A Manhattan, prenotando l’albergo, vi sarete già ricordati di prenotare anche il parcheggio. Con altri 70 dollari al giorno vi sarete levati lo sfizio dell’autonomia totale a New York.

Una volta in macchina avrete altre sorprese. Il traffico potrebbe non sconvolgervi così tanto. Se arrivate da Roma o Napoli, questa città potrebbe sembrarvi la Svizzera. Solo lo stato del manto stradale potrebbe ricordarvi quell’indimenticabile safari fotografico in Namibia. Il costo del parcheggio, invece, potrebbe farvi rimpiangere d’aver seguito il mio suggerimento (avete letto il titolo del blog, vero? Vi ha detto niente “Guida Inutile New York”…?). 

Parcheggiare in strada non è impossibile, niente affatto. È tutta una questione psicologica: prima o poi, con un po’ di culo, un posticino per la vostra vettura lo si trova anche. Bisognerà, però, fare attenzioni a decine di segnali: alle frecce che indicano dov’è possibile parcheggiare, al giorno della settimana in cui il lato della strada è soggetto a pulizia (“alternate side”), al tipo di veicolo ammesso alla sosta (N.B.: a meno di non aver avuto la spettacolare idea di noleggiare un van o un furgone, anche cassonato, non potrete parcheggiare dove c’è scritto “commercial only”). 

Scaricandovi un’applicazione come Spot Angels avrete tutte le informazioni sulle tariffe, comprese quelle delle strisce blu. In strada potreste trovare cifre oscillanti dai 2,5 ai 4,5 dollari. Nei parcheggi privati, sotterranei o all’aperto, dove le macchine vengono incolonnate come se fossero merce in un magazzino o bambini su letti a castello, le tariffe più vantaggiose oscillano attorno ai… 20 dollari per ora. Perché a New York, lo dovreste sapere già, lo spazio è un lusso che si paga.

Visto che non è impossibile girare in macchina a New York? Qui siamo sulla 5th Avenue (quella che noi italiani conosciamo come Quinta Strada) a Midtown Manhattan. Sulla sinistra si può riconoscere la Cattedrale di Saint Patrick.

Fate attenzione agli idranti. Sono una delle principali caratteristiche newyorchesi, come i bagel e i topi nella metro. Ma sono un “pain in the ass” quando devi parcheggiare lungo il marciapiede e ti illudi che ci sia giusto uno spazio per la tua macchina. Non si può parcheggiare di fronte agli idranti, e questo è intuibile anche senza essere Vigili del Fuoco. Ma si deve anche lasciare uno spazio di almeno quattro metri e mezzo (15 piedi) su ciascun lato dell’idrante. Se preferite, l’idrante è il centro di un diametro di almeno nove metri. Auguri.

Tutte le indicazioni sulle distanze, ovviamente, saranno espresse in miglia. Ricordatevi che un miglio è poco più 1.6 chilometri (non ho la più pallida idea se lo Staten Island Ferry e i suoi omologhi seguano invece le miglia marine). In città, a meno che non sia espresso chiaramente attraverso cartelli stradali appositi, il limite di velocità è di 25 miglia all’ora. Il tachimetro della vostra auto ragionerà in miglia.

Si tratta, sostanzialmente, di 40km/h. Non vi sognate di fare i brillanti e superare questo limite. La polizia a New York non ha il senso dell’umorismo, i limiti sono generalmente rispettati. Anche perché andare a velocità più elevate, in alcuni momenti della giornata, potrebbe essere controproducente e farvi perdere “l’onda verde”. Nelle strade ad alto scorrimento che costeggiano Manhattan, come West Street o FDR Drive, la velocità può arrivare a 35 o 40 miglia orarie. Stesso discorso negli altri borough. Ma si tratta comunque di eccezioni. Tenetevi sulle 25 miglia all’ora e non dovreste finire in galera.

A MENO DI GUIDARE UN TAXI O UN FURGONE PER AMAZON, SIETE CAPITALISTI PURE VOI (E SE VOLETE SALVARE MADRE TERRA, STATE A CASA MADRE)

Al volante, vi accorgerete d’essere circondati soprattutto da taxi gialli, camion e furgoni vari per le consegne. In una città dove lo spazio è carente, e gli esseri umani si stringono in appartamenti mediamente piccoli, è normale muoversi con i mezzi pubblici. E ora che il commercio su internet è consolidato, è ugualmente normale comprare in rete aspettando che gli acquisti arrivino sulla soglia di casa. Per favore, fate attenzione ai tanti ciclisti che usano biciclette elettriche. Sono decisamente veloci e non fanno alcun rumore, per questo sono più pericolose. Le usano soprattutto i tantissimi immigrati che lavorano per consegnare cibo e la spesa a noi newyorchesi privilegiati.

Times Square, nelle ore di punta, è come una prigione per tassisti e autisti di Uber. Ma i prigionieri non possono vivere di sole arance.

