Jeffrey Jones, Prospect Park, birdwatching, Brooklyn
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Gente di New York #5 – Jeffrey, che quasi ogni giorno va a fotografare a Prospect Park

Prospect Park, l’oasi verde di Brooklyn dove puoi fare incontri inaspettati ai margini di una vera foresta.

 

Quando l’autista del carro attrezzi mi lascia davanti all’officina, sono io a fargli gli auguri. “Ehi, ti auguro davvero che la tua prossima ragazza sia meno arrabbiata, ma comunque grande a letto”. Scoppia in una risata fragorosa, il salvatore mandatomi da AAA, una sorta di equivalente americano dell’Aci. “Grazie. Questa non me la dimenticherò!”.

In effetti nemmeno io dimenticherò questa giornata. Oggi la pioggia continua ha lasciato il posto a un sole caldo. Dopo le elezioni di Midterm, i democratici sono arretrati ancora di più al Senato ma almeno hanno ripreso il controllo della House. Anche il cielo è blu, stamane. La mia macchina è ferma da domenica, proprio come il suo cambio, che non ne vuole sapere di muoversi e la frizione non lo aiuta.

“Ma perché la gente è sempre così arrabbiata, man? Ho frequentato per qualche mese una ragazza che si arrabbiava per qualunque cosa. Quello che parcheggiava in seconda fila? Lei arrabbiata. Il marciapiede pieno di foglie non raccolte? Lei arrabbiata. Sempre. Ma sai una cosa? A letto era proprio uno spettacolo. Ehi, ma in Italia guidano a sinistra come in Giamaica?”.

Con questo sole, e con due ore libere, non ho voglia d’aspettare dal meccanico e ho paura di sentire il conto. Potrei vagare per un po’ tra le officine e i magazzini qui a Gowanus, magari farmi un caffè o comprare del pollame ancora vivo. E invece me ne vado al parco, a Prospect Park.

Brooklyn, Prospect Park
Brooklyn, Prospect Park

PROSPECT PARK, DOVE BROOKLYN CONSERVA LA MEMORIA DI QUANDO ERA SELVAGGIA PURE LEI

Prospect Park è il gemello di Central Park. Un poco più piccolo, ma progettato dagli stessi architetti del parco più famoso di New York. Soprattutto, qui a Brooklyn, nel parco ci puoi fare le grigliate.

Quando sento nostalgia delle montagne, vengo a Prospect Park e faccio finta di perdermi nella foresta. Perché qui una foresta c’è davvero, è il “ravine”. Unico esempio di foresta sopravvissuto a Brooklyn. Ci puoi trovare anche delle piccole cascate, e qualche ragazzo che ha fatto un salto oltre le reti per sedersi dove l’acqua inizia la sua caduta. Per evitare che la gente si faccia male, mentre attraversa un pezzo di natura selvaggia dentro quello che comunque è un enorme parco cittadino, i percorsi del “ravine” sono asfaltati e recintati. Ma tutto attorno c’è quello che ti basta quando vuoi eclissarti per un po’.

Al termine della foresta, l’ordinato Prospect Park ricomincia, con la sua serie di prati e laghi che nulla hanno a che fare con i disegni originali di madre natura. Poche anime a metà mattinata. Qualche coppia, qualche ciclista, qualche scolaresca, io. Lascio il percorso più ovvio e battuto, anche per non andare a sbattere contro i due fidanzati che stanno cercando di farsi un autoscatto con mezzo parco alle spalle. Mi sono messo in testa che devo, si, costeggiare il lago davanti alla Boathouse, ma nel punto dove pare che nessuno metta mai piede. Sperando che le foglie fradice e scivolose non mi facciano volare in acqua.

Prospect Park, Boathouse, Brooklyn
Prospect Park, la Boathouse

La Boathouse, oltre ai matrimoni, ospita soprattutto la sede locale della Audubon Society, un’organizzazione che lavora per la protezione degli uccelli e dell’ambiente in cui vivono. A Prospect Park si possono trovare le specie di uccelli più disparate. Questo lago, dalla forma improbabile come quella di tutti i laghi lasciati alla fantasia degli architetti del paesaggio, è zona privilegiata per il birdwatching.

Non sarebbe autunno se non facessi almeno una foto agli alberi che arrossiscono. Così mi piazzo a livello dell’acqua, convinto di poter fare lo scatto più originale della terra e che nessuno ci avrà pensato mai a fare quella foto lì, figurati. Giusto il tempo di riuscire finalmente ad estrarre il telefonino dalla tasca resa ancora più aderente dall’olio con cui annego tutto quello che fa parte della mia dieta, che alle mie spalle noto un teleobiettivo, di quelli che mettono soggezione anche solo quando li vedi nelle vetrine di un negozio. E infatti il mio ego annega lì, vicino alle papere di Prospect Park, proprio mentre mi passa davanti agli occhi, in perfetto volo a planare, un esemplare grigio di non so cosa. Avrebbe reso perfetta anche la mia foto, se solo mi fossi ricordato di scattarla.

IL PARADISO DEL BIRDWATCHING

“Hey, how you doin’?”, saluto il mio inconsapevole collega. Gli mostro il mio telefonino, certo che lui non vedesse l’ora. “Beh, certo, tu hai l’attrezzatura giusta”, aggiungo, come se fosse già inverno e dovessi rompere pure il ghiaccio del lago.

