San Gennaro, New York, Manhattan
Cultura,  Luoghi

Turisti a New York ai tempi del caos

Tra gli ingorghi per sopportare i grandi della Terra e le ambizioni omicide dell’ennesimo attentatore, a New York non rimane molto spazio per l’empatia verso i turisti. Soprattutto se sono imbranati. Un articolo per il settimanale della “Fondazione Italiani”

Niente riesce a distogliere i newyorchesi dalla loro quotidianità, che sia un violento attentato terroristico o l’annuale calata dei diplomatici e dei Capi di Stato alle Nazioni Unite. Meno che mai milioni di persone alla ricerca dell’Empire State Building con i loro smartphone

In Italia qualcuno ama ancora ripetere: “Napoli e New York sono sullo stesso parallelo!”. Al che gli italiani che risiedono qui a New York replicano: “ah sì?”. In effetti, quando a gennaio lungo le strade si ammassano 60 cm di neve in un fine settimana o quando il termometro ufficiale a Central Park si incanta per giornate intere sotto lo zero, è anche possibile che tra alcuni di noi il primo pensiero corra a Napoli, per invidia se non proprio per associazione di idee. Personalmente, il mio pensiero torna a Sorrento. Meglio, ad Amalfi. Si, vorrei tornare per una settimana a fare il turista ad Amalfi, e magari passeggiare lungo le stradine che portano su al cimitero. Ma a meno che una tormenta o un uragano non stiano bloccando la mia nuova città d’adozione, è più probabile che sia io la guida che porta a spasso turisti fortunati. E in questi tour per New York, la mia fortuna non è inferiore alla loro.

A New York, metropoli che conta 8 milioni e mezzo di abitanti all’interno dei suoi semplici confini amministrativi, ogni anno arrivano quasi 60 milioni di turisti, dati ufficiali del 2015 uniti a previsioni per il 2016. Come ovvio, la grande maggioranza proviene dal resto degli Stati Uniti. Ma 12 milioni di visitatori arrivano dall’estero e almeno mezzo milione sono i nostri connazionali. I numeri sono forse noiosi, però aiutano a capire l’impatto reale di questa massa di esseri umani sulla vita quotidiana di una grande città. Nel 2014 i turisti a New York hanno speso 41 miliardi di dollari. Questa spesa ha creato stipendi per 22,5 miliardi di dollari e ha sostenuto 362.000 posti di lavoro. Tutta la città, non solo chi lavora nel settore del turismo, ha tratto benefici: le spese dirette effettuate dai turisti, infatti, hanno generato 10,5 miliardi di dollari in tasse. Tradotto: ogni famiglia newyorchese ha risparmiato, sempre in tasse, 1775 dollari. I contribuenti locali, anche sapendolo, alzerebbero le spalle.

Bastano questi numeri per far gioire i newyorchesi di fronte al fiume di turisti che ogni giorno si riversa in primo luogo per le strade di Midtown a Manhattan? Improbabile. Gli abitanti di questa città hanno la fama, almeno per il resto degli americani, d’essere poco ospitali e talvolta pure un po’ maleducati. Un newyorchese doc non ci mette due volte a dirti di spostarti se con la tua indecisione sul marciapiede stai rallentando il suo passaggio. E te lo dice per le spicce, quando non bruscamente. Di fronte ai visitatori imbambolati dentro le mappe dei loro telefonini, il vero newyorchese ha però le sue buone ragioni. Anche senza turisti, infatti, questa città sarebbe comunque caotica e sovraffollata. Certo, pur consapevoli che i pericoli sono sempre dietro l’angolo, non tutti i giorni facciamo i conti con un attentato terroristico come quello avvenuto sabato scorso a Chelsea, che quando risparmia miracolosamente vite umane si limita solo a chiudere per ore qualche fermata della metropolitana o a bloccare qualche strada. Così come, sempre per estrema fortuna, una sola volta all’anno, a settembre, i cosiddetti grandi della Terra scendono a New York per l’Assemblea Generale ONU, mandando all’aria la viabilità e la vita quotidiana dei quartieri adiacenti al Palazzo delle Nazioni Unite. Ma anche in assenza di gravi emergenze o grandi eventi ricorrenti, ogni giorno in città arrivano più di 600.000 pendolari e la popolazione di Manhattan, in orario d’ufficio, raddoppia letteralmente, toccando i 3,2 milioni di abitanti. Questi numeri non comprendono i turisti.