Oltre ai taxi gialli, a New York ci sono anche i taxi verdi, che troverete soprattutto nella parte nord di Manhattan, a Brooklyn, Queens e nel Bronx. (Non vi parlo di Staten Island perché qualcosa mi dice che, dopo tutte queste spese, non aggiungerete anche i 15 dollari necessari per attraversare il Ponte di Verrazzano). Noterete, soprattutto, un’infinità di macchine nere. Oltre a essere il colore fondamentale per ogni newyorchese che si rispetti, il nero è il colore usato dalle auto di Uber e di tutti gli altri servizi di trasporto con conducente, che in città sono centinaia e dai nomi più disparati. 

Quando siete per strada, chiusi nella vostra confortevole auto, ascoltando musica, magari sorseggiando un caffè per innervosirvi ancora di più al volante, ricordate che nelle società occidentali evolute e progressiste i lavori più umili sono svolti dai moderni servi della gleba. Tradotto: i taxi, come le auto di Uber e quelle di tutti gli altri servizi sul mercato sono quasi sempre guidati da immigrati. 

Manhattan, Upper East Side, East 96th Street e Lexington Avenue.

Nel caso dei tassisti, si tratta spesso di immigrati che sono in città da lungo tempo e che sono, non di rado, strangolati da debiti per ripagare le loro licenze acquistate a peso d’oro nei decenni passati. Uber ha mandato letteralmente in rovina molti di questi lavoratori. Nel 2019, per settimane, ci sono stati casi di suicidi tra tassisti impossibilitati a pagare il loro debito. 

I guidatori di Uber non stanno meglio. Si indebitano per acquistare un’auto nera dalla stessa Uber, fanno orari impossibili, spesso hanno scarsa esperienza alla guida. Quest’ultimo punto, detto in soldoni, significa che guidano a cazzo: cambiando improvvisamente corsia quando meno te lo aspetti; o fermandosi nel bel mezzo della strada, segnalandolo all’ultimo secondo, perché devono far scendere i clienti. Magari, questi disgraziati autisti di Uber, erano valorosi ingegneri nei loro Paesi d’origine. Quegli stessi Paesi dove strade e traffico sono ben peggiori che in America. Una volta al volante a New York, però, si portano appresso tutto questo bagaglio personale e culturale. Tenete gli occhi ben spalancati. Così vi potrete stressare di più e avrete poi bisogno di una vacanza vera.

Manhattan, Flatiron District, W 20th Street e 5th Avenue.

Se oltre alle complicazione pratiche e psicologiche pensate che guidare da turisti a New York sia un gesto ambientalmente irresponsabile, vi suggerisco d‘indirizzare meglio la vostra indignazione. Il vostro aeroplano, dovreste saperlo, non va a batterie. Stare a casa, spegnere luci e riscaldamento, usare coperte e candele, cibandosi di zuppe d’ortica o bacche, è un metodo più efficace per sollevarsi dai sensi di colpa. Se poi viaggiate con figli in età scolastica al seguito, vi sarete accorti che attraversare l’Atlantico in barca a vela durante il primo quadrimestre è una garanzia per essere segati a giugno, a meno che, sempre al seguito, non abbiate anche il vostro ufficio stampa e il calendario dei vostri incontri alle Nazioni Unite.

ODE ALL’AUTOMOBILE

Ma certo che le città si girano al meglio a piedi. Io macino miglia e miglia ogni settimana. Vivo a New York da quasi sette anni. Nei primi sei anni in città non abbiamo avuto una macchina in famiglia, e non ci è mancata. Quando posso, preferisco uscire due ore prima di casa piuttosto che prendere la metropolitana. Non amo la bicicletta, perché richiede troppa attenzione per non farsi male. E sono convinto che molti snob, qui a New York come altrove, facciano fatica a comprendere che molti di noi non hanno il fisico o abitano troppo distante dai luoghi di lavoro per poter davvero scegliere di muoversi in bici. Ma comprendo chi abbia l’infatuazione per Copenaghen e Amsterdam.

Un giro in macchina con la “Guida Inutile New York”.

Allo stesso tempo, da buon torinese, cresciuto nella città italiana dell’auto per definizione (scusa, Maranello, i veri eroi sono quelli che si sono spaccati culo e polmoni per fare le 128), voglio spezzare ben più di una lancia per l’automobile. Non solo perché l’auto è stata, per molti, un momento per le più svariate iniziazioni, cosa impossibile sul sellino di una bici, a meno di non essere sadomasochisti.

Se visitate Roma, diciamo che è sconsigliabile tentare di raggiungere Piazza di Spagna in macchina (io, in qualche modo, ci sono riuscito). Ma se non avete mai fatto il Muro Torto o percorso la Tangenziale Est, vi siete persi un’esperienza comune per qualunque romano e difficilmente capirete la città. Salire al colle del Gianicolo in macchina non sarà così eroico e sacro come salirci in ginocchio, possibilmente schiacciando ceci. Ma se andate lassù con qualcuno da baciare, ne sarà valsa la riprovazione degli ambientalisti capitolini.