Ci presentiamo.

Jeffrey ama venire a Prospect Park. Ama soprattutto venire qui, in quest’area che prende il nome di Lullwater. E ci viene appena possibile, al mattino presto o al tramonto, anche per giorni e giorni di fila. Abita poco distante dal parco, vicino Flatbush Avenue.

“Ho tramonti di ogni periodo dell’anno”. Mi racconta degli alberi che in estate sono i primi ad allungarsi sullo specchio d’acqua. Degli uccelli che popolano l’area. Northern cardinal, Bluejay, Great Blue Heron. Sono solo alcuni dei nomi che cerco di cogliere mentre mi mostra delle fotografie. Non posso giurarci, ma forse è proprio un Great Blue Heron quello che mi è passato prima davanti al naso.

È semplice passione, quella di Jeffrey, e nemmeno così remunerativa. Con le sue fotografie realizza anche dei libri per bambini. “Quando qualcuno è interessato, riesco a vendere pure delle foto”.

Non so come, ma dal reiki, che Jeffrey pratica, finiamo a parlare del tasso di cambio del suo paese natale, l’isola di Barbados. “È molto più ricco di altri paesi centroamericani, la nostra moneta non è così svalutata”, dice con evidente orgoglio. “Gran parte della mia famiglia vive ancora laggiù”. La sua famiglia più immediata, invece, moglie e figlia, in questi giorni sono in Italia, a Ostuni. “Mia moglie è egittologa, è andata ovunque”. Gli accenno che arrivo da una città con un grande Museo Egizio. Ma poi cambio subito argomento e gli chiedo di farmi vedere delle altre foto.

Jeffrey, e come lui immagino altri milioni di appassionati di fotografia, scatta migliaia e migliaia di immagini. Alcune di queste le porta dietro con se, sulla memoria del telefono. “Al mattino presto, ancora prima di venire qui a Prospect Park, mi piace salire sul tetto del palazzo dove vivo.” Mi mostra decine di foto del sole all’alba. Nelle composizioni c’è di tutto. Nuvole, antenne, aeroplani, i nuovi condomini che stanno sbucando nel quartiere.

L’UMANITÀ È ANCHE PIÙ INTERESSANTE DELLA FAUNA

“Quando vengo al parco”, continua Jeffrey, “non mi fermo solo agli animali. La vedi quella panchina laggiù, sotto gli alberi?”. Faccio fatica anche solo a immaginare che ci sia una panchina all’estremità opposta del lago. Ma lui, con quel teleobiettivo, è in grado di vedere qualunque cosa. “Questo è un 400”. Può vendermi qualunque numero, mi affretto a precisare. E gli spiego che nonostante possegga anch’io una macchina fotografica, non ho la più pallida idea di come funzioni davvero. “Fratello, non importa. Ecco, laggiù ieri c’era un ragazzo che leggeva un libro. Ma non era un libro qualunque. Era Malcolm X. E il ragazzo che leggeva era un bianco, e tutto intorno non c’era nessuno. Era perfetto, dovevo fermare quel momento”. Nel racconto di Jeffrey, parole come amore, energia e pace ritornano spesso.

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Prospect Park, Lullwater

Mentre continuiamo a parlare, Jeffrey vede qualcosa volare e si gira all’improvviso per scattare. Sono sulla sua visuale, lo sento. “No, stai tranquillo, bro’, va bene così”. Ha ragione. Mi mostra il risultato e io non ci sono.

Intanto, durante la nostra lunga chiacchierata, altre persone arrivano e vanno via quasi subito. Due maestre con cinque bambini piccoli, invece, si fermano un po’ più a lungo. I bambini non sono solo incuriositi dalla lunga staffa con cui Jeffrey sostiene il suo pesante teleobiettivo. Uno dei bambini ci chiede anche cosa sia quel grande pallone rosso al centro del lago. Quattro adulti non sono in grado di dargli nemmeno una parvenza di risposta. La maestra più anziana concede che la domanda sia una buona domanda, ma ammette di non aver la più pallida idea. Il mio fotografo di Prospect Park, invece, lui si che dovrebbe davvero lavorare con i ragazzini delle scuole. Penderebbero dalle sue labbra.

“A volte, in alcune fotografie, è come se avvenisse qualcosa di mistico”, riprende a raccontare Jeffrey. “Ho delle immagini dove sullo sfondo ci sono ombre di persone che non avevo notato quando ho scattato. Così, sbucate all’improvviso!”. Ride, Jeffrey. E ridiamo anche quando provo a fargli una fotografia per la Guida. “Non ti serve il flash, fratello”. Ha ragione, ma con la luce che colpisce prepotente lo sfondo, e l’ombra alle spalle, lui rimane nell’oscurità. Gli spiego che il mio telefono fa abbastanza schifo.

“No, bro, sono io che sono nero!”, e scoppia a ridere.

Pur avendo niente di mistico, anch’io sarò sbucato dal nulla, per Jeffrey.
Adesso gli restituisco la pace di questo lago.
Il meccanico mi aspetta.

P.s. Le fotografie di Jeffrey si trovano sul suo profilo Instagram: @ruggedvibes12

 

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