Chi ha l’occasione di venire per qualche giorno a New York deve sempre tenere a mente che vivere in città complicate come questa, e per giunta assediate dai turisti, aiuta a sviluppare una dote innata per sopravvivere: l’indifferenza. A Roma, Venezia o Firenze, anche loro invase da pellegrini, acquirenti di souvenir e manifestanti vari, non è poi così diverso. I newyorchesi, al contrario di quel che credono gli amici in California, non sono (così) bruschi o maleducati. Semplicemente, imparano sin da piccoli a tirare dritto per la loro strada: per questo ostacolano il meno possibile quella altrui e si aspettano di ricevere un simile trattamento dal resto del Mondo che ha deciso di rendere visita alla loro amata città. Un turista non dovrà mai attendersi grandi sorrisi dai newyorchesi, soprattutto quando crea una coda solo per ordinare una banale fetta di pizza (“plain slice”), alimento base della dieta a queste latitudini, anche più che a Napoli. Ma se questo stesso turista avrà l’accortezza di stare lontano dalle stazioni di treni e metropolitane tra le 4 e le 6 del pomeriggio, cioè nel picco delle ore di punta, milioni di persone di ritorno a casa gli saranno grate. Quando poi meno se lo aspetterà, il turista potrebbe trovarsi di fronte ad un autoctono che prima scambierà senza una ragione due parole con lui e poi, senza preavviso, si eclisserà nuovamente per la sua strada senza nemmeno salutare.

Se questo carico di informazioni non vi ha intimorito o creato ansia, e se per caso siete in questi giorni di fine settembre a New York, godetevi comunque la città nel pieno del suo caos, ricordando che per i suoi abitanti è una routine quello che per quasi tutti gli altri è fuori dall’ordinario. I delegati ONU e i Capi di Stato portano ogni anno misure di sicurezza straordinarie, e ancor di più ne hanno portate nei quindici anni da quel tragico undici settembre del 2001. Quest’anno, poi, l’esplosione del 17 settembre a Chelsea, e l’immediata caccia all’uomo tra New York e New Jersey nelle 36 ore successive, hanno determinato una stretta ulteriore. Aspettatevi allora di vedere poliziotti della locale agenzia antiterrorismo, armati di tutto punto, in tutti i luoghi dove maggiormente si concentra la folla, da Times Square a Grand Central Terminal passando per Bryant Park. Non è escluso che in alcune stazioni della metropolitana possano fermarvi e controllarvi borse e documenti. In tutti i treni sentirete il tradizionale avviso di tenere gli occhi aperti e segnalare, alla polizia o agli addetti alla metropolitana, la presenza di pacchi o attività sospette. “If you see something, say something” è un richiamo che ci accompagna quotidianamente, qui a New York, che ogni bambino impara a riconoscere come il classico, sempre in metro, “stand clear of the closing doors”.

Prima di chiudere, un suggerimento all’apparenza banale per la vostra visita: andate a Little Italy e, se riuscite, fatelo entro il 25 settembre. Quel giorno, infatti, si chiuderà l’edizione 2016 dell’annuale “Feast of San Gennaro”. Non importa che voi siate religiosi o atei, o che siate attratti o meno dalla storia miracolosa del santo patrono di Napoli. Questa festa non è solo una grande sagra, con tutto il suo contorno commerciale, ma anche un momento di celebrazione e orgoglio per la comunità italiana, soprattutto per quella più anziana. Little Italy, in più di un secolo, ha seguito le trasformazioni della città. Ridotta nei numeri quasi ad una mera testimonianza del passato, ha mantenuto il nome e la dignità di quartiere nonostante tutto intorno si sia sviluppata a ritmi incessanti, e continui a farlo, una delle più grandi e vivaci Chinatown d’America. Prova a resistere, Little Italy, aprendosi a nuovi ristoratori che non vogliono affrontare i prezzi esosi delle vicine SoHo e Nolita e che, al tempo stesso, sono lontani dal vecchio canone della “Red Sauce”. Forse solo questa “gentrification” — cioè la trasformazione urbana generata in un quartiere dall’influsso di nuovi e più ricchi residenti, spesso accompagnata dalla migrazione dei residenti di più lunga data, più poveri e non più in grado di stare al passo con l’elevato costo della vita — potrà salvare Mulberry Street dalla malinconica parodia di se stessa.

In un periodo storico nel quale, anche a seguito di sanguinosi atti di terrorismo, da tutto l’Occidente si alzano voci allarmate e critiche sull’immigrazione, quando non marcatamente xenofobe o razziste, la “Feast of San Gennaro” è un promemoria forte. Ci aiuta a ricordare che noi italiani, popolo di santi, poeti e navigatori, siamo anche un popolo di immigrati. Lo siamo stati e, probabilmente, lo saremo ancora, come tanti altri.

E il sottoscritto, nella città americana che per eccellenza è composta da immigrati che sono arrivati qui da tutto il Mondo, non fa eccezione: io sono un immigrato. Definirsi espatriati è solo un espediente retorico.

Benvenuti a New York.

(L’articolo si trova anche nell’archivio del settimanale della Fondazione Italiani)

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