Lo stesso ragionamento vale per qualunque altra città italiana, piccola o grande, famosa o sconosciuta. Per un torinese come il sottoscritto (anche se ormai stabilmente in America), chi visiti la città senza prendere un’auto per andare su in collina, non avrà mai davvero conosciuto Torino (e salire ai Cappuccini non basta, miei cari, come minimo dovete avere sul groppone la Panoramica di Superga). Nemmeno è necessario, a dire il vero, che le strade in questione siano suggestive o romantiche. Per capire una città, devi andare dove i poveri cristi passano ogni giorno. Magari nella mia Torino era la curva delle cento lire di Lungo Stura Lazio. Ma io, a Napoli, ho ricordi speciali anche dell’Asse Mediano per andare a Melito. La lista potrebbe essere interminabile. A emozionarsi sul cammino delle Cinque Terre son capaci tutti.

NEW YORK SULLE QUATTRO RUOTE

A New York non è diverso, miei cari. Entrare a Brooklyn dal Verrazzano Bridge, e sbirciare la punta di Manhattan dalle carreggiate superiori del ponte, è un’esperienza che molti newyorchesi fanno ogni santo giorno. E per loro la città è questa qui, e prosegue lungo l’interminabile sopraelevata della Gowanus Expressway per poi snodarsi nella Brooklyn-Queens Expressway (o BQE). 

Per chi tra voi arrivasse a tarda sera da JFK seguendo il consigliato percorso della Belt Parkway, dopo le luci di Coney Island e del Verrazzano Bridge, all’altezza del quartiere Bay Ridge, apparirebbero all’orizzonte proprio le luci maestose di Manhattan. Il premio per esservi fidati della vostra Guida Inutile.

Brooklyn, Bay Ridge. Il Ponte di Verrazzano visto al tramonto dall’area di sosta lungo la Belt Parkway (direzione sud).

Viaggiare in auto a New York regala scorci altrimenti impensabili per un turista. Offre la possibilità di recarsi su percorsi non battuti. Magari vedere le stesse attrazioni consigliate da tutte le guide tradizionali, ma apprezzarle da una prospettiva diversa. A volte, poi, ci sono attrazioni che è più facile vedere se si ha a disposizione una macchina. Sulla stessa Belt Parkway di cui sopra, ma in direzione sud, sempre a Bay Ridge si trova un’area di sosta appositamente pensata per apprezzare la visuale del Verrazzano Bridge. Andarci al tramonto vale la gita. E ci si può andare anche piedi, tranquilli.

SARÀ PURE PARTECIPAZIONE, MA LA LIBERTÀ È SOPRATTUTTO QUELLA DI MUOVERSI QUANDO LE TUE GAMBE NON POSSONO AIUTARTI

Per chi ancora storcesse il naso all’idea di noleggiare un’auto per visitare una città come New York, dotata di un’estesa rete di trasporti pubblici attivi 24 ore su 24, un’ultima considerazione: siete mai stati su una sedia a rotelle? Ecco. Quando non abbiamo familiari o amici con limiti di mobilità, il pensiero di non riuscire a spostarci in autonomia non ci sfiora nemmeno di striscio. Eppure non dovrebbe essere così difficile da immaginare, ‘sta cosa qui.

A New York esistono 472 stazioni della metropolitana, e le 28 linee in servizio su diversi orari coprono un tracciato di poco inferiore ai 400 km. Ma solo 120 stazioni, cioè un quarto del totale, sono completamente accessibili per i disabili. Il fatto che gli oltre 5.700 autobus, in servizio su 320 linee per un totale di oltre 16.000 fermate, siano tutti accessibili è motivo di magra consolazione per chi sia costretto a più trasferimenti tra bus e metro per poter arrivare alla destinazione desiderata.

A JFK è possibile noleggiare furgoni accessibili per le carrozzelle. I turisti con disabilità, e accompagnati da familiari o amici, dovrebbero davvero pensare di sfruttare questa opportunità. Il peggior traffico di New York non riuscirà mai a battere il puzzo di piscio dei rari ascensori della metropolitana. Quaggiù lo sa bene ogni famiglia con bambini piccoli. La rassegnazione verso i miasmi da latrina dei montacarichi della “subway” nasce solo dalla prospettiva di poter evitare un rischio peggiore, cioè quello di sfracellarsi sulle scale della stazione sorreggendo il passeggino con la creatura. Perché c’è sempre una cacca più grande e l’istinto di conservazione ci fa apprezzare la più piccola.

Siamo alla fine. A questo punto, sparse qua e là in questo post, avrete a disposizione tutte le informazioni necessarie per muoversi a New York. Fatene tesoro, soprattutto se opterete per le soluzioni che sfidano il buon senso. Divertitevi! E in bocca al lupo…